I Romani avrebbero costruito una rete sofisticata e all’avanguardia di acquedotti tra Penisola Sorrentina e Costiera Amalfitana, nella zona alta. Interessanti le tecniche utilizzate per superare dislivelli di 800 metri.
Massimo Santaniello ( Pres. Archeoclub d’Italia sede di Castellammare di Stabia) : ” Dopo mesi di ricerche intense, seguendo percorsi, itinerari ed anche testimonianze archeologiche che a tratti si perdevano abbiamo ricostruito la rete di Acquedotti costruita dai romani tra la Penisola Sorrentina e la zona alta della Costiera Amalfitana. Inoltre riteniamo che a Castellammare di Stabia ci sia una grossa cisterna che raccoglieva l’enorme scorta di acqua di cui avevano bisogno sia la popolazione che il distaccamento della flotta del Miseno. Abbiamo individuato la cisterna sotto il complesso religioso di Santa Croce, solo una indagine geologica potrà rivelarci la presenza di cavità o di riempimenti di materiale di risulta che attestino la presenza di una grande cisterna a ridosso del porto, simile alla Piscina Mirabilis. Ora tutta la documentazione è al vaglio della Soprintendenza Metropolitana di Napoli!”.
Ricostruite da Archeoclub d’Italia le Antiche vie dell’acqua tra Penisola Sorrentina e Costiera Amalfitana!
“Le antiche vie dell’acqua, ricostruite grazie alla scoperta dei percorsi dei tre principali acquedotti che alimentavano l’Ager Stabianus.
Dopo mesi di esplorazione dei Monti Lattari, da Castellammare di Stabia a Lettere, passando per Pimonte e Agerola, abbiamo ricostruito il tracciato degli antichi acquedotti che percorrono le valli dei Monti Lattari.
Sono ben tre acquedotti: l’acquedotto più importante per portata e lunghezza è senza dubbio quello che ha origine dalla sorgente Acquafredda, posta a confine tra Agerola (NA) e Scala (SA), che giunge fino alla zona collinare di Quisisana a Castellammare di Stabia (NA). Abbiamo rinvenuto il castellum aquae, un tratto di acquedotto che corre nello speco sotterraneo, ricoperto da una volta in pietrame. Il tratto sotterraneo collega la sorgente di San Giuliano con la sorgente Acquafredda e termina la sua corsa nel vallone Pantanello dove scorre un’altra sorgente.
Giunti all’intersezione tra il canale sotterraneo e il vallone Pantanello abbiamo potuto constatare l’ingegno dei romani. I trattati di Vitruvio e di Giulio Frontino sugli acquedotti rappresentano le linee guida usate nell’antichità, molto simili alle moderne norme tecniche per le costruzioni. Ma a volte capita di dover derogare perché lo schema classico non è attuabile, in questo caso entra in gioco la sapienza e la conoscenza del genio umano. Infatti, i Romani dovettero affrontare un grande problema, superare un dislivello di circa 800 m per arrivare alla collina di Quisisana, tanta è la quota altimetrica dalle sorgenti di Agerola/Scala e i boschi della collina di Quisisana”. Lo ha annunciato Massimo Santaniello, Presidente di Archeoclub d’Italia sede di Castellammare di Stabia. Mesi di intensa ricerca condotta dagli esperti di Archeoclub d’Italia, guide, storici locali e che hanno rappresentato un duro lavoro. Una ricerca condotta sul campo con lo studio puntuale dei siti, dei percorsi, degli itinerari seguiti centimetro dopo centimetro.
Ecco come i Romani superarono il dislivello di 800 metri per creare una rete di Acquedotti davvero all’avanguardia e alle porte della Costiera Amalfitana!
“Quindi effettuarono il collegamento con speco sotterraneo della sorgente San Giuliano con quella di Acquafredda, per proseguire altri 350 m circa fino al Vallone Pantanello dove è ubicata la terza sorgente. A questo punto sfruttarono il vallone dove scorreva già l’acqua della terza sorgente, più piccola delle precedenti, che confluiva direttamente nel vallone molto ripido, formato da enormi salti di roccia calcarea, fino a giungere a Pimonte (NA) superando circa 500 m di quota. Avendo raccolto una grande quantità di acqua proveniente dalle tre sorgenti, la canalizzarono nuovamente per diversi km fino alla località Quisisana, adottando questo accorgimento almeno in un’altra occasione sempre nel territorio di Pimonte, nella parte urbanizzata dove per alcuni km, oggi, si perdono le tracce. Poi l’acquedotto canalizzato si vede di nuovo fuoriuscire da un fondo agricolo – ha continuato Santaniello – per essere canalizzato attraverso il Ponte Canale e seguire una pendenza costante fino alla zona di Quisisana dove culmina nel Castellum Deviorum. Da questo punto in poi sono visibili piccoli tratti di acquedotto lungo la collina stabiese, dove le antiche arcate sono state murate divenendo confini di proprietà private, i canali corrono sulla sommità dei muri di recinzione. Bisogna considerare che le sorgenti di Agerola/Scala sgorgano ad una quota di circa 950 m e l’acquedotto doveva trasportare l’acqua fino alla quota di 100 m circa. Secondo il trattato di Vitruvio avrebbe dovuto avere la pendenza di un piede ogni cento piedi, tradotto in percentuale 1%, è ancora più restrittivo il trattato di Giulio Frontino, in sintesi significava realizzare un acquedotto a pendenza costante lungo 850 km. Quindi era importante realizzare dei tratti ove il salto di quota fosse il più elevato possibile. Per tale motivo scelsero di canalizzare tutte le sorgenti in un unico punto di prelievo posto più a valle a circa 500 m di dislivello, in località Fondo Zampino in via Gesinelle a Pimonte. Attraverso un pozzo circolare l’acqua veniva di nuovo convogliata nello speco sotterraneo a sezione rettangolare”.
Dunque una rete di ben tre acquedotti.
“Un secondo acquedotto di portata e lunghezza leggermente inferiore al primo ha origine dalla Valle dell’Imbuto nella frazione di Caprile a Gragnano (NA), percorre un tratto di alcuni Km lungo un sentiero panoramico, attraverso delle arcate raggiunge l’attuale centro abitato fino a Piazza San Leone, poi le tracce si perdono a causa della eccessiva urbanizzazione e trasformazione del territorio, ma come per Quisisana, potrebbe essere stato convogliato nel vicino vallone – ha proseguito Massimo Santaniello, Presidente di Archeoclub d’Italia sede di Castellammare di Stabia – e giungere alla collina di Varano, dove sorgeva l’abitato principale di Stabiae. Alcuni resti sono stati ritrovati nella zona orientale di Castellammare di Stabia in Traversa Savorito”.
Ritrovato anche il Terzo Acquedotto!
“Un terzo acquedotto, il più piccolo per portata, ma a tratti molto suggestivo, parte dalla sorgente della frazione di Orsano a Lettere (NA) e giunge fino all’attuale centro abitato nei pressi di Piazza Roma – ha continuato ancora Santaniello – poi si perdono le tracce. Lungo il percorso abbiamo rintracciato una cisterna di forma circolare leggermente schiacciata al centro quasi a formare un ovale. Il tratto di acquedotto ha origine dalla sorgente ove è stato rinvenuto il caput aquae, attraversa un ponte canale a tre arcate (di cui sono ben visibili i resti) e giunge fino ad un castellum deviorum, dove viene raccolta un’altra piccola diramazione che corre lungo la parete rocciosa con un percorso semicircolare. Lungo il sentiero che conduce a valle si notano i resti di un pozzetto di sfiato. L’acquedotto continua sotto la strada moderna per circa 1 km e giunge alla cisterna posta sotto il belvedere di via Canali, utilizzata come serbatoio dell’acquedotto municipale fino all’avvento della G.O.R.I. Spa che ha realizzato un nuovo bottino di presa a qualche decina di metri di distanza”.
Ed infine ecco le motivazioni che porterebbero alle origini romane degli acquedotti.
“Come è nostra abitudine abbiamo cercato documenti relativi ai tre acquedotti e non abbiamo trovato indicazioni soddisfacenti. Una confusione tale da attribuire all’acquedotto di Quisisana l’origine Borbonica, all’acquedotto della valle dell’Imbuto l’origine medievale e all’acquedotto di Lettere l’origine romana. A questo punto abbiamo deciso di verificare di persona la consistenza di questi acquedotti e la tipologia costruttiva. Nel corso delle ricerche esplorative durate mesi abbiamo potuto verificare che tutti e tre gli acquedotti avevano le stesse caratteristiche costruttive, un intonaco lucido con effetto marmoreo, impermeabile e resistente come solo i Romani sapevano realizzare. Il canale era poi ricoperto da pietra calcarea non squadrata – ha dichiarato Santaniello – molto probabilmente per rendere più semplici gli interventi di manutenzione. Tutti i tre gli acquedotti si sviluppavano percorrendo le curve sinuose della montagna per giungere a valle. Abbiamo considerato che l’abitato di Stabiae si sviluppava da Castellammare di Stabia a Sant’Antonio Abate e le uniche sorgenti da cui attingere acqua erano poste sui Monti Lattari, da Agerola a Lettere e da Gragnano a Castellammare di Stabia. Abbiamo considerato che gli abitati di Gragnano, Lettere e Pimonte si sono sviluppati solo successivamente al periodo di massima espansione di Stabiae avvenuta prima dell’eruzione pliniana del 79 d.C. per cui nessuno avrebbe ordinato la costruzione di km di acquedotti per alimentare ville rustiche isolate ma solo un abitato consistente e ben organizzato, composto da ville rustiche e ville di otium, con esigenza di alimentare le case, le fontane e le terme. E’ stato recuperato un testo stampato nel 1833 sul trattato delle acque terapeutiche di Castellammare di Stabia. Esso faceva riferimento alla presenza di diversi acquedotti e diramazioni che alimentavano la collina di Qusisana, la valle dei mulini di Castellammare di Stabia e la zona orientale della città, oltre alle derivazioni per il centro antico. In questo testo si faceva riferimento ad un antico acquedotto di Quisisana riparato nel 1783 perchè mal ridotto a causa del tempo “distruggitore”. Anche per l’acquedotto di Lettere nel codice Fattorosi si fa riferimento ad un acquedotto riparato Nel XVI secolo ad opera di Cristano Fattorosi e Antonio Fattorosi ripararono l’acquedotto per far rifluire l’acqua alle fontane di Lettere. Mentre per la Valle dell’Imbuto vi era una ipotesi che fosse stato costruito dalla famiglia Quiroga nel XVI secolo per alimentare i Mulini ad acqua”.
Presenza anche di archi in opus lateritium!
“Inoltre, su due ponti canale situati lungo l’acquedotto di Quisisana abbiamo constatato la presenza di archi in opus lateritium tipiche delle costruzioni romane. Chi ordinò la costruzione dei tre acquedotti dovette sostenere notevoli costi, si pensi che la sola riparazione dell’acquedotto di Quisisana costo ai Borbone 154.000 ducati, equivalenti agli attuali 10 milioni di euro. Nessun privato avrebbe mai realizzato un’opera così costosa per alimentare ville o mulini, ma solo per un reale interesse pubblico. L’utilizzo per i mulini è avvenuto solo dopo la caduta dell’Impero Romano e in epoca medievale sfruttando le grandi infrastrutture che avevano realizzato i Romani. Ricordiamo che prima dei Romani erano i Sanniti ad avere il controllo dei Monti Lattari – ha concluso Massimo Santaniello – e della piana del Sarno. Altra riflessione che occorre fare sono i tanti sentieri che sono stati realizzati proprio sugli acquedotti e quelli che collegano tutti gli acquedotti percorrendo i boschi, scavati nella roccia e pavimentati con grosse pietre calcaree. Ebbene sono opere strategiche che avevano il compito di raggiungere e controllare le sorgenti per effettuare la manutenzione, un concetto che al giorno d’oggi sfugge. Riuscire a rifugiarsi tra le montagne in caso di necessità e raggiungere le sorgenti in luoghi di difficile accessibilità.
Sempre a Castellammare di Stabia riteniamo che ci sia una grossa cisterna che raccoglieva l’enorme scorta di acqua di cui avevano bisogno sia la popolazione che il distaccamento della flotta del Miseno. Abbiamo individuato la cisterna sotto il complesso religioso di Santa Croce, solo una indagine geologica potrà rivelarci la presenza di cavità o di riempimenti di materiale di risulta che attestino la presenza di una grande cisterna a ridosso del porto, simile alla Piscina Mirabilis.
Per tutti i motivi esposti, in attesa che la Soprintendenza Metropolitana di Napoli valuti la documentazione inviata il 2 gennaio 2021, e confermi o smentisca le nostre ipotesi di studio, noi riteniamo che i tre acquedotti siano tutti di origine Romana.
Come Presidente dell’Archeolcub d’Italia aps “Stabiae” desidero ringraziare in modo particolare i soci che hanno condiviso con me le varie esplorazioni, da Wolf Martin Murmann e Vincenzo Esposito da Anna Maria Farricelli a Orsola Somma e Nunzia Gentile, da Stefano Santaniello all’archeologa Rachele Esposito e a tutti gli altri soci che a vario titolo hanno contribuito agli studi, alle esplorazioni e alle scoperte effettuate tra i Monti Lattari.
Infine, un grande ringraziamento Presidente nazionale di Archeoclub d’Italia, Rosario Santanastasio che segue con attenzione i nostri studi”.