Casa Manno per il Contemporaneo ha il piacere di invitarvi all’inaugurazione della mostra “Infinite corrispondenze. Numeri e colori“ di Salvatore Esposito, a cura di Mariolina Cosseddu. L’evento, organizzato con il patrocinio della Società Dante Alighieri – Comitato di Alghero APS, si terrà sabato 21 agosto a partire dalle ore 18:30. L’allestimento sarà visitabile fino a lunedì 20 settembre 2021 nei giorni di apertura del museo (ven, sab, dom, lun – ore 16.00/20.00) con ingresso a offerta libera.
Ad Alghero, dal 21 agosto al 20 settembre, sarà allestita a Casa Manno la mostra “Infinite Corrispondenze” di Salvatore Esposito. La curatrice, Mariolina Cosseddu così parla dell’opera dell’artista – “All’origine di questa mostra un duplice intento: rendere merito a un maestro della pittura e, allo stesso tempo, celebrare una lunga fedeltà alla città di elezione, scelta decenni addietro e mai abbandonata. Salvatore Esposito è uno dei grandi pittori che ha trovato nel paesaggio isolano l’ambiente ideale per le ragioni del suo lavoro, nutrito fin dagli anni Sessanta di luce e colore mediterranei. Una pittura analitica che nella frantumazione del tocco, nella giustapposizione di tasselli cromatici, nell’irreale percezione dello spazio, ha trovato il modo per conciliare i dati di una natura eccitata e il rigoroso uso del colore come mezzo di controllo compositivo. Ha costruito perciò negli anni una propria sintassi di astrazione formale riconoscibile come sua innegabile appartenenza, un senso della pittura radiosa e ritmica, magnetica e magmatica, mutevole e persino sensuale. Ci ha abituati a squarci di azzurri incandescenti, rossi incendiati, gialli eccessivi e blu senza misericordia. Per cambiare registro inaspettatamente e toccare corde di delicata musicalità, toni leggeri e quasi impalpabili come soffi d’aria. La costrizione di questi ultimi mesi entro un ambiente limitato, l’assenza dell’orizzonte aperto e vasto che ha catturato nelle opere degli anni Ottanta e Novanta, lo ha visto ripiegarsi su se stesso e difendersi, come dice lui, con le uniche armi a disposizione. Matite, lapis, pastelli e tanta indomita passione per il disegno e la pittura. Se l’immensità del mare aperto, la vertigine delle profondità, l’indefinito degli spazi luminosi hanno guidato la ricerca cromatica di quasi una vita pittorica, oggi la musica è cambiata. La forzata solitudine costringe l’artista a guardarsi dentro e per farlo c’è bisogno di uno specchio in cui cercarsi e in cui ritrova un’immagine che assomiglia a un autoritratto. A tanti, diversi, e quasi simili autoritratti. Salvatore Esposito ha lavorato così in quei giorni: un foglio su un supporto davanti a uno specchio con luce implacabile come implacabile è la sua matita che racconta ogni ruga, ogni cedimento, ogni paura che attraversa gli occhi. È una mascherina, icona di questo tempo infausto. Gli autoritratti come un diario di quei giorni, fedeli e spietati, perché l’arte questo deve fare, rivelare la vera natura delle cose, frugare negli interstizi delle forme, mettere a nudo le parti più oscure della realtà. Autoritratti moltiplicati, insistiti, quasi seriali: una impietosa radiografia della precarietà, dello smarrimento, delle ansie taciute ma leggibili sul volto smagrito, nei muscoli facciali contratti e, in fondo, nella vaga, distopica ironia che appena si intravvede nei segni finemente tratteggiati da una matita sapiente. Il paesaggio, diventato quello domestico, ha fagocitato lo sguardo dell’artista che negli oggetti del quotidiano ha trovato i motivi ispiratori di un’operazione discreta e meditativa, paziente e concettuale più di quanto non si creda, meno naturalistica insomma di come possa apparire a prima vista. Gusci di molluschi, ortaggi rigogliosi o rose in piena fioritura creano il microcosmo su cui si posa l’occhio pittorico che indaga la forma nel suo accadere mentre la mano ferma e perfettamente esercitata cattura dettagli, si sofferma nelle pieghe nascoste, conferma i toni luminosi e le ombre colorate. La cucina diventa il laboratorio in tempi di pandemia, lo studio dal vero di ciò che contiene perché la vita può annidarsi in ogni angolo, nelle cose trovate su un tavolo o su un lavello, nel cestino delle provviste o su un davanzale. Su questi oggetti si sofferma amorevolmente lo slancio del pittore, che li coglie come cose vive di cui occorre conoscere il segreto che celano, la natura profonda che conservano. Slegati dalla loro utilità immediata, non sono più cose ma verità visive, non si danno come inanimate presenze ma, al contrario, sono corpi, volumi, intuizioni narrative, storie di vita. La matita, con Esposito, ha gioco facile: guidata da un metodo consolidato, contempla, esplora, rivela e ricrea un’altra realtà, più “ferma” e certa, più solida e minuziosamente scandagliata nei suoi valori plastici e luministici. Le cosiddette nature morte sono rimodulate e ripensate, svuotate dei valori simbolici del passato e collocate in una prassi operativa di conoscenza, di analisi, di pensiero che vaga sulle cose vicine e a portata di mano: non nature morte ma nature ferme dunque, ritagliate nel vuoto di un contesto straniato che si dà come pura superficie di luce.
Il tratteggio febbrile, la ricerca dei passaggi chiaroscurali, le ombreggiature proiettate sono il risultato di un controllo mentale collaudato negli anni e affidato al disegno come strumento di meditata indagine sulle vicende del tempo presente. Intanto, nella lentezza dei giorni, Salvatore Esposito matura un’altra avventura pittorica, quella con Leonardo Fibonacci. Non so esattamente dove sia nata questa sua passione per il grande matematico ma i lavori in mostra misurano le nuove possibilità che Esposito affida al colore, un altro percorso insomma per “vedere il mondo”. La celebre successione di Fibonacci, che poi conduce all’altrettanto nota sezione aurea, così diffusa nella storia dell’arte, è all’origine della ricerca cromatica che anima gli ultimi lavori, frutto di una riflessione che coniuga le procedure di calcolo scoperte dal matematico pisano con il sistema di colori ideato dal pittore che sul colore ha speso una vita di ricerche. Se la “madama arithmatica” è presente in natura (come ha dimostrato ampiamente Fibonacci) anche il colore, nei suoi spettri e nelle sue infinite combinazioni, può dare vita a una teoria misteriosa dove i legami tra i toni sono magici e sollecitanti. Ne derivano composizioni regolate da una struttura di base (quella del rettangolo aureo) entro le cui coordinate galleggiano le masse di colore perfettamente commisurate alla geometria dell’insieme. Il reticolo ortogonale, che segna la perfezione matematica dell’impianto compositivo, accoglie i filamenti cromatici che si orientano in forme circolari roteanti su se stesse e, allo stesso tempo, sprigionano energia e vapore cosmico. Anche laddove sono più libere dalla scatola architettonica, le girandole di colore creano una sintassi dinamica e luminosa, quasi ipnotica e mutevole. Esposito studia le corrispondenze, le similitudini, le analogie e le opposizioni delle forme colorate così come le irradiazioni del tono sul piano del foglio e le loro implicazioni nei rapporti tra i pieni e i vuoti. L’artista si riappropria così della natura in forma numerica, fedele alla poetica creata negli anni: tutto è colore, sembra dire Esposito, tutto è luce, tutto è, come sosteneva il vecchio adagio pitagorico, numero, cioè equilibrio e armonia. La superficie è così luogo sperimentale di un linguaggio del colore come sistema universale che però Esposito piega ora a una teoria matematica che non sa ancora del tutto dove lo porterà ma man mano che sperimenta scopre nuove possibilità, nuovi accordi, infiniti percorsi operativi. Il suo diventa allora un viaggio sentimentale tra la bellezza dell’universo e quella del colore che dell’universo è comunque specchio e realtà immaginifica. Eppure, nello spostamento dal mare aperto alla logica dei numeri, Esposito mantiene saldi gli elementi di base del suo discorso visivo: la tensione del segno grafico, la vibrazione cromatica, la densità soffice dei nuclei compositivi, l’unitarietà visiva del tutto. La tessitura organica di queste composizioni, che non alterano dunque il dettato di astrazione lirica perseguito per decenni, è il risultato di una misurata scansione spaziale e di un ritmo progressivamente ampliato in ragione di un preciso metodo di calcolo. Come nell’ultimo dei lavori in mostra dove riesce a creare una nuova scala cromatica con i numeri decimali e dunque eseguire somme e moltiplicazioni cromatiche in un gioco di sfide non privo di una segreta soddisfazione poetica. Così, in queste prove e in questa scommessa con se stesso, Esposito riesce a dare vita a un giardino incantato con l’apparente freddezza delle leggi matematiche ma con il sublime sentimento del colore diventato musica“. Mariolina Cosseddu
Salvatore Esposito, nato nel 1937 a Gallipoli, nel 1960 è a Milano all’Accademia di Brera, dove frequenta i corsi di Mauro Reggiani. Marco Valsecchi nel 1965 scrisse che la pittura di S. Esposito, con i suoi mezzi più sottili, imbevuti di luce e di aria, evocava una realtà trasfigurata dal sentimento, e quindi impone un’immagine lirica, disposta all’elegia, con una gamma di colori freddi ed atmosferici che gli piaceva riferire per affinità all’azzurro impressionistico di Sisley. In seguito soggiorna a Milano, Berlino, Parigi con Studio a Milano e a Berlino.
Visita l’Africa del Nord, la Spagna, Londra e New York. Anche con questi viaggi in Esposito resta una verità artistica fatta di lirismo mediterraneo, accumulato negli anni dell’adolescenza a Gallipoli. “Una verità nativa, irreversibile, che si è rafforzata di verifica in verifica, di peregrinazione in peregrinazione, dallo studio di Giacometti a quello di Rauschenberg”, come osservò Guido Vergani nelle Monografie d’arte moderna Schubert, Milano, 1971. Infine, l’approdo a Sassari, dove il mai rimosso sentimento solare di forma e natura prorompe facendosi prepotentemente largo tra motivi ad esso estranei. Sileno Salvagnini, per la mostra alla Galleria Kairòs di Sassari del 1994, dirà che “c’è tanto più movimento nell’immobilità della ‘scrittura’ di Esposito, che non nelle scorpacciate percettive di cinetici e concettuali”. A Sassari, nel 1999, nel Palazzo della Provincia, l’ultima grande mostra “Pittura come incanto del paesaggio”, con catalogo Mazzotta, Milano, cui si rimanda per una completa bibliografia della critica. È stato docente di Anatomia artistica all’Accademia di Brera.
Visita l’Africa del Nord, la Spagna, Londra e New York. Anche con questi viaggi in Esposito resta una verità artistica fatta di lirismo mediterraneo, accumulato negli anni dell’adolescenza a Gallipoli. “Una verità nativa, irreversibile, che si è rafforzata di verifica in verifica, di peregrinazione in peregrinazione, dallo studio di Giacometti a quello di Rauschenberg”, come osservò Guido Vergani nelle Monografie d’arte moderna Schubert, Milano, 1971. Infine, l’approdo a Sassari, dove il mai rimosso sentimento solare di forma e natura prorompe facendosi prepotentemente largo tra motivi ad esso estranei. Sileno Salvagnini, per la mostra alla Galleria Kairòs di Sassari del 1994, dirà che “c’è tanto più movimento nell’immobilità della ‘scrittura’ di Esposito, che non nelle scorpacciate percettive di cinetici e concettuali”. A Sassari, nel 1999, nel Palazzo della Provincia, l’ultima grande mostra “Pittura come incanto del paesaggio”, con catalogo Mazzotta, Milano, cui si rimanda per una completa bibliografia della critica. È stato docente di Anatomia artistica all’Accademia di Brera.
Inaugurazione sabato 21 agosto 2021 alle ore 18:30
fino a lunedì 20 settembre 2021 – Ingresso a offerta libera
ven, sab, dom, lun – ore 16.00/20.00
fino a lunedì 20 settembre 2021 – Ingresso a offerta libera
ven, sab, dom, lun – ore 16.00/20.00