“È un grande evento per la città che rende omaggio a uno dei suoi figli più illustri – ha detto il Sindaco Andrea Lutzu nella conferenza stampa di presentazione -. Carlo Contini, con la sua arte, ha dato tanto a Oristano. Ci ha lasciato in eredità un immenso patrimonio culturale che la città e l’istituzione comunale custodiscono con cura e con passione vogliono promuovere”.
“Il Comune di Oristano, supportato operativamente dalla Fondazione Oristano, organizza questa grande antologica commemorativa del pittore Carlo Contini nell’occasione del cinquantenario dalla morte del nostro illustre concittadino a cui è intitolata la Pinacoteca Comunale – aggiunge l’Assessore alla Cultura Massimiliano Sanna -. La data dell’evento, in un primo tempo prevista per giugno 2020, è stata rimandata a causa della complessa situazione sanitaria che sta attraversando il nostro paese. Oggi, possiamo onorare un impegno morale verso questo grande artista e mostrare alla città una ricca collezione di opere che testimonia la grandezza di Contini. Gli enti promotori e il curatore Giuliano Serafini stanno lavorando, anche grazie alla collaborazione degli eredi Carla e Valerio Contini, perché questo importante appuntamento con l’arte possa trovare il riscontro che merita”.
Le opere in mostra, provenienti da collazioni pubbliche e private, documentano i vari e spesso imprevedibili momenti del talento pittorico di Contini, un artista che come già si intuisce dal titolo della mostra – L’origine è la meta – ha sempre attinto alle proprie origini culturali e al folklore per procedere verso espressioni tra le più avanzate dell’arte contemporanea. Ed è appunto questa concomitanza di tradizione e attualità, dove le suggestioni etniche e le radici contengono come in un seme forme più vicine al sentire estetico del nostro tempo, che ha permesso al curatore di occuparsi per la terza volta dell’opera di Contini. Le altre sono state in mostre a Oristano (1998) e a Pistoia (2002).
Attraverso un ricco repertorio pittorico che dal figurativo si orienta gradualmente verso l’informale, la mostra intende evidenziare come in arte le categorie e le formule siano spesso pure convenzioni ideologiche.
“L’artista, come scrive nel cospicuo catalogo Giuliano Serafini – esperto tra l’altro di Burri, Pistoletto e Kiefer – agisce secondo una temporalità che è storica e insieme diacronica. Come dire che sta a lui “inventare” il suo proprio tempo. In tal senso l’opera di Contini, dagli intensi ritratti giovanili alle composizioni geometrizzanti della maturità, si fa paradigma di questa affascinante, fondamentale contraddizione”.
“Siamo veramente contenti e commossi che sia riusciti a organizzare questa mostra – ha detto Carla Contini concludendo la conferenza stampa -. Uno degli obiettivi che con mio fratello Valerio ci siamo posti era quello di riportare babbo a casa, perché nonostante abbia girato il mondo questa era la sua casa e questa mostra in qualche modo ci aiuta nel nostro intento”.
Nel titolo della mostra “L’origine è la meta”, il curatore sottolinea in modo icastico quale sia il senso vero dell’opera di Carlo Contini, artista che, a distanza di cinque decenni dalla scomparsa, si conferma come una delle presenze più complesse e significative della pittura sarda e nazionale del XX secolo.
Quel paradosso ci dice che il pittore di Oristano ha saputo evolvere a livello creativo senza perdere mai di vista le proprie radici, il proprio atavismo, la propria identità morale e culturale di nativo del glorioso Giudicato di Eleonora d’Arborea. Come dire che Contini è artista che “avanza” nel passato e conquista la propria modernità servendosi appunto delle forme, dei colori, della luce, ma anche delle passioni e degli umori ereditati dal secolare patrimonio folklorico della sua terra. Se dunque l’obiettivo, la meta, è quanto ha alle sue spalle, Contini sa di poter contare su una guida sicura, su una lezione genetica che, tra gli anni ’20 e ’30, dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Roma e un lungo soggiorno a Venezia, lo porta ad affrontare tematiche diverse. Ci sono in primis le processioni religiose e i riti ancestrali dove l’artista anticipa una sensibilità espressionistica e populistica che rinnova lo stereotipo vernacolare di cui gli ottimi Biasi e Figari si erano fatti lodati interpreti. In Contini, complice l’ammirazione per Rouault, il sentimento del sacro e del profano si fanno piuttosto valori equivalenti, imponendosi sia per poetica che per vigore espressivo; come nello spettacolare Processione de Su Jesus o Confratelli rossi (1927) o in Allegoria Arborense (1933-37) della chiesa della Madonna della Grazie di Solarussa, forse il più notevole esempio di pittura religiosa italiana del XX secolo. Introspezione psicologica e realismo spinto fino alla brutalità, sono le note ricorrenti della produzione ritrattistica (L’ubriacone, 1930, Titino Sanna, 1945, Confratello verde, 1948), genere assai frequentato da Contini fin dagli esordi: si ricordano i due magnifici autoritratti del 1922 e 1925 e più tardi, quelli da maturo del 1935.
Gli eterni ritorni dell’artista ad Oristano dicono di una vicenda creativa che – ormai aperta a influenze europee quali quelle di Ensor, Kokoschka fino, più tardi, a Delaunay – non saprà mai rinunciare al rassicurante recinto degli affetti. Negli anni ‘30 Contini insegna alla Scuola di Arti Applicate di Francesco Ciusa e nei ’50 alla Scuola di Avviamento Professionale per la ceramica di Vincenzo Urbani. Nel 1949 sposa la pistoiese Dorotea Guarducci, da cui ha due figli, Valerio e Carla. Nel 1956 è incaricato di eseguire una serie di grandi dipinti d’ispirazione storica e rurale per la Cantina della Vernaccia al Rimedio. Agli inizi degli anni ’50, la svolta verso il superamento della figurazione si avverte in opere quali Ballo tondo (1950), Sa Sartiglia (1952) e Pariglia (1955). Ma sarà solo con Ritmi di giostra (1959), dipinto che richiama modalità stilistiche del cubismo orfico, che Contini tenta e risolve con estrema naturalezza il linguaggio aniconico, anche se fino all’ultimo non abbandonerà del tutto il genere figurativo (Pietà, 1963, Vestizione de Su Componidori, 1965). Tra le prove più sentite di quest’ “altro” Contini – che in realtà resta l’erede legittimo del primo, dell’unico “Lelletto”, come veniva affettuosamente chiamato nel giro dei familiari e amici – si ricordano Pietà (1959), Processione de Su Jesus (1960), Santulussurgiu (1962), Luci e ombre del Supramonte (1961), Santulussurgiu vicolo nord (1966), fino all’enigmatico La macchia (1963), onirico rigurgito di una memoria privata e collettiva mai perdute. Chiudono la mostra e il catalogo, due grandi opere di uguale formato, eseguite a distanza di dieci anni (1958-68), che il curatore ha voluto affiancare in un virtuale dittico, là dove l’illuminata ambiguità del sacro che fa da filo conduttore all’intera opera del pittore di Oristano, tocca la sua più alta resa emblematica.
Giuliano Serafini vive e opera a Firenze. È uno dei più noti studiosi di Alberto Burri. Oltre a numerose pubblicazioni e conferenze, ha curato su di lui mostre pubbliche ad Atene, Madrid, Lubiana e Firenze. Tra le altre, ha curato e presentato, in Italia e all’estero, mostre di Pistoletto, Kiefer, Marino Marini, Karavan, Carrà, Bagnoli, Klasen, Umberto Mariani, Elisabeth Chaplin. Specialista di arte greca moderna e contemporanea, ha curato in Italia e in Grecia, mostre dei maggiori artisti ellenici di oggi: Halepàs, Tsoclis, Tetsis, Sorogas, Gaitis, Simossi, Karàs.
Per Giunti Editore ha scritto monografie su Burri, Lichtenstein, Rauschenberg, Matisse, Goya, Constable, Cézanne, Surrealismo, Art Nouveau.