Infatti, nell’ipotesi di un aumento medio dei prezzi del 3% si perderebbero circa 2,7 miliardi di consumi che potrebbero arrivare fino a 5,3 miliardi nell’ipotesi – non tanto irrealistica – di un’inflazione al 4%. In entrambi i casi, quasi i tre quarti della perdita deriverebbero da un’immediata riduzione del potere d’acquisto del reddito disponibile, il resto dall’erosione della ricchezza finanziaria detenuta in forma liquida.
E’ quanto emerge dall’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio, sugli effetti di un rialzo dell’inflazione sui consumi delle famiglie nel quarto trimestre 2021. Le stime distinguono la variabile ricchezza finanziaria in liquida e non liquida: meno 1% e 1,9% circa di consumo a fronte di un incremento dell’inflazione, rispettivamente dal 2% al 3% (primo scenario) e dal 2% al 4% (secondo scenario) nella media del quarto trimestre dell’anno in corso. Per il 70% le perdite stimate sono dovute a immediate riduzioni di potere d’acquisto del reddito disponibile, mentre per la restante parte al minore potere d’acquisto della ricchezza finanziaria detenuta in forma liquida e, quindi, non protetta dall’inflazione inattesa.
Data la rigidità delle spese obbligate si può immaginare, se gli scenari descritti dovessero risultare verosimili, un impatto piuttosto rilevante sui consumi commercializzabili. Non si possono trascurare neppure conseguenze più rilevanti per il 2022, anche in termini di crescita economica, negativamente influenzata da una minore domanda reale di consumo.
(ITALPRESS).