Per come la vediamo noi, gli infermieri italiani sono tutti a rischio. Riservare la priorità nella somministrazione della terza dose solo ad alcune categorie di operatori sanitari potrebbe funzionare se esistessero piani di prevenzione omogenei e di massa, con screening finalizzati alla previa valutazione dell’assetto immunologico di tutti gli operatori sanitari ai fini della loro successiva collocazione o meno nelle categorie prioritarie. «Se terza dose deve essere, anche per gli operatori sanitari, terza dose sia. Prendiamo atto del via libera del CTS. Prima di tutto, non entriamo nel merito della decisione del Comitato Tecnico Scientifico, che di concerto con il Ministero della Salute, ha stabilito nelle ultime ore, dando il suo assenso, questo emerge dalle parole del portavoce Brusaferro, di sottoporre alla terza dose, da subito, anche quegli operatori sanitari ritenuti a rischio, al pari di ottantenni e cittadini immuno-depressi.
Ben venga ed è sacrosanto che venga data priorità a quegli infermieri, a quei medici, a quegli Oss, che presentano gravi patologie pregresse.
Ma non possiamo “gettare nel dimenticatoio” tutti gli altri, cioè quelli che si sono spezzati la schiena nei turni massacranti dell’emergenza sanitaria, e che ogni giorno, da mesi, sono a rischio più di qualunque altra categoria di lavoratori.
Chiediamo pertanto ulteriori approfondimenti dedicati proprio a loro, indagini accurate, per comprendere, in breve tempo, se è scientificamente consigliabile o meno di allargare la terza dose a tutti gli operatori sanitari. Insomma, qualcuno ci dica, finalmente, numeri dell’evidenza scientifica alla mano, se e in quale percentuale decresce la copertura vaccinale nel tempo. E soprattutto, quali livelli percentuali di copertura i vaccini riescono a garantire contro la variante Delta, notoriamente piuù pervasiva di quella Alfa, dalla quale tutto ebbe inizio.
Chi si prenderà la responsabilità di vagliare caso per caso?
E se qualcuna di queste indagini arrivasse in ritardo, o se un infermiere già vaccinato, di servizio in un pronto soccorso, di base in buona salute, ma con un livello anticorpale basso, diventasse, una volta infettato, dal momento che è a costante contatto con decine di persone ogni giorno, veicolo di contagio per un collega, un paziente o un suo stesso familiare a sua volta immuno-depresso, non ancora sottoposto a terza dose, mettendo a rischio l’incolumità di quest’ultimo?
Ogni giorno quegli infermieri eventualmente soggetti ad un abbattimento dei loro livelli di immunità, potrebbero diventare veicolo inconsapevole di infezione per altri malati, per i colleghi, per i loro stessi familiari.
Anche chi non presenta patologie pregresse conclamate, ma possiede un quadro immunologico più delicato potrebbe infettarsi di nuovo.
Occorrono indagini, che fino a questo momento nessuno ci ha confermato di aver effettuato: quando si esaurisce effettivamente l’immunità del vaccino? Nessuno mai ha risposto in modo preciso a questo nostro quesito chiave».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Da mesi abbiamo chiesto, al Ministero della Salute, pubblicamente, uno studio accurato sull’efficacia del vaccino in relazione alle nuove varianti.
Continuiamo a sollecitare pubblicamente tutte le aziende sanitarie a monitorare, con screening costanti, le condizioni di salute degli operatori sanitari già vaccinati da mesi. E’ necessario aspettare di re-infettarsi, prima di sapere, finalmente, se gli effetti del vaccino si sono ridotti dopo sei/otto mesi?
Indagini accurate, regolamentazione precisa, prevenzione, controlli a tappeto sulla salute di tutti gli operatori sanitari del SSN. Non si può prescindere da tutto questo» – conclude De Palma.