S’intitola “Elegìa delle cose perdute” lo spettacolo liberamente ispirato a “Os Pobres” (I Poveri) di Raul Brandao, con soggetto, regia e coreografia di Stefano Mazzotta (produzione Zerogrammi) – in scena DOMANI (giovedì 15 luglio) alle 19 nel sito archeologico di Monte Sirai a Carbonia, per la Stagione di Prosa Musica e Danza dell’Estate 2021 organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna poi un’incursione venerdì 16 luglio dalle 19 tra le rovine di Nora per il XXXIX Festival La Notte dei Poeti firmato CeDAC e ancora martedì 20 luglio alle 21 si replica a Lo Quarter di Alghero per un intrigante appuntamento nel cuore della città catalana tra atmosfere surreali e poetiche visioni.
Un evocativo racconto per quadri, danzato da Alessio Rundeddu, Amina Amici, Damien Camunez, Gabriel Beddoes, Manuel Martin, Miriam Cinieri e Riccardo Micheletti. Una creazione corale, realizzata per e insieme con gli stessi interpreti, per una riflessione sul tema «dell’esilio, della nostalgia, della tedesca Sehnsucht, della memoria come materia che determina la traccia delle nostre radici e identità». Una “parata” dal sapore quasi circense, in cui i personaggi si mettono a nudo, tra il ricordo del tempo passato e il rimpianto per i sogni infranti e dimenticati.
Una coreografia originale in cui si fondono eleganza e tecnica della danza contemporanea, tra energia e passione e la grammatica fantastica del nouveau cirque tra inattese acrobazie e momenti di autentica clownerie: “Elegìa delle cose perdute” indaga emozioni e stati d’animo, riscopre antiche e nuove ferite, legami spezzati e discorsi interrotti, di una piccola folla di donne e uomini, naufraghi della vita.
Focus sulle caratteristiche di ognuno, quelle qualità peculiari che ne definiscono la personalità, tra luci e ombre e si fondono in un ensemble, quasi a comporre una sinfonia di voci e gesti, di canti e lamenti, per una narrazione immaginifica, densa di pathos e delicato lirismo: creature enigmatiche e dense di mistero, segnate da inquietudini e motivati timori, ancorate alle proprie radici, allo struggimento per una terra lontana e ormai irraggiungibile, ma immersi nella fugacità del presente e e colme di speranze per il futuro.
Viaggiatori del tempo, portatori di antiche memorie ma gravidi di sogni, i protagonisti di “Elegìa delle cose perdute” raccontano la vertigine di chi si affaccia sull’abisso, sull’estremo limite, dopo aver lasciato dietro di sé le illusioni della giovinezza, gli affetti più cari, sospinto dalla corrente inarrestabile dei giorni, in una fuga dolorosa, ma necessaria, verso la ricerca di un nuovo equilibrio, di una nuova terra, di un approdo sicuro, magari per prendere lo slancio e di nuovo ripartire verso un nuovo mondo.
«Nell’indagine intorno al topos dell’esilio, questa creazione racconta, oltre il suo significato geografico, la condizione morale che riguardi chiunque possa sentirsi estraneo al mondo in cui vive, collocandolo in uno stato di sospensione tra passato e futuro, speranza e nostalgia – scrive nelle note il coreografo Stefano Mazzotta -. «Il desiderio che questa condizione reca in sé non è tanto il desiderio di un’eternità immobile quanto di genesi sempre nuove e di un luogo che resta, un luogo dove essa si anima di una rinascita che è materia viva, e aiuta a resistere, a durare, a cambiare. I quadri che compongono la narrazione, liquida nella sua forma site specific, costruita e pensata per spazi a cielo aperto, diventano la mappa di un viaggio nei luoghi (interiori) dei personaggi de I Poveri: figure derelitte e però goffe al limite del clownesco, accomunate dal medesimo sentimento di malinconica nostalgia e desiderio di riscatto, 6 anime, humus del mondo (direbbe Raul Brandao), 6 personaggi di pirandelliana memoria».
«Corpi e paesaggio dialogano in questa elegìa del vuoto che rimane – rivela Stefano Mazzotta – si riconoscono in un desiderio comune, una capriola del pensiero, in un incedere che è abbandono al tempo sospeso e ciclico di un valzer: una tristezza nostalgica chiede di essere celebrata, attraversata, dentro un desiderio non già di possesso ma di appartenenza. Ed ecco che dentro questa logica svanisce ogni idea di miseria o povertà possibile, non esiste più niente che possa essere davvero perduto».