A parlare di una vera e propria “rivoluzione culturale” che comporterà scosse di assestamento, possibili conflitti fra i player della logistica ma in definitiva la comprensione della centralità naturale dei traffici via mare, è Alessandro Santi ai vertici della Federazione agenti marittimi e quindi nella posizione preferenziale come osservatorio nell’interconnessione fra mare e terra.
Dagli inizi degli anni ’90 la globalizzazione e l’evoluzione delle ‘supply chain’ hanno portato alla possibilità di ridurre gli stock e di concentrare le produzioni: si stima che le aziende globalmente hanno investito complessivamente 36 trilioni di dollari all’estero.
Ovviamente la globalizzazione spinta ha determinato d’altro canto una maggiore potenziale vulnerabilità delle filiere produttive e di alcuni rami delle catene di approvvigionamento, il caso di Suez ne è una chiara esemplificazione.
Non è quindi casuale che alcune fra le maggiori potenze economiche mondiali stiano concentrando le loro attenzioni sulla possibilità di rendersi autosufficienti in alcuni settori strategici: gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone e la Commissione Europea hanno commissionato specifiche analisi sulla vulnerabilità delle catene di approvvigionamento da un punto di vista economico e della sicurezza nazionale per assicurare la disponibilità delle materie prime strategiche.
“La risposta per l’economia mondiale non potrà però essere quella di rinunciare alla globalizzazione – sostiene Santi – ma quella di puntare al controllo strategico delle filiere di approvvigionamento agevolando ‘supply chain’ da un maggior numero di origini, libere da posizioni monopolistiche soprattutto in dipendenza da paesi potenzialmente ostili, ricerca maggiore efficienza delle ‘supply chain’ cercando di limitare le vulnerabilità intrinseche e prevenire con azioni mirate le possibili strozzature e colli di bottiglia”.
Dal 1990 al 2019 il volume dei prodotti trasportato per via marittima è passato da poco più di 4 a 11 miliardi di tonnellate, di cui, oggi, peraltro, solo meno del 20% via container. In questo periodo sono aumentate le flotte e sono aumentate evidentemente anche le dimensioni delle navi; ma questo vale, anche, per le capacità (e le velocità) dei treni merci che raggiungono ora 2.500 tonnellate per tradotta con 750 mt di lunghezza.
Si è trattato di azioni che hanno permesso l’ottimizzazione e l’efficienza delle ‘supply chain’ con evidenti vantaggi a cascata per tutti gli attori in termini di volumi e quindi di ricavi; ma nello stesso periodo si sono registrate frequenti oscillazioni anche importantissime dei noli marittimi che hanno addirittura determinato la bancarotta di armatori di dimensioni globali: ogni analisi su questo deve essere fatta su dimensioni temporali e spaziali commisurate alla durata degli investimenti (pluridecennali) e della dimensione (globale) del commercio mondiale.
“Segnali che non possono essere ignorati e che rendono sterili – afferma Santi – alcune polemiche o scontri sulla ‘supply chain’ e specialmente di quella componente marittima che della ‘supply chain’ è la colonna portante. Il tema con il quale siamo chiamati tutti a confrontarci è l’efficienza globale del sistema.
È evidente che c’è del lavoro da fare, ma se il risultato è la razionalizzazione e l’ottimizzazione dell’efficienza della ‘supply chain’, i vantaggi economici e geopolitici nel medio e lungo periodo risulteranno di gran lunga superiori”.