Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
“Siamo dinanzi ad un Piano nazionale di ripresa e resilienza che consuma suolo. Nel leggere alcune delle proposte contenute nel Piano nazionale di ripresa e resilienza non possiamo che manifestare la nostra delusione; da questo Piano ci aspettavamo più transizione ecologica di pari passo con quella tecnologica. Se è vero che questa sarebbe stata l’occasione per quel cambio culturale radicato nei principi dell’Agenda 2030, dove le componenti dello sviluppo (economico, ambiente e sociale) agiscono non più in contrapposizione ma per il bene comune, crediamo di dover aspettare”. Lo ha dichiarato con forza Antonello Fiore, geologo, Presidente Nazionale della Società Italiana di Geologia Ambientale (SIGEA).
“Sul consumo di suolo si registra solo un impegno del “Governo ad approvare una legge sul consumo di suolo, che affermi i principi fondamentali di riuso, rigenerazione urbana e limitazione del consumo dello stesso, sostenendo con misure positive il futuro dell’edilizia e la tutela e la valorizzazione dell’attività agricola”. Una legge che il Paese aspetta già dalla precedente legislatura e difficilmente si potrà approvare con un decreto governativo vista anche la frammentazione politica dell’attuale compagine che sostiene il Governo incarica.
L’Europa e le Nazioni Unite hanno da tempo richiamato gli Stati alla tutela del suolo, del patrimonio ambientale, del paesaggio, al riconoscimento del valore del capitale naturale – ha proseguito Fiore – e hanno chiesto di azzerare il consumo di suolo netto entro il 2050, di allinearlo alla crescita demografica e di non aumentare il degrado del territorio entro il 2030 (UN, 20154). Tali obiettivi sono ancor più importanti, alla luce delle particolari condizioni di fragilità e di criticità del nostro Paese, rendendo urgente la definizione e l’attuazione di politiche, norme e azioni di radicale contenimento del consumo di suolo e la revisione delle previsioni degli strumenti urbanistici esistenti, spesso sovradimensionate rispetto alla domanda reale e alla capacità dei territori.
In netta contraddizione si evidenzia la scelta di finanziare con il Piano per 1,10 miliardi di euro investimenti nello sviluppo “agro-voltaico”. Con il pretesto che il settore agricolo è responsabile del 10% delle emissioni di gas serra in Europa, il Piano si pone l’obiettivo di “diffondere impianti agro-voltaici di medie e grandi dimensioni”. Il Piano ipotizza impianti fotovoltaici, non sulle coperture già realizzate, ma in campo aperto con produzione e attività agricola sottostante. L’obiettivo del Piano è installare a regime una capacità produttiva da impianti agro-voltaici per produrrebbe 2.500 GWh annui, azione questa che causerà una perdita di suolo stimabile in oltre 1700 ettari e andrà a modificare profondamente il paesaggio agrario delle aree interessate causando altro consumo di suolo irreversibile per almeno 20 anni con inevitabile perdita di sostanza organica, fertilità e biodiversità dei suoli”.
Caso Geotermia ed energia rinnovabile!
“Energia rinnovabile. Un altro punto deludente è l’assenza della geotermia a bassa entalpia tra le fonti di energia rinnovabile. E’ bene ricordare che tale fonte rinnovabile avrebbe sottratto grosse quantità di fonti fossili oggi utilizzate per il raffrescamento e il riscaldamento di edifici pubblici e privati.
La geotermia a bassa entalpia è una fonte termica inesauribile – ha concluso Antonello Fiore, Presidente Nazionale della SIGEA – senza diritti di proprietà o brevetti, rinnovabile, ecocompatibile e a disposizione durante tutto il giorno e per tutti i giorni dell’anno.
Ogni edifico pubblico, ogni edificio residenziale e ogni struttura che ha bisogno d’impianto di riscaldamento e raffrescamento, dovrebbero essere dotati di sistemi geotermici a bassa entalpia.
I sistemi geotermici a bassa entalpia sono diffusi in ambito residenziale soprattutto nel nord Europa, quindi non sarebbe stato difficile proporre di seguire il percorso già avviato per diffondere questa tecnologia su tutto il territorio nazionale. I vantaggi di tale tecnologia sono molteplici, dall’assenza di emissioni dirette di CO2 al contenuto il costo di gestione mediamente inferiore del 50% rispetto agli altri impianti, alla quasi assenza di manutenzione e alla facile integrazione con le altre forme di energia rinnovabile.
Se il Piano nazionale di ripresa e resilienza che l’Italia sta presentando all’Unione Europea è il massimo che possiamo prevedere come sviluppo funzionale al nostro stare bene e in equilibrio con l’ambiente, allora c’eravamo illusi. Prima dei fondi europei di Next Generation EU e della loro spesa ragionata, serve un cambio culturale nel pensare al nostro agire, al nostro stile di vita e allo sviluppo economico in grado di evitare di degradare l’ambiente più velocemente della sua capacità di auto rigenerarsi”.