Il suo lavoro sui temi sacri è unico e potente, fatto di materiali poveri e veri, che affonda le radici nella sua terra e entra nell’animo di chi guarda con una forza e una poesia rare da incontrare. Al fianco di queste opere, la mostra presenta alcuni libri, cuciti e in ceramica, un telaio e una selezione di sorprendenti disegni realizzati tra gli anni ’40 e ’60: piccoli fogli che illustrano la realtà in cui l’artista è cresciuta e testimoniano l’ampiezza e la profondità del suo sguardo sul valore e il peso della vita e su ogni singola cosa: le capre, i buoi, le donne e gli uomini che svolgono semplici attività quotidiane, dettagli di mani che tessono tenendo quel filo così centrale nella sua arte. Talvolta poche pennellate di acquerello danno maggior profondità alle immagini. A fare da contenitore alle opere gli ambienti della Cantina Antichi Poderi che sono già solitamente abitati dalla presenza dell’artista: sulle tende delle grandi finestre la grafia di Maria Lai anima la superficie bianca con frasi autografe, accompagnando il visitatore in una dimensione percettiva adatta a fruire al meglio i suoi lavori.
La mostra, che rimarrà aperta fino al 4 settembre 2021, anticipa l’apertura della prima edizione del Festival “Un filo bianco”, promosso dalla Fondazione e Archivio Maria Lai e dalla Parrocchia di Ulassai, iniziativa che si pone l’obiettivo di ragionare ogni anno, da diverse prospettive, su ogni singola Stazione della Via Crucis. Quest’anno la prima: Un’ingiusta condanna. In coincidenza con l’inaugurazione del Festival e della mostra, viene presentato il volume Maria Lai. Legarsi alla montagna, edito da 5 Continents Editions di Milano e la Fondazione Maria Lai, dedicato alla performance che dà il titolo al libro, di cui si celebrano i 40 anni, con un testo di Elena Pontiggia e fotografie storiche di Piero Berengo Gardin (vedi Scheda editoriale in Cartella Stampa).