Sanità, Nursing Up De Palma: «Un infermiere diabetico di Palermo, già vaccinato, sarebbe in queste ore in fin di vita. Chiediamo sia fatta subito luce su questa delicata vicenda».
Il Presidente del Sindacato Nazionale Infermieri: «Un professionista, con patologie pregresse, dovrebbe sentirsi tutelato, non ogni giorno, ma ogni minuto, dalla propria azienda sanitaria. Non possiamo, non è rispettoso, ricollegare tutto alla mera casistica legata a quel famoso 95% di efficacia del vaccino. La vita umana va ben oltre una percentuale»
ROMA 24 SETT 2021 – «Un infermiere di 43 anni, sottoposto alla prima dose già a gennaio, e coperto con la seconda nelle settimane successive al pari di tanti altri colleghi, riversa oggi in gravissime condizioni a causa del Covid. In queste ore, come ci riferiscono i nostri referenti, l’uomo, originario di Palermo, sarebbe in fin di vita per una gravissima forma di polmonite.
E’ stato trasferito sabato scorso dalla Terapia intensiva dell’ospedale Cervello di Palermo, all’Istituto Mediterraneo trapianti per essere sottoposto a respirazione extracorporea (Ecmo), ultima possibilità per salvargli la vita. Come tanti colleghi, otto mesi fa aveva completato il ciclo vaccinale.
Chiediamo a questo punto seri e dettagliati approfondimenti. E non accettiamo, in alcun modo, che tutto ciò finisca nel calderone, “timbrato” come un fatto normale e sfortunato, che rientra nella della mera casistica di quel 5% di inefficacia del vaccino anti-covid.
Ribadiamo – insiste De Palma – la nostra richiesta pubblica al Ministero della Salute, affinché delle motivazioni dei tanti contagi tra gli operatori sanitari sia data contezza attraverso studi ed approfondimenti specifici. Chiediamo di conoscere quali sono i livelli di copertura immunitaria del vaccino rispetto alla variante DELTA. Chi ci assicura che siano gli stessi della variante originaria ALFA? Siamo certi si tratti ancora del 95%, oppure l’efficacia si è ridotta?».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Governo e Regioni si sono trincerate troppo spesso dietro quella piccola percentuale (circa il 5%) di persone che sarebbero refrattarie al vaccino, dimenticando che siamo alle prese con vite umane, prima ancora che con professionisti della sanità.
Il contributo che abbiamo pagato, in termini di decessi e di contagi, noi infermieri italiani, è pesantissimo. E i dati INAIL ribadiscono in modo schiacciante che l’82% degli operatori che si sono infettati sono infermieri. Ma non è tutto, perchè al primo posto, per quanto riguarda la categoria di lavoratori che ha riportato negli ultimi mesi il maggior numero di vittime sul luogo si lavoro, ci siamo ancora noi!
Possono garantire, le Regioni e le aziende sanitarie ed ospedaliere, che in casi come questi l’infermiere sia tutelato da screening di massa e continuativi?
A che punto è l’attività di misurazione del livello anticorpale degli operatori sanitari già vaccinati?
Ci possono assicurare che è stato fatto tutto il possibile, in termini di prevenzione, affinché il 43enne non si ammalasse?
Un infermiere diabetico che decide volontariamente di vaccinarsi, che agisce con professionalità e coscienza, dovrebbe sentirsi sicuro in merito al suo livello di protezione, soprattutto perchè la sua salute è già precaria.
Ci dicano allora, numeri certi ed evidenze scientifiche alla mano, quanti infermieri oggi, vaccinati a inizio anno, si prendono cura dei pazienti in ospedale con un livello immunitario insufficiente a garantire la loro salute. Faccia chiarezza il Ministero della Salute sui tempi di efficacia del vaccino. La vita di un uomo, di un infermiere, non rappresenta una mera casistica» – conclude De Palma.