Esce “Eresia per Un Giorno Perso” di Valeriu Stancu
Esce “Eresia per Un Giorno Perso” per I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano DonnoNella collana di Poesia ALTRI INCONTRI a cura di Laura Garavaglia
“Eresia per un giorno perso” di Valeriu Stancu
Introduzione e cura di Andrea Tavernati e Traduzione in italiano di Simona Stancu
In copertina opera di Paola Scialpi
Valeriu Stancu è un esponente significativo di quelle letterature dei paesi dell’est ancora complessivamente poco conosciute nell’Europa occidentale –soprattutto la poesia- ma ricche di una loro personalità e tradizione, non solo profondamente radicate nella storia del paese, ma in continuo dialogo con i modelli alti del mainstream mitteleuropeo.
Valeriu Stancu è un caso emblematico di questa condizione “periferica”, che va sempre più sgretolandosi in un mondo 2.0, ma che consente ancora il privilegio dell’ “elicopter view”. Ci troviamo di fronte ad un poeta che guarda con amore e dedizione al simbolismo francese, di cui cita espressamente i numi tutelari Rimbaud e Baudelaire, prescindendo da ogni localismo e riferimento diretto alla sua travagliata Romania.
Del resto, da anni animatore di un festival internazionale di poesia a Iaşi, la città universitaria ai confini con la Moldavia, è abituato a confrontarsi con le voci degli autori di tutto il mondo e a meditare sui destini del linguaggio e dell’anima umana che attraverso di esso si esprime.
In Eresia per un giorno perso, la sua ultima raccolta poetica, che presentiamo al pubblico italiano nell’ottima traduzione di Simona Stancu, il senso del “riflesso” è molto potente. La percezione non appare agire in presa diretta sulle cose, ma attraverso immagini che sono riflessi “di altro”. La specificazione è in agguato ad ogni verso.
Le parole che portano un significato comune si legano ad altre in un fraseggio che le fa entrare nell’eccitazione di un contesto simbolico. Così queste parole diventano misteriose, bisogna tornarci sopra a più riprese, osservare come si comportano i significati in momenti diversi. Forse cercando di coglierle di sorpresa, stratificate nella costruzione di immagini eterodosse.
Il poeta è un indagatore della parola che si pone nei suoi confronti come davanti a un oggetto che non gli appartiene, perché è lo schermo e insieme l’emblema di una realtà sfuggente, esperibile solo con metafore vertiginose o con l’acribia della ripetizione sciamanica.
Ma il possesso del significante non coincide con quella del significato, è uno sforzo impari: al principio qualcosa è andato perduto per sempre e questo senso di perdita ineluttabile pervade la voce del poeta –come compare anche nel titolo- che descrive paesaggi algidi ed enigmatici come nei quadri di De Chirico. “La morte è la somma delle nostre rinunce”: una colpa sottesa, un accumularsi di errori di cui non ci siamo accorti, come “un volo di uccelli ciechi”. Il difetto è all’origine e ogni possibilità è preclusa, sebbene la potenzialità del volo sia intatta.
La parola poetica abita una waste land descritta impietosamente, ma con una fermezza priva di ostentazione. Rimanendo fedele alla propria cifra personale e alla propria formazione, Valeriu Stancu ama effettuare incursioni in diversi registri stilistici, che indugiano su contesti più narrativi, sfiorando la sconsolata ironia di “Accecamento” o la denuncia di una oppressione di contesto, come in “Lo specchio della speranza”.
Ma Valeriu Stancu è soprattutto un poeta di immagini mentali, nelle quali la cosa, e soprattutto l’elemento naturale è trasfigurato e ridotto al ruolo di segnaletica della perdita: alberi, uccelli, fiume e perfino morte sono elementi ossessivamente ricorrenti, come sliding doors di occasioni mancate o di condizioni ineluttabili, talvolta montate in un esasperato gioco di scatole cinesi –si legga “Monotonia”-.
La sensazione complessiva che se ne deduce è quella di una umanità impegnata in una faticosa navigazione a vista, nella quale la ricerca di punti di riferimento positivi, se viene continuamente sconfessata, non può nemmeno essere elusa o declinata verso performances di esseri migliori o supereroi. No, è un destino condiviso, una condanna inderogabile ed inutile come una fatica di Sisifo.
E anche una “sacralità della follia” di cui sono custodi i “lampadofori”, i poeti di ogni tempo, il cui unico rifugio risiede nell'”esilio interiore”. Che non è tuttavia una condizione facile da ottenere, se non nell’infanzia, bensì un territorio da conquistare e difendere faticosamente al di fuori dal tempo.
Il tempo è attesa di qualcosa che deve arrivare (la fede? La morte? Il boia?) ma non si sa dove e quando, oppure è una scansione ciclica che ubbidisce a ritmi naturali, ma imposti, e che subiamo come la condanna dell’orologio (altra immagine ricorrente).
La poesia, il poeta, forse hanno ancora la funzione di additare al tu, interlocutore indefinito ma sempre implicito, una zona franca, un porto sepolto, dal quale non si può muovere alla ridefinizione di un mondo alieno e incomprensibile, ma è possibile esercitare il proprio sguardo distaccato per ottenere un più elevato grado di coscienza. E sia pure “in absentia”, attraverso le “parole mai pronunciate”, che “rifiniscono il silenzio” in una condizione di inesistenza che è paradossalmente necessaria per ri-cominciare ad essere –ed è forse questa l’eresia che indica il titolo dell’intera raccolta, e non è cosa da poco (Andrea Tavernati)
VALERIU STANCU, Romania – Poeta, prosatore, saggista, editore e traduttore. È direttore della casa editrice Cronedit, caporedattore della rivista Cronica e direttore del Festival Internazionale EUROPOESIA. Come la rivista Cronica, Cronedit si occupa delle problematiche inerenti della traduzione e pubblica testi di noti autori contemporanei. I suoi testi sono apparsi in diverse riviste internazionali.
Le sue poesie sono state tradotte in varie lingue e sono state inserite in molte antologie e in riviste letterarie rumene e straniere. Uno dei volumi di poesia pubblicato in italiano s’intitola Nella porpora dell’ombra, (Edilet Roma, Italia, 2018).