Quale futuro per l’istruzione e la ricerca: dalla trasformazione digitale al PNRR
La trasformazione digitale in atto impone alle organizzazioni, sia pubbliche, sia private, una profonda ristrutturazione dei propri paradigmi. La velocità alla quale viaggia l’innovazione tecnologica, non lascia altra possibilità di scelta, se non quella di definire strategie finalizzate ad innovare parallelamente, anche e soprattutto, i modelli organizzativi. D’altra parte, il padre della “burrasca di distruzione creatrice” Joseph Schumpeter, riprendendo la teoria marxiana dell’annichilamento creativo, era ben consapevole dell’importanza della creazione di nuove forme organizzative necessarie per l’innovazione.
La trasformazione digitale non è una scelta, è una necessità. Molti studi evidenziano come le aziende che sono coinvolte nel processo di innovazione digitale, riescono ad avere un vantaggio competitivo, a volte fondamentale per la propria sopravvivenza, nei confronti dei competitor. Talora, però, non è sufficiente innovarsi, ad esempio mediante l’uso delle ICT, in quanto esse possono incidere negativamente sulla produttività, se non supportate da un adeguata innovazione dell’organizzazione e/o dell’infrastruttura. Una dimostrazione l’abbiamo avuta con la pandemia di Covid-19 che ha costretto molte organizzazioni ad effettuare il tanto temuto passo di utilizzare massivamente le tecnologie digitali per le proprie attività. L’occasione ha evidenziato tutte le inadeguatezze di un sistema ancora non maturo, contraddistinto da notevoli carenze organizzative, ma allo stesso tempo, ha rappresentato una straordinaria occasione per accelerare un processo di digitalizzazione ormai inevitabile. L’esperienza fatta in questi mesi ha palesato come non sia sufficiente integrare le tecnologie nelle organizzazioni, in quanto, come affermato in precedenza, c’è bisogno di innovare anche l’organizzazione ad iniziare da una profonda ristrutturazione culturale che consenta di superare le resistenze al cambiamento, basti pensare ai molti insegnanti che rifiutano di utilizzare le tecnologie nel loro lavoro. Quindi, in estrema sintesi, la trasformazione digitale non riguarda soltanto le tecnologie, in quanto, inizia dalle persone, per poi coinvolgere progressivamente, i processi ed infine le tecnologie.
Lo scorso marzo, la Commissione Europea, consapevole della necessità di dare una spinta importante alla digitalizzazione nei paesi membri, caratterizzati da un’accentuata eterogeneità, ha presentato la visione, gli obiettivi e le modalità per favorire la trasformazione digitale dell’Europa entro il 2030, affinché i cittadini e le imprese possano acquisire l’autonomia e la responsabilità per affermare un futuro digitale antropocentrico, sostenibile e prospero. A questo proposito, la Commissione, per definire le ambizioni digitali da realizzare nel decennio che conduce al 2030, ha proposto una “bussola digitale”, che colloca nei suoi punti cardinali gli obiettivi di:
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dotare, entro il 2030, l’80% dei cittadini europei, di competenze digitali di base e di impiegare almeno 20 milioni di professionisti altamente qualificati nel settore delle ICT, con un’importante crescita della presenza del genere femminile;
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creare infrastrutture digitali sostenibili, sicure e performanti;
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favorire la trasformazione digitale delle imprese;
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realizzare la digitalizzazione dei servizi pubblici.
Inoltre, per garantire il diritto alla cittadinanza digitale, la Commissione Europea propone la definizione di un quadro di principi digitali, in grado di affermare i valori dell’UE nello spazio digitale, che andrebbe ad integrare il Pilastro europeo dei diritti sociali. Al primo punto di quest’ultimo troviamo: l’istruzione, la formazione e l’apprendimento permanente, secondo cui “Ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro.” Questo aspetto si correla con l’obiettivo, individuato dalla Commissione Europea il 30 settembre 2020, di realizzare “uno spazio europeo dell’istruzione” entro il 2025, in quanto, l’istruzione e la cultura sono potenzialmente i driver fondamentali per la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro, e sono ritenuti fondamentali per garantire il progresso economico e sociale in Europa, oltre a rafforzare l’identità europea nel pieno rispetto della diversità e inclusione.
Tra le misure presentate dall’EU per la creazione dello spazio europeo dell’istruzione, figurano lo sviluppo e l’acquisizione delle competenze chiave per l’apprendimento permanente, le competenze digitali, i valori comuni e un’istruzione inclusiva. Una delle iniziative adottate dall’UE è il “programma Erasmus+” che nel periodo 2014-2020 ha potuto beneficiare di un budget di € 14,7 miliardi, mentre per il periodo 2021-2027 il budget previsto è di € 26,2 miliardi. La pandemia di Covid-19, oltre a causare una crisi sanitaria globale che ha provocato oltre 3,4 milioni di vittime nel mondo (al 20 maggio 2021), ha determinato una profonda crisi economica che ha fatto emergere la necessità, per l’Europa e non solo, di adottare una serie di importanti provvedimenti a livello congiunturale e strutturale, come ad esempio l’attuazione del programma NextGenerationEU (NGEU). I finanziamenti (€ 750 miliardi), senza precedenti nella storia dell’Unione, previsti dal programma, sono stati destinati (circa il 90%) al Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (RFF). I paesi dell’UE, per accedere ai fondi, che si sommano a quanto previsto dal “Support to Mitigate Unemploement Risk in on Emergency (SURE)” di settembre 2020, devono presentare un Piano Nazionale (PNRR).
Il Piano elaborato dall’Italia, approvato dal parlamento ad aprile, ha dovuto tenere conto di sei pilastri: transizione verde; trasformazione digitale; crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; coesione sociale e territoriale; salute e resilienza economica, sociale e istituzionale; politiche per le nuove generazioni, l’infanzia e i giovani. Il piano, condiviso a livello europeo, si sviluppa su tre assi strategici: la digitalizzazione e l’innovazione, la transizione ecologica e l’inclusione sociale; e si articola in sedici Componenti, raggruppati in sei Missioni:
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Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo
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Rivoluzione verde e transizione ecologica
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Infrastrutture per una mobilità sostenibile
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Istruzione e Ricerca
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Coesione e inclusione
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Salute
Il PNRR italiano è fortemente orientato alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica (31,05 % delle risorse RRF) e alla trasformazione digitale (21,05 % delle risorse RRF). Su quest’ultimo punto, l’Italia, trovandosi al 24° posto nell’indice Digital Economy and Society Index 2020, intende reagire con decisione ed essere tra i paesi che raggiungeranno per primi gli obiettivi definiti dalla “Bussola Digitale” citata sopra.
La missione 4, fondamentale per la crescita del paese, riguarda l’istruzione e ricerca (16,13% delle risorse RFF):
“La missione 4 mira a rafforzare le condizioni per lo sviluppo di un’economia ad alta intensità di conoscenza, di competitività e di resilienza, partendo dal riconoscimento delle criticità del nostro sistema di istruzione, formazione e ricerca”.
Per molti anni l’ambito di Istruzione & Ricerca è stato penalizzato da scarsi investimenti e/o tagli e questo ha portato ad evidenziare una serie di problematiche, che, oltre a ripercuotersi sulla crescita economica, incide negativamente anche sul mercato del lavoro, come, ad esempio, nel caso dello skills mismatch tra istruzione e domanda di lavoro – molte imprese dichiarano di aver difficoltà nel reperire alcuni profili professionali e ci sono evidenti fenomeni di overskilling e underskilling – . Inoltre, c’è una bassa percentuale di adulti in possesso di un titolo di studio di istruzione superiore rispetto alla media europea, il tasso di abbandono scolastico è elevato (circa il 14,5% rispetto all’obiettivo del 10% previsto da ET2020). Questa situazione, almeno nel panorama italiano, si collega anche alle politiche di austerità, applicate dopo la crisi del 2008, finalizzate a stabilizzare i conti e il debito pubblico, limitando le azioni di sostegno all’economia, all’occupazione, alla R&S e all’istruzione. I decisori politici non hanno puntato con decisione sul favorire la presenza di professioni con alto capitale intellettuale, le innovazioni di prodotto, processo e organizzativo, e, soprattutto, la ricerca scientifica e l’istruzione, tutti aspetti ritenuti fondamentali nel PNRR, a partire dalla digitalizzazione, la ricerca e il sistema di istruzione nella sua interezza.
In Italia, il settore R&S risente del basso livello di spesa, soltanto 1,4% del Pil (2018) e dell’insufficiente numero di ricercatori privati e pubblici, che, nel 2017, sono soltanto il 2,3% degli occupati contro una media Ue del 4,3% (PNRR). Inoltre, le PMI, hanno la tendenza a non investire in ricerca, certamente più costosa, preferendo orientare le proprie risorse sulle basi scientifiche e tecnologiche già definite. È necessario evidenziare come i tagli e la mancanza di investimenti adeguati nella ricerca, in particolare negli ultimi dieci anni, non hanno favorito lo sviluppo di una struttura dedicata alla ricerca stessa, con evidenti ripercussioni anche nella formazione e impiego di figure professionali specifiche. Questi aspetti, sono un freno importante alla competitività e alla crescita economica del paese e rappresentano un’area di intervento importante per il PNRR.
La missione “Istruzione e ricerca” si propone di intervenire, oltre che sulla ricerca, sull’intero processo di istruzione, dagli asili alle università, il tutto finalizzato anche ad una maggiore collaborazione con le imprese, per allineare la domanda e l’offerta del mercato del lavoro. In particolare, sarà importante sviluppare un intenso e proficuo dialogo tra aziende, scuola, università e territorio, in un’ottica di occupazione, di ricerca, di sviluppo e innovazione. Inoltre, sarà fondamentale sfruttare al meglio le risorse previste dalla missione 4, per migliorare il percorso di orientamento dedicato ai giovani, tenendo in debita considerazione il processo di trasformazione digitale in atto, in quanto una scarsa preparazione sulle professioni attuali e future, sulle tecnologie digitali e sul mercato del lavoro, causa confusione, incertezza e possibili errori nelle scelte dei ragazzi, che determinano, di conseguenza, effetti negativi, sia a livello sociale, sia sul mercato del lavoro, sia sulla crescita economica.