Una Pasqua meno amara per le imprese dolciarie della Sardegna
Seconda Pasqua in lockdown per le imprese artigiane della Sardegna e, ovviamente, anche per i tutti sardi. Ma le aspettative dei maestri artigiani dolciari e alimentari isolani quest’anno sono migliori rispetto al 2020, quando una regola assurda li teneva chiusi rispetto ai negozi e alla grande distribuzione ai quali è invece era permessa la commercializzazione dei prodotti.
“Dall’interesse e dagli ordini che le nostre aziende dolciarie associate hanno registrato in questi giorni di avvicinamento alla Pasqua – commenta Antonio Matzutzi, Presidente di Confartigianato Imprese Sardegna – torna a farsi largo sulle tavole di queste festività la qualità artigiana sarda, a partire dai dolciumi, passando per tutta l’ampia gamma di prodotti regionali come i salumi, i formaggi, la birra solo per citare i più ricercati”.
Alcuni numeri
Secondo l’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Sardegna, il sistema regionale delle imprese dolciarie registra 774 imprese di pasticceria e gelateria nelle quali lavorano 1.819 addetti, un settore caratterizzato da un elevata vocazione artigianale, con oltre 542 imprese artigiane che rappresentano il 70,1% del comparto,
“Ricordiamo con terrore l’anno scorso in questo periodo i quintali di cioccolato a deperire nei depositi, le tonnellate di farina e zucchero inutilizzabili, le migliaia di uova rispedite al mittente, gli ettolitri di latte da smaltire ma anche le impastatrici ferme, gli ordini annullati e il personale in cassa integrazione – continua il Presidente Matzutzi –, una triste festività senza uova con sorpresa, colombe o specialità di pasticceria artigiana che, in pratica, scomparvero dalle tavole pasquali dei sardi”.
La colomba: il dolce principe della Pasqua
Quest’anno, invece, sui banchi delle rivendite sono tornati i tipici dolci della tradizione pasquale isolane, come le Casadinas, le Ricottine, le Tiricche o tiliccas e le Pardulas, ma la protagonista indiscussa sarà la colomba, un classico che conta poco più di cent’anni (nacque nel milanese nel 1919) e che, è bene ricordare, dal 2005, in base al decreto ministeriale del 25 luglio ha una sua specifica denominazione. “Colomba” non si può applicare ai prodotti di altri Paesi europei.
Inoltre, nel dicembre 2009, il Ministero dello Sviluppo Economico ha stabilito le indicazioni specifiche sugli ingredienti da riportare sull’etichettatura dei prodotti alimentari e prodotti dolciari da forno. Norme alla mano i prodotti che utilizzano forme e modalità di presentazione identiche e confondibili con i prodotti disciplinati, ma sono identici solo all’aspetto, sono imitazioni.
Requisiti
Per chiamarsi “colomba”, un dolce deve avere almeno il 16% di burro, uova di categoria “A”, cioè fresche e in quantità tale da garantire almeno il 4% in tuorlo, latte, miele, burro di cacao, eccetera.
In una colomba “falsa”, invece, si possono trovare ingredienti molto diversi: prevalentemente, si tratta di dolci che contengono ingredienti scadenti, ad esempio grassi idrogenati, pochissimo burro e uova e molto zucchero, per “coprire” la qualità inferiore”.
“Rispetto alla Pasqua del 2019, l’ultima precovid – sottolinea il Segretario di Confartigianato Imprese Sardegna, Daniele Serra -, tra i dolci da forno che finiranno sulle mense imbandite tricolori si registra un aumento del fai-da-te, testimoniato dal boom nelle vendite di farina, lievito e preparati dolciari. E anche se molti compereranno i prodotti industriali, rispetto al drammatico 2020, quest’anno sono destinate a impennarsi, come sostengono gli esperti, le vendite di dolci artigianali, sostanzialmente azzerate lo scorso anno dalle restrizioni imposte a pasticcerie, cioccolaterie, gelaterie. Ripartono anche le produzioni artigianali di uova di cioccolato, l’anno scorso ridotte al lumicino”.
“Siamo consapevoli che questa pandemia influenzerà gli acquisti dei nostri prodotti per sempre – concludono Matzutzi e Serra – per questo ci dobbiamo impegnare sin d’ora ad accompagnate i nostri imprenditori nell’uso delle tecnologie digitali e nella multicanalità di distribuzione dei prodotti di qualità. Ma dobbiamo poter contare su interventi ad hoc di irrobustimento delle capacità finanziarie e di sostegno all’export anche nei Paesi emergenti, su misure di valorizzazione delle produzioni tipiche, dei distretti agroalimentari di qualità e delle produzioni a denominazione d’origine”.
Le 7 regole d’oro per la “vera” Colomba
In base alla Circolare 3 dicembre 2009, n. 137021 del Ministero dello Sviluppo Economico, per essere sicuri di portare in tavola il classico dolce di Pasqua:
- òa vera colomba deve innanzitutto avere la classica forma di… colomba. Può sembrare banale ma proprio la forma può essere il primo indicatore di un falso prodotto dolciario da forno;
- il primo ingrediente, quello presente in maggiore quantità, deve essere la farina di frumento e non lo zucchero;
- è necessario controllare bene tutti gli ingredienti. Abbiamo davanti una vera colomba quando sono presenti tutti i seguenti ingredienti: farina di frumento, zucchero, uova e/o tuorlo, burro, agrumi canditi, lievito naturale, sale, mandorle. Se nell’etichetta ne manca qualcuno stiamo per acquistare un semplice dolce pasquale ma non una vera colomba;
- oltre all’elenco relativo agli ingredienti con cui deve essere fatta una colomba, ne esiste un altro relativo ai pochi altri che possono essere aggiunti alla giusta ricetta. Sono solamente questi: latte e derivati, miele, burro di cacao, malto, zuccheri, aromi, emulsionanti (per es: lecitina di soia), conservanti.
- quanto ai grassi, ricordare che nella colomba non ci possono essere grassi diversi dal burro, come margarina, strutto o altro, altrimenti anche in questo caso abbiamo di fronte un altro tipo di dolce;
- la vera colomba, di norma, è priva di conservanti. Gli unici permessi nella colomba sono due: E 200 – acido sorbico e E 202 – sorbato di potassio;
- la glassa può essere fatta, oltre che con le mandorle, anche con armelline, nocciole, anacardi.
Il ciclo di produzione dall’impasto al confezionamento della vera colomba artigianale dura almeno 48 ore.
In generale teniamo sempre presente che sul mercato sono presenti diversi “dolci pasquali” che possono anche avere la stessa forma della colomba. La legge obbliga i produttori di questi dolci a rendere evidente che non si tratta di colomba e, addirittura, chi li commercializza a non metterli gli uni accanto agli altri nel caso in cui questo possa creare confusione. Quindi un dolce che sembra una colomba per la forma e per la confezione, ma che non riporta tutte le caratteristiche anzidette non è una vera colomba.
Da escludere del tutto che si tratti della tradizionale colomba pasquale quando è la stessa etichetta a riportare la dicitura “dolce pasquale” o altro nome simile.