Teatro del Segno, Teatro Senza Quartiere per un quartiere senza teatro, Stagione 2021-2022. Bocheteatro, Bachisio Spanu, Epopea di un contadino sardo alla grande guerra. Libero adattamento di Marco Parodi da “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu, con inserti tratti da “Roccu u stortu” di Francesco Suriano, con Giovanni Carroni / regia Marco Parodi. TsE di Is Mirrionis – via Quintino Sella – Cagliari – sabato 30 ottobre – ore 21
La Storia in scena con “Bachisio Spanu / Epopea di un contadino sardo alla grande guerra”: il racconto della prima guerra mondiale con le parole semplici di un fante della Brigata Sassari che ricorda la dura vita di trincea, tra l’eroismo dei soldati e l’inadeguatezza dei comandi, nel coinvolgente spettacolo del Bocheteatro – con regia e drammaturgia di Marco Parodi – in cartellone DOMANI (sabato 30 ottobre) alle 21 al TsE di Is Mirrionis in via Quintino Sella a Cagliari per un nuovo appuntamento con la Stagione 2021-2022 di “Teatro Senza Quartiere” organizzata dal Teatro del Segno con la direzione artistica di Stefano Ledda.Sotto i riflettori un intenso e convincente Giovanni Carroni, che presta corpo e voce a un soldato, testimone e insieme carnefice e vittima di quella tragica carneficina: la pièce, liberamente tratta da “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu con inserti da “Roccu ‘u stortu” di Francesco Suriano (tradotti in Campidanese da Rossana Copez), mette in luce lo stridente contrasto tra la reboante retorica bellica e la cruda realtà fatta di “fango e cognac”, tra errori strategici e il sacrificio inutile di tanti uomini – e mette l’accento sull’assurdità e inutilità del gioco delle armi.
Viaggio nella memoria con “Bachisio Spanu / Epopea di un contadino sardo alla grande guerra” del Bocheteatro, in cartellone DOMANI (sabato 30 ottobre) alle 21 al TsE in via Quintino Sella nel cuore di Is Mirrionis a Cagliari per un nuovo appuntamento con la Stagione 2021-2022 di “Teatro Senza Quartiere” organizzata dal Teatro del Segno con la direzione artistica di Stefano Ledda.
Sotto i riflettori l’attore nuorese Giovanni Carroni nel ruolo di un un fante della Brigata Sassari che tra flashback visionari e personali considerazioni, in una sorta di diario dal fronte, racconta la sua verità sulla prima guerra mondiale.
Una cronaca avvincente e in prima persona, una ricostruzione insieme amara e struggente dell’efferatezza del conflitto, lontana dall’astrazione degli storici e degli strateghi, attraverso lo sguardo di un protagonista (suo malgrado) dell’immane catastrofe.
Liberamente tratto da “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu con inserti dal monologo “Roccu ‘u stortu” di Francesco Suriano (tradotti in Campidanese da Rossana Copez), lo spettacolo, con drammaturgia e regia di Marco Parodi, rievoca una pagina tragica della Storia d’Europa attraverso la testimonianza di un soldato che ha sofferto la fame e il freddo nelle trincee, e ha sperimentato la paura e la disperazione, guardando la morte in faccia tra il rumore degli spari e il crepitio delle mitragliatrici.
Un racconto vivido e coinvolgente, in cui il ricordo dei momenti più drammatici e tesi si intreccia alle amare riflessioni sul senso del conflitto, sull’inutile sacrificio di vite umane per ridisegnare scenari e delicati equilibri.
La grande e terribile avventura bellica ha trasformato il mondo e la società, lasciando segni indelebili nel paesaggio, ma soprattutto nella coscienza di quanti, contadini e operai, studenti e insegnanti, medici, intellettuali e poeti, strappati al loro lavoro e alle loro occupazioni, hanno sperimentato sulla propria pelle la distanza tra i proclami e gli inni eroici, e la prosaica e crudele realtà.
La narrazione non segue il filo cronologico, non è una semplice cronaca degli avvenimenti, ma nasce dall’urgenza, dal riaffiorare di pensieri ed emozioni: con parole semplici il soldato Bachisio Spanu descrive la “sua” guerra, la dura esperienza della vita di trincea, dove ogni istante poteva essere l’ultimo, il colpo di un cecchino o il lancio di una granata potevano sfiorare o uccidere e la sopravvivenza era figlia del caso, o della fortuna, ma l’ansia e la paura si confondevano con la noia delle lunghe ed estenuanti attese, in quel fronteggiarsi di nemici invisibili e, in fondo, fratelli.
Sulla falsariga del romanzo-memoriale di Emilio Lussu, lo spettacolo affronta temi cruciali – da un lato l’inutilità e assurdità della guerra, dall’altro il contrasto tra il valore e il coraggio dei soldati e l’inadeguatezza dei comandi, messa ancor più in evidenza dalla rigida gerarchia e dell’esasperata disciplina militare.
La Grande Guerra – a un prezzo altissimo e insostenibile – ha avuto il paradossale effetto collaterale di riunire in un certo senso l’Italia e gli italiani chiamati alle armi, costretti a condividere situazioni estreme nel fuoco incrociato degli eserciti, scoprendosi (dopo l’iniziale entusiasmo, almeno per alcuni, sull’onda della retorica interventista) male armati e male equipaggiati, in balia di comandanti spesso incapaci, ma pronti a far massacrare inutilmente centinaia di uomini per conquistare o mantenere una posizione.
Gli errori strategici e l’inadeguatezza dei mezzi son stati la causa maggiore delle perdite e l’eroismo dei singoli – ufficiali e soldati – si contrappone alla sostanziale impreparazione degli alti comandi, legati ad una visione anacronistica delle tecniche di combattimento, e dell’onore militare: il moderno gioco delle armi già agli inizi del Novecento implica l’uso di tecnologie e strumenti sempre più raffinati, e fatali.
La guerra di trincea – con i due eserciti schierati uno di fronte all’altro in una logorante attesa, spezzata di tanto in tanto da qualche inutile assalto, da ritirate e avanzate, anche di pochi metri – crea una dimensione fuori dal tempo, nell’immobilità, e scomodità delle postazioni, dove paradossalmente gli uomini imparano a conoscersi davanti alla prova del fuoco.
I sardi hanno modo di dar prova di straordinaria bravura, nasce l’epopea della Brigata Sassari – anche se poi al termine del conflitto le promesse non verranno mantenute, e l’Isola – come la Penisola – si troverà a fare i conti con la povertà, le campagne abbandonate, i reduci e i mutilati che stentano a reinserirsi nella società, le vedove e gli orfani.
“Bachisio Spanu” – attraverso le parole di un fante della celeberrima Brigata Sassari, un contadino sardo mandato a combattere contro un nemico sconosciuto – disegna un vivido affresco dell’Italia al fronte, in quella terribile guerra fatta di “fango e cognac”: i suoi ragionamenti sulla lucida follia che spinge gli uomini ad uccidersi l’un l’altro, e a farsi uccidere per un ideale, lasciano il posto alla ricostruzione, vibra