Lo sguardo ossessivo di Antonio Loi è accostabile al modus operandi che Giorgio Morandi applica alle sue nature morte, tra indagine reiterata per giungere all’essenza delle cose e un’inclinazione all’alternanza tra sospensione temporale e contemplazione. Sguardo che penetra nella realtà con l’obiettivo di instillare dubbi esistenziali senza mai fornire risposte. L’approccio è quello di puntare a una continua tensione e a un’espressività incisiva che restituisca deformazioni, mediante riprese ravvicinate col grandangolo, che conferiscono ulteriore potenza visiva alle immagini.
Tra pieni e vuoti, tra geometria e caos, gli spazi dilatati del manto stradale, spesso soggetto a grave usura, sono attraversati dalle ben definite geometrie dei segnali urbani ai quali si sovrappongono i mezzi di trasporto. La segnaletica, diventata inutile, si riduce a immagine confusa e ingannevole e la città a territorio di una quotidianità grottesca dalla quale non si può sfuggire. Palcoscenico straniante di una realtà urbana che si colloca al di là di qualunque compiacimento estetico con una notevole dose di ironia e sarcasmo. Non a caso Emil Cioran scrive: “Come siamo giunti a questo punto? Per quale via, dopo secoli rassicuranti, ci troviamo alle soglie di una realtà che soltanto il sarcasmo rende tollerabile?”