Si alza il sipario sulla Stagione di Prosa Musica e Danza dell’Estate 2021 organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna all’Arena Mirastelle e nel sito archeologico di Monte Sirai a Carbonia: DOMANI (sabato 10 luglio) alle 21 debutta in prima nazionale all’Arena Mirastelle (in piazza Roma) “Che lo spettacolo abbia inizio” con drammaturgia e regia di Andrea Tedde, anche protagonista sul palco insieme con Francesco Peddoni. Una pièce originale ispirata all’epoca presente, con uno sguardo al passato: letteratura e musica s’intrecciano ai «pensieri quotidiani di questo particolare periodo», per una sorta di diario dei giorni del lockdown e del tempo “sospeso” della pandemia. Le Novelle del “Decameron” di Giovanni Boccaccio – grazie alle quali sette fanciulle e tre giovani avrebbero allietato le dieci giornate trascorse fuori dalla città di Firenze per sfuggire alla peste – fanno pendant con le storie di oggi tra “distanziamento sociale”, incertezza e paura, in un gioco di rimandi che privilegia la chiave della leggerezza e dell’ironia.
“Che lo spettacolo abbia inizio” celebra quindi la “ripartenza” dopo la chiusura dei teatri, la possibilità di ricominciare ad incontrarsi e assistere a una rappresentazione “dal vivo” – sia pure nel rispetto delle norme e delle distanze di sicurezza – come segnale di un prossimo e auspicato ritorno alla “normalità”. Un nuovo inizio dopo un periodo drammatico in cui sono venute meno molte abitudini e convinzioni radicate e perfino le basi della socialità: la diffusione dell’epidemia ha messo a nudo la fragilità umana e la vulnerabilità della nostra specie, oltre ai rischi insiti nello stravolgimento dell’ambiente e nello sfruttamento indiscriminato delle risorse, quai un monito e un invito perentorio al rispetto della natura.
Non avrebbe senso fare come se nulla fosse successo, nell’illusione che non possa più accadere ma neppure lasciarsi vincere dallo sconforto e dalla paura, rinunciare a vivere: il mondo dello spettacolo è uno tra i settori più penalizzati dalle misure adottate per limitare i contagi, a partire dal lockdown e dalla sospensione della manifestazioni, fino alla chiusura dei teatri. Eppure è importante guardare al futuro, ritornare sulla scena, restituire senso alla vita attraverso l’arte, e viceversa, in quel potente gioco di specchi tra realtà e finzione che permette di riconoscere e riconoscersi, di prendere le distanze, analizzare e comprendere le ragioni degli uni e degli altri, ma anche i torti inferti o subiti, curare le ferite dell’anima e elaborare il dolore, mettendo a nudo la verità.
Si riparte, come è giusto e forse inevitabile, dai classici, dai capisaldi della letteratura, come il capolavoro di Giovanni Boccaccio, le cento novelle del “Decameron” che affrontano, spesso con ironia e malizia, temi come l’amore nelle sue differenti declinazioni, nel contrasto tra Natura e Fortuna, la prima legata alle inclinazioni e ai desideri, da “governare” con l’intelligenza, l’altra capace di determinare i destini e dispensare felicità (o il suo contrario) secondo le leggi del caso, o del caos. Un’antologia di racconti trecenteschi sul gioco delle umane passioni per un vivace affresco della società, e un omaggio alle donne, al cui diletto specialmente è rivolta l’opera dello scrittore toscano, quale balsamo e distrazione per i cuori infranti e le inquietudini d’amore: Andrea Tedde si confronta con una pietra miliare della cultura europea per accostarla alla realtà contemporanea, dove tante cose sono fortunatamente mutate, a cominciare dalla condizione femminile, ma persiste il retaggio della tradizione patriarcale, con effetti spesso tragici sulla libertà e perfino sulla vita degli innamorati.
L’eros “bucolico” descritto dal Boccaccio si contrappone alle limitazioni imposte dalla pandemia, durante la quale baci e abbracci sono diventati tabù e gli incontri clandestini tra gli amanti – le trasgressioni alla fedeltà coniugale non meno delle liaisons non ufficializzate per matrimonio – son stati considerati “illegali” e pesantemente sanzionati, fino alla ridefinizione del significato della parola “congiunti” in una severa ripartizione geografica degli affetti e a una riscoperta, volontaria o meno, della “castità”. E l’incubo della “peste” si rinnova nel timore del contagio, con la consapevolezza della presenza di un “nemico” subdolo e invisibile cui, almeno fino alla produzione dei vaccini, era impossibile opporsi se non con mascherine e distanziamento, autoconfinandosi in un rigido isolamento in cui le nuove tecnologie hanno reso possibili quelle relazioni “virtuali”, croce e delizia del presente e del futuro.
“Che lo spettacolo abbia inizio” fa i conti con le debolezze e fragilità, i timori e l’incertezza che ci rendono umani, troppo umani, ma sul modello del “Decameron” si affida al potere catartico dell’arte e della bellezza, al fascino del racconto, per superare la crisi e ritrovare la dimensione conviviale nel rito del teatro, con un messaggio di speranza e quasi un inno alla vita.