Roma, 1 giu. – “Urge approvare quanto prima il ddl sugli infermieri di famiglia per l’attuazione della Mission Salute del Recovery Plan e approntare un piano post pandemico che metta nero su bianco cifre stanziate e il personale da impiegare nel recupero dei 145 milioni di prestazioni ambulatoriali saltate, per non parlare dei 747mila ricoveri di cui i cittadini non hanno potuto usufruire. Non è concepibile riaprire il Paese senza prevedere un numero di professionisti congruo al ripristino delle attività ordinarie del Servizio Sanitario Nazionale e all’attuazione del Pnrr, sulla pelle di professionisti che hanno già speso tutte le proprie energie psicofisiche e neanche possono riprendere fiato”. Così Giuseppe Carbone, segretario generale della Fials, commenta i dati della Corte dei conti che certificano anche il mancato impiego dell’Infermiere di famiglia, pietra angolare delle cure domiciliari su cui si basa il Pnrr.
Ne prevedeva l’assunzione di 9.600 già un anno fa il decreto Rilancio, ma ad entrare in servizio finora solo 1.132 professionisti. Per inquadrarli ci vuole una norma condivisa, e la Fials, in una lettera inviata oggi alla Commissione sanità del Senato, accoglie le proposte di legge n.1346 e n.1751 (a firma dei senatori Mariniello e Boldrini) suggerendo di unificarle e auspicandone l’approvazione in sede deliberante dei due rami del Parlamento, “essendo una legge la cui spendibilità – si legge – è realmente immediata” e il suo potenziale riformatore si dispiegherebbe nel rinnovo del Ccnl. La valorizzazione dell’Ifec, già presente nel Patto per la Salute, ripresa dalla decretazione nella fase pandemica e presente nel Pnrr, non specificava però “esatte competenze, requisiti culturali e professionali per accedere a tale funzione, lasciando alla libera interpretazione ed attuazione regionale se non aziendale la sua configurazione operativa”.
Risultato: il caos. Per questo la Fials richiama l’attenzione sul tempestivo varo di una norma che definisca la figura dell’Ifec, che il sindacato ritiene essere la “massima espressione di autonomia e competenza della professione infermieristica” e quindi “non possa essere un infermiere neolaureato – spiega la missiva – bensì un infermiere che unisca all’esperienza professionale pluriennale una specifica formazione specialistica successiva alla laurea”. Pertanto “non potrebbe che essere uno specifico incarico professionale come previsto dal vigente Ccnl del personale del SSN”, scartando l’ipotesi del libero professionista convenzionato “difficilmente configurabile nelle Case di comunità” del Pnrr.
“In questa ottica occorre intervenire senza perdere altro tempo – ribadisce Carbone – con un piano assunzionale straordinario”. Solo il 27,4% dei 32mila infermieri reclutati per l’emergenza Covid sono stati assunti in via definitiva, mentre il restante 72,6% versa nella precarietà. “Lavoratori usa e getta: una cosa inaccettabile – tuona il segretario generale Fials – non tolleriamo che chi prima è stato definito eroe, ora non meriti neanche un contratto stabile. Tanto più che c’è un’enorme carenza di infermieri e non è stata ancora potenziata l’assistenza domiciliare, centrale nel Pnrr”. Mentre si provvede alle riaperture, necessita un intervento di programmazione con piani operativi concreti in grado di spendere le risorse, visto che ne sono state utilizzate il 62%. “A tenere i cordoni della borsa chiusi sono state proprio le Regioni – attacca Carbone – non assegnando le prestazioni aggiuntive, né corrispondendo in alcuni casi indennità e premialità. Così i professionisti non possono più andare avanti: spremuti e buttati via, è ora di finirla”.