Capaci, viva la lezione di Falcone
Capaci, Fsp Polizia: “Chi serve lo Stato ancora porta un bersaglio sul petto. Dopo 29 anni far vivere la lezione di Falcone, contro la mafia non pretendere l’eroismo ma impiegare le forze migliori”
“Dopo 29 anni è più vivo che mai l’insegnamento di Falcone: ‘Contro la mafia non pretendere l’eroismo ma impegnare tutte le forze migliori della società’. Dopo 29 anni, dobbiamo essere tutti Giovanni, Francesca, Antonio, Vito, Rocco”.
Lo afferma Valter Mazzetti, Segretario Generale Fsp Polizia di Stato, nel giorno dell’anniversario della strage di Capaci.
“Passano gli anni ma non passano i loro volti, i loro nomi, il loro esempio: il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, gli agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, assassinati dalla mafia, il 23 maggio del 1992, sono state le prime vittime della strage di Capaci.
Con loro, vittime siamo stati tutti, obbligati all’orrore della prevaricazione, della crudeltà, mentre ci strappavano qualcuno che viveva curandosi degli altri, delle Istituzioni, curandosi di noi. Ma vittime non devono essere le generazioni a venire, e la responsabilità di questo pesa sulle spalle di ciascuno di noi, perché: ‘La mafia non è invincibile – ci ha insegnato Falcone -, ma è qualcosa di terribilmente serio e grave che si può vincere non pretendendo l’eroismo dei cittadini ma impegnando tutte le forze migliori della società’.
Oggi ricordiamo uomini straordinariamente normali. Eroi quotidiani, martiri, che hanno dimostrato al mondo la forza della dignità, della coerenza, del coraggio, che sopravvivono su tutto e che anche 500 chili di tritolo non possono spazzare via. Oggi loro sono ancora qui, le loro toghe e le loro divise il simbolo di quei valori così potenti da trascinare fuori dalle case fiumi di persone sottomesse dalla paura. Oggi è un dovere ricordare. Ed è un dovere non cercare nuovi eroi, non abbandonarsi al fatalismo e alla rassegnazione, non dare per scontato che a difenderci ci sono altri che non verranno mai meno.
E’ un dovere spazzare via la solitudine, l’isolamento, la mancanza di appoggio per quei Servitori dello Stato che ancora, come Giovanni, Antonio, Vito e Rocco, svolgono il proprio dovere con fedeltà, con sacrificio, con piena consapevolezza di rischiare tutto, eppure con altrettanta volontà di andare avanti perché è giusto così. E’ un dovere – conclude Mazzetti – battersi perché la vicinanza agli uomini e alle donne che servono lo Stato tolga dal loro petto il bersaglio che ancora si portano dietro, e che, se non si traduce nello scoppio del tritolo, può tradursi nella mancanza di rispetto, nell’indifferenza, nell’ingratitudine, nel menefreghismo di chi pensa che certe cose non lo riguardino”.