Sos carceri. Una testimonianza di umanità dietro le sbarre
Sos carceri. Le riflessioni dell’arcivescovo di Bologna, cardinale Matteo Maria Zuppi sulla condizione carceraria e la giustizia riparativa
Carceri e giudizio
“Molte volte il detenuto non riesce a responsabilizzarsi rispetto al male compiuto- osserva l’arcivescovo di Bologna-. Semplicemente perché, in una logica meramente retributiva, viene immediatamente identificato con il proprio errore. E di conseguenza, non riesce ad acquisire una percezione oggettiva del male compiuto“. È il grande tema del giudizio e del giudicare l’altro. Di cui parla Gesù nel Vangelo: “Non giudicare, per non essere giudicato”. L’emettere un giudizio, aggiunge il cardinale, “equivale a condannare“. E “nella giustizia meramente retributiva, equivale a formulare un assioma”. Quello per cui “il colpevole è la sua colpa“. E, di conseguenza, va solo condannato e punito. “Questa era l’ossessione dei farisei di cui spesso ci parla il Vangelo– sostiene monsignor Matteo Maria Zuppi-. Essi dovevano giudicare per riuscire a mettere tutto in chiaro. Col problema che non c’era nulla di chiaro. Perché essi non sapevano giudicare se stessi“.
Pagliuzza invece della trave
A tale proposito il cardinale definisce “bellissima” la domanda che Gesù pone nel Vangelo: “Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?”. La risposta, secondo l’arcivescovo di Bologna, è legata “alla paura di scoprirsi uguali agli altri. Giudico l’altro per poter dire: ‘io non sono come lui‘”. Inoltre “è fondamentale per un carcerato riuscire a coltivare un po’ di speranza. E avere l’idea che si può avere ancora un futuro. Purtroppo la mentalità prevalente ci porta a identificare il carcere con il luogo in cui deve essere negata ogni speranza. Le espressioni semantiche con cui si descrive il carcere vanno chiaramente in questa direzione. La classica espressione ‘marcire in prigione‘, non significa altro se non questo. Il carcerato non deve avere futuro. Né poter sperare in un futuro“.
Sos acarceri: cambiamento
Un’espressione del genere, secondo il porporato, è “rassicurante”. Perché “accarezza la mentalità giustizialista e retributiva. Che sembra essere l’unica capace di dare vera sicurezza”. Al contrario, in Italia, “il sistema penitenziario dovrebbe garantire la speranza di cambiamento e di rieducazione”. Sarebbe questo il dettato Costituzionale, puntualizza il cardinale Zuppi.
Sos carceri
Ed è questo “uno dei motivi per cui papa Francesco si è pronunciato spesso contro l’ergastolo. Che altro non è se non una morte bianca”. Nell’ergastolo c’è, appunto, un’idea”. Quella che “chi ha commesso un reato, non deve avere più speranza”. L’assenza di speranza e, quindi, la nascita della disperazione fanno sì che prevalga solo la “percezione vendicativa del carcere“. La disperazione diventa “la vendetta a cui io condanno chi non è più visto come un uomo. Ma solo come un colpevole”, sostiene monsignor Zuppi. “Dare speranza, ovviamente, non significa disconoscere la colpa. Né chiudere gli occhi o far finta di non vedere il male commesso“, chiarisce il porporato.
Sovraesposizione e carceri
Secondo l’arcivescovo di Bologna, quando il dare speranza viene presentato come “buonismo”, si fa una sovrapposizione “molto pericolosa”. Perché il buonismo, in realtà, è un’operazione sbagliata. Non accettabile eticamente. “E aggiungerei, anche stupida e ignorante”, precisa il cardinale. “Identificare le cose buone, come la cultura o la concezione alta della vita, con il buonismo, vuol dire non tollerare la complessità. E liquidare superficialmente il sistema penitenziario e rieducativo esistente in Italia. Sistema che, indubbiamente, presenta maggiori complessità di un sistema meramente punitivo e vendicativo. È necessario fare la fatica di mettere insieme alcuni termini chiaramente opposti. Come ingiustizia e speranza. Punizione e redenzione“, evidenzia monsignor Zuppi.
Giacomo Galeazzi
Fonte: www.interris.it