Epoché ArtEventi, e pensare che c’era Giorgio Gaber, di e con Andrea Scanzi, regia Simone Rota: venerdì 5 novembre – ore 21 – Teatro del Carmine – Tempio Pausania; sabato 6 novembre – ore 21 – Padiglione Tamuli – ex Caserme Mura – Macomer; domenica 7 novembre – ore 21 – Teatro Tonio Dei – Lanusei
Nell’Isola sotto le insegne del CeDAC Andrea Scanzi con “E pensare che c’era Giorgio Gaber” – un coinvolgente omaggio all’indimenticabile artista milanese – in cartellone DOMANI (venerdì 5 novembre) alle 21 al Teatro del Carmine di Tempio Pausania, sabato 6 novembre alle 21 al Padiglione Tamuli delle ex Caserme Mura di Macomer e infine domenica 7 novembre alle 21 al Teatro Tonio Dei di Lanusei per la Stagione di Prosa 2021-2022Andrea Scanzi ritorna nell’Isola sotto le insegne del CeDAC con “E pensare che c’era Giorgio Gaber” – un personale e sentito omaggio all’intellettuale e artista, figura di spicco della cultura italiana del Novecento e inventore insieme con Sandro Luporini del teatro-canzone.
«Il Gaber più forte, quello più geniale, è spesso quello che meno si conosce» sottolinea l’eclettico giornalista e scrittore, autore e interprete teatrale protagonista DOMANI (venerdì 5 novembre) alle 21 al Teatro del Carmine di Tempio Pausania, sabato 6 novembre alle 21 al Padiglione Tamuli delle ex Caserme Mura di Macomer e infine domenica 7 novembre alle 21 al Teatro Tonio Dei di Lanusei per la Stagione di Prosa 2021-2022 organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna.
«Sono convinto che Gaber e Luporini siano stati profetici almeno quanto Pasolini» – scrive Andrea Scanzi nelle note di presentazione -.«In ogni loro canzone e monologo ci sono degli elementi di lucidità, profezia e forza che sono qualcosa d’incredibile.
La presenza scenica, la mimica, la lucidità profetica, il gusto anarcoide per la provocazione, il coraggio (a volte brutale) di “buttare lì qualcosa” e l’avere anticipato così drammaticamente i tempi, fanno del pensiero di Gaber-Luporini, oggi più che mai, un attualissimo riferimento per personaggi della politica, dello spettacolo, della cultura, del nostro sociale quotidiano».
Focus sulla figura e l’opera dell’eclettico cantautore, attore, regista e drammaturgo milanese: nel corso della sua lunga e intensa carriera, Giorgio Gaber ha spaziato tra diversi generi e stili, dal rock al jazz alla musica leggera, per trovare infine la sua dimensione nella canzone d’autore, mentre si accende l’interesse per il teatro, finché attraverso la fusione dei due linguaggi sperimenta, e porta a perfezione con Sandro Luporini, la forma del teatro-canzone, in un’alternanza di monologhi e melodie originali “a tema”.
Uno stile inconfondibile, umoristico e surreale, in cui le note di critica sociale e gli strali satirici si stemperano nell'(auto)ironia: nasce il “signor G”, quasi un alter ego dell’artista, che lo descrive come «una persona piena di contraddizioni e di dolori”, un individuo qualunque che però rappresenta in certo qual modo la somma e la sintesi di una più vasta umanità: «il signor G è un signor Gaber, che sono io, è Luporini, noi, insomma, che tentiamo una specie di spersonalizzazione per identificarci in tanta gente».
All’apice del successo come cantautore e presentatore televisivo, dopo la fortunata “Non arrossire” e “La ballata del Cerutti”, quattro edizioni del Festival di Sanremo, varie trasmissioni televisive e l’uscita dell’album “L’asse di equilibrio”, seguito da “Sexus et Politica” su testi di autori latini, e la pubblicazione di brani di forte presa come “Torpedo blu”, “Com’è bella la città”, “Il Riccardo” e “Barbera e champagne” Giorgio Gaber presenta il suo ultimo varietà sul piccolo schermo, “E noi qui” prima di intraprendere una nuova carriera sul palcoscenico.
«La fine degli anni Sessanta era un periodo straordinario, carico di tensione, di voglia, al di là degli avvenimenti politici e non, che conosciamo, e fare televisione era diventato dequalificante.
Mi nauseava un po’ una certa formula, mi stavano strette le sue limitazioni di censura, di linguaggio, di espressività, e allora mi dissi, d’accordo, ho fatto questo lavoro e ho avuto successo, ma ora a questo successo vorrei porre delle condizioni. Mi sembrò che l’attività teatrale riacquistasse un senso alla luce del mio rifiuto di un certo narcisismo» – racconta l’artista a Guido Harari, in un articolo su Rockstar (1993).
Una prima tournée nei teatri, insieme a Mina, con un recital in due parti, la prima affidata a Gaber mentre la seconda incentrata sulla signora della musica italiana, poi la svolta con “Il signor G”, che debutta al Teatro San Rocco di Seregno con la regia di Beppe Recchia nel 1970, e ritorna in scena in una versione ampliata nelle “Storie vecchie e nuove del signor G” che approda al Piccolo Teatro di Milano.
E poi “Dialogo tra un impegnato e un non so” (1972-73) che vede «da una parte il poeta diciamo così borghese, coi suoi problemi, i suoi dolori, le sue cose: un tipo un po’ compiaciuto, un po’ narcisistico; dall’altra, l’uomo che si è liberato del suo fardello individuale per dare un senso totale, collettivo alla propria vita» con pezzi emblematici come “Lo shampoo” e “La libertà”.
E ancora “Far finta di essere sani” (1973-74) che mostra la difficoltà di conciliare gli ideali e la dimensione del quotidiano, mentre in “Anche per oggi non si vola” (1974-75) si insinua il dubbio sulla reale volontà e capacità di cambiamento, con pezzi celebri come “Il coniglio”, “Angeleri Giuseppe”, “L’Analisi”, “La realtà è un uccello”; “Recital” è una sintesi dei precedenti lavori mentre “Libertà obbligatoria” (1976-77) affronta il tema cruciale delle scelte individuali a fronte dell’avvento della cultura di massa, per cui anche le posizioni antitetiche al sistema rischiano di diventare una “moda”, ma si ragiona anche di coscienza politica con “Le elezioni”.
Alla fine degli Anni Settanta “Polli d’allevamento” (1978-79) che smaschera le fittizie lotte contro il sistema e parla della delusione di chi realmente aveva creduto nell’idea di una rivoluzione culturale, oltre che sociale e politica, appare come una “provocazione”: in un crescendo di pathos, con i monologhi “La pistola” e “Il suicidio” e canzoni come “La festa” e “Quando è moda è moda” emerge un affresco dell’Italia contemporanea che suscita reazioni anche dirette e rabbiose tra una certa fascia di pubblico.
La tournée si interrompe e nel 1980 Gaber pubblica l’album “Pressione bassa” e esce anche “Io se fossi Dio”, una canzone della durata di 14 minuti scritta due anni prima, in seguito all’assassinio di Aldo Moro: «uno sfogo personale di uno che non ne può più della politica, che si sta inserendo in tutti i settori della nostra esistenza, del grande presenzialismo dei politici […].
[Una] politica che entrava dappertutto e che usciva rafforzata dal delitto Moro, invece di venirne colpita. Le bandiere bianche e rosse in Piazza San Giovanni furono il momento dell’affermazione dei partiti, che da quel punto hanno dilagato in ogni settore del nostro vivere.» (G. Harari, «Giorgio Gaber», Rockstar, gennaio 1993).
Giorgio Gaber ritorna sul palco al Teatro Lirico di Milano: la Rai realizza uno speciale, in quattro puntate, che comprende “Quasi allegramente la dolce illusione” e “Quasi fatalmente la dolce uguaglianza”.
All’inizio degli Anni Ottanta – tra un concerto con Francesco Guccini e Franco Battiato in favore del giornale Lotta Continua, l’uscita dell’album “Anni affollati”, la regia degli “Ultimi viaggi di Gulliver” e la partecipazione a “Il minestrone” di Sergio Citti nel ruolo del “profeta”, porta in scena “Anni Affollati” (1981-82) tra testi ironici e perfino irriverenti, come “L’anarchico” e “La masturbazione” e altri più amari e inquietanti come “Il porcellino”, con infine la spietata invettiva di “Io se fossi Dio”.
Mariangela Melato è la coprotagonista di de “Il caso di Alessandro e Maria” (1982-83) che parla della vita di coppia e delle questioni sociali dell’epoca, poi esce il Q Disc, “Ja-Ga Brothers” con Enzo Jannacci che rievoca la stagione e le scorribande musicali de I Due Corsari.
Giorgio Gaber firma la regia di “Dolci promesse di guerra” dei cantautori Alloisio-Lolli e della commedia musicale “Una donna tutta sbagliata” con Ombretta Colli (protagonista qualche anno più tardi di “Aiuto… sono una donna di successo”) e pubblica il disco “Gaber” con la sua nuova etichetta GO Igest.
Ritorna in scena con “Io se fossi Gaber” (1984-85) che -spiega l’artista -, «nasce dalla polemica sul misterioso termine “massa”, su quelli che hanno ceduto alla logica del mercato, sulla caduta di resistenza anche da parte degli ultimi che facevano il tifo per il gusto».
Si parla ancora di rapporto di coppia in “Parlami d’amore Mariù” (1986-87): «il mio protagonista è un uomo che prova a fare chiarezza in quel malessere poco individuabile che accompagna la vita. E lo fa attraverso un’indagine sui sentimenti». Esce anche l’album “Piccoli spostamenti del cuore”.
“Il Grigio” (1988-89 – Premio Curcio per il Teatro e il Premio Ascot Brun come migliore attore) parla di un uomo «che si ritira da un mondo che non gli piace, va a vivere in una casa isolata: e lì è assalito da tutta la sua vita, gli tornano addosso tutte le ansie, è costretto a una continua autoanalisi» ma è costretto a confrontarsi con un ospite inquietante: un topo.
«Quando l’uomo sprofonda nell’osservazione del sé, poi, riemerge, lentamente. È come la calma dopo la tempesta, si accetta. Tutto qui. Accettarsi».
Gaber e Ombretta Colli firmano a quattro mani la sceneggiatura del film tv “Una donna tutta sbagliata” di cui è protagonista Ombretta Colli; nel 1990 debutta al Teatro Comunale di Venezia la versione gaberiana di “Aspettando Godot” di Samuel Beckett con lo stesso Gaber (Vladimiro), Enzo Jannacci (Estragone), Paolo Rossi (Lucky) e Felice Andreasi (Pozzo).
Una nomination al David di Donatello per “Rossini! Rossini!” di Mario Monicelli (1991) e lo spettacolo antologico “Il Teatro Canzone”, con l’inedito “Qualcuno era comunista” (Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché sentiva la necessità di una morale diversa, perché era solo una forza, un sogno, un volo, era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita) in scena per tre stagioni consecutive, dal 1991 al 1994, con cui vince per la seconda volta il «Biglietto d’oro» Agis-BNL.
Un nuovo successo con “E pensare che c’era il pensiero” (1994-95) con canzoni come “Destra-Sinistra”, “Quando sarò capace d’amare” e “Mi fa male il mondo” e i monologhi “La sedia da spostare”, “L’equazione” e “Sogno in due tempi”, oltre a una riscrittura de “La realtà è un uccello” e “La Chiesa si rinnova” scritto in occasione del Concilio, ma ripensato per il pontificato di Giovanni Paolo II.
Nel 1998 debutta “Un’idiozia conquistata a fatica” che analizza la società italiana degli Anni Novanta, con canzoni come “Il potere dei più buoni” e “Il conformista”. Nel 2001 esce il disco “La mia generazione ha perso”, tra “classici” brani e inediti come “La razza in estinzione”; Giorgio Gaber appare anche in televisione, in due puntate del programma “125 milioni di caz..te” di e con Adriano Celentano, insieme con Antonio Albanese, Dario Fo, Enzo Jannacci.
L’ultimo album di Gaber – con il titolo emblematico “Io non mi sento italiano” – viene pubblicato postumo.
Tra immagini di repertorio, aneddoti e citazioni, Andrea Scanzi rievoca la figura dell’artista milanese in “E pensare che c’era Giorgio Gaber”, prodotto da Epoché ArtEventi con la regia di Simone Rota, e realizzato con il patrocinio della Fondazione Giorgio Gaber: un viaggio nell’universo e nella poetica del poliedrico cantante, attore, musicista, compositore, autore e regista teatrale che con le sue opera ha lasciato un’impronta indelebile nell’immaginario del Novecento – rivoluzionando il modo di rappresentare la realtà ma soprattutto rompendo regole e convenzioni, per analizzare il presente e il passato con lucida consapevolezza, pungente (auto)ironia senza mai rinunciare alla libertà d’espressione.