Giornata mondiale della donazione di sangue, un gesto fondamentale
Intervista al presidente di Avis, Gianpietro Briola, sul presente e il futuro delle donazioni di sangue nel nostro Paese dopo più di un anno di emergenza sanitaria
Oggi ricorre in tutto il mondo la Giornata del donatore di sangue. Una ricorrenza istituita nel 2004 dall’OMS nel giorno che ricorda la nascita del biologo austriaco Karl Landsteiner. Questo medico, oltre a numerosi studi sull’immunologia, fu lo scopritore nel 1900 del sistema dei gruppi sanguigni e del fattore Rh.
Quanto sia importante la gratuità di questo dono e quanto le nostre vite siano interdipendenti l’uno dall’altro – se ce ne fosse stato bisogno – lo abbiamo appurato in questa lotta contro il Covid.
Siamo ormai da un anno e mezzo in pandemia, la situazione di emergenza nel nostro Paese comincia ad allentarsi grazie al piano vaccinale, ma non è così in tutte le parti del mondo.
Ricordare con iniziative e campagne informative l’urgenza e la necessità di farsi carico del destino altrui, è fondamentale. E la donazione di sangue, un gesto semplicissimo, senza la minima conseguenza per chi dona, è davvero importante.
In Italia Avis è la più grande rete di associazioni sul territorio che si occupa di raccolta del sangue. Abbiamo intervistato il presidente nazionale, Gianpietro Briola, per conoscere la realtà sulla donazione sanguigna e la situazione dopo la pandemia.
Presidente Briola, quali sono stati i numeri della donazione di sangue e plasma in Italia nel secondo inverno della pandemia? Quale il trend delle donazioni?
«Nonostante il Covid possiamo considerarci soddisfatti dei risultati registrati dal nostro sistema trasfusionale. L’impatto del virus è stato contenuto nonostante le difficoltà organizzative che tante strutture sanitarie hanno dovuto affrontare. Un calo c’è stato, ma se pensiamo alla portata dell’emergenza che abbiamo dovuto affrontare, è comprensibile. Lo scorso anno i donatori sono stati 1.626.506, come confermano i dati ufficiali del Centro Nazionale Sangue, per un 3,4% in meno rispetto al 2019. I nuovi sono stati 355.174. Le donazioni complessive hanno sfiorato i 3 milioni, di cui 2 e mezzo di sangue intero e le restanti in aferesi. Proprio quest’ultima tipologia, utilizzata per il plasma, è cresciuta in maniera esponenziale nonostante la pandemia, facendo registrare 217.638 procedure per un 7,5% in più».
Qual è l’identikit del donatore di sangue oggi in Italia?
«L’identikit del donatore è quello di una persona che, in media, effettua 1,8 donazioni ogni anno. Si tratta di donatori periodici che con il loro gesto volontario e non remunerato consentono a tanti pazienti cronici di ricevere, ogni giorno, cure e trasfusioni salvavita. Tuttavia, l’età media continua a salire e questa rappresenta per noi una sfida importante da vincere. Aumentano infatti le persone over 45, quindi il ricambio generazionale è un qualcosa di cui necessitiamo: ce lo chiede il nostro sistema sanitario».
I giovani sono dei buoni donatori? Cosa si può fare e cosa fa Avis per stimolare la cultura della donazione tra le giovani generazioni?
«I giovani rappresentano il futuro non solo per quel che riguarda l’autosufficienza, ma anche per il prosieguo degli impegni associativi e dell’intero Terzo Settore. I donatori tra i 18 e i 25 anni, nel corso del 2020, sono scesi sotto la soglia dei 200mila, così come quelli fino ai 45 anni di età. Per quel che ci riguarda, da tempo, stiamo incrementando il lato della comunicazione che, attraverso il sito, la rivista ufficiale “AVIS SOS” i nostri canali social, contribuisce a raggiungere un numero sempre crescente di persone così da informare il più possibile sull’importanza della cultura del dono. Negli anni AVIS Nazionale ha rinnovato il protocollo d’intesa sottoscritto con il MIUR e volto a organizzare incontri negli istituti per promuovere la donazione, una sensibilità, quella verso gli studenti, che è al centro di tanti progetti che portiamo avanti e che sono legati al mondo della scuola. In più, le campagne che ciclicamente organizziamo sono finalizzate proprio a smuovere le coscienze dei più giovani: mi riferisco ad esempio alle iniziative per sensibilizzare la donazione di plasma o a quelle che ci hanno visto collaborare con le ginnaste paralimpiche della FISDIR per la realizzazione di un documentario volto a promuovere l’inclusione e a spiegare come la solidarietà non conosca confini. E poi c’è Radio Sivà, la nostra radio ufficiale che ha da poco festeggiato i 10 anni di vita: si tratta della più importante emittente italiana dedicata al non profit che dal 2016 è ascoltabile anche in FM attraverso oltre 50 emittenti locali sparse sul territorio nazionale».
Come si colloca l’Italia rispetto al resto d’Europa sul tema della donazione?
«In virtù dei dati forniti dal Centro Nazionale Sangue possiamo dire che l’Italia ha confermato di essere, grazie a un sistema della donazione basato sulla scelta etica, volontaria e non remunerata, un modello riconosciuto a livello internazionale. Certo, anche noi abbiamo risentito degli effetti generati da questo nemico tanto invisibile quanto aggressivo che è il Covid, ma anche facendo un paragone più allargato con Paesi dove il sistema della donazione è a pagamento (ad esempio gli Stati Uniti), l’Italia ha dimostrato, grazie ai suoi donatori, di aver retto meglio l’impatto della pandemia continuando a garantire terapie salvavita a migliaia di pazienti».