Da spettatore cinematografico non ti aspetti che cada il sipario tra una scena e l’altra. Allo stesso modo il chiaro-scuro che interferisce sul grande schermo. Se guarderete questo film o se l’avete già visto provate a comparare le scene di Madres paralelas con quelle che potrebbero ricreare degli artisti di strada o in un qualsiasi teatro. Noterete che la naturalezza dei tratti espressivi dei volti sono particolareggiati e realistici, non sfuggono subito sullo schermo cinematografico, piuttosto si imprimono come uno scatto da esposizione lunga.
La trama, invece, parte da un punto preciso costituito da Janis (Penélope Cruz) per poi intrecciarsi a situazioni sempre più complesse, più politiche e profondamente storiche –anche se poco approfondite- come la questione antifranchista e dei desaparecidos della guerra civile spagnola. All’interno di questa problematica storica la narrazione si sviluppa nell’attualità confondendo in maniera non casuale la storia privata delle protagoniste con quella collettiva di madri parallele della storia totale. Un espediente narrativo che ricorda molto da vicino Les années di Annie Ernaux. E in entrambi i casi sembra non esserci traccia di figure maschili concrete e abbastanza solide.
Janis, come Janis Joplin, fotografa madrilena di successo e vicina ai 40 anni, è il motore di una narrazione a scatola cinese. In una delle prime scene avviene l’incontro tra la donna e l’antropologo forense Arturo (Israel Elejalde) al quale propone di scavare nel sito di una fossa comune di desaparecidos all’epoca della guerra civile spagnola. Sin da subito si avverte il forte legame di Janis con la sua storia familiare, i racconti di sua nonna, del paese in cui è cresciuta e della fossa comune in cui dovrebbe essere stato seppellito anche il suo bisnonno. Ma la storia, a questo punto, prende un’altra piega.
Janis resta incinta e la sua vita si lega nella stanza d’ospedale a quella di Ana (Milena Smit), minorenne rimasta incinta anche lei e della quale non si sa nulla. Ecco un’altra delle variabili esterne che va a rompere l’equilibrio iniziale. Le due donne si legano subito e subito si completano: sono l’una il contraltare e il completamento dell’altra. Le loro vite sono dei binari che si intersecano e si allontanano in determinati punti continuamente.
Tuttavia, di là da una semplice descrizione della trama e comparazioni non ovvie tra lo schema teatrale in Madres paralelas con altre pellicole di Almodóvar -un esempio bellissimo è il monologo di Agrado in Todo sobre mi madre e quello di Teresa (Aitana Sánchez-Gijón, madre di Ana)- invito a fare un altro tipo di osservazione. C’è un chiasmo che complica ulteriormente la narrazione: in realtà Cecilia è la figlia di Ana, mentre la figlia di Ana, morta nel frattempo, è la figlia di Janis. Infatti, durante la fase dell’osservazione in ospedale, le due neonate vengono scambiate, tipico espediente da dramma greco e risolto attraverso l’anagnorisis (ἀναγνώρισις), gli elementi che permettono il riconoscimento. Questo chiasmo costituisce il nodo principale di tutta la storia: il peso e il valore della verità. La fotografa madrilena è l’unica al corrente di questa verità. Una verità che alla fine Janis rivela nonostante i rischi di perdere Cecilia, proprio perché è cosciente del suo passato e sa quale strada deve percorrere, perché sa da dove proviene. E lo stesso vale per Cecilia.
Se la missione iniziale di Janis è quella di dare una degna sepoltura al suo bisnonno per chiudere con il passato e andare avanti con la sua vita, non può fare diversamente con la bambina. Janis non ne può tacere la verità perché “per quanto si tenti di ridurla al silenzio, la storia umana si rifiuta di tacere”, come cita la frase di Eduardo Galeano alla conclusione del film: “por mucho que se la intente silenciar, la historia humana se niega a callarse la boca”. E proprio in questa rivelazione/confessione di Janis che la storia, intesa come coscienza privata, crea un cortocircuito con quella collettiva.
Da spettatore il titolo del film può sembrare un enigma, nonostante il tema della maternità sia lampante. Questo perché “madri parallele” non rimanda solo alla maternità vissuta all’unisono da Janis e Ana che si concretizza nel momento in cui Ana si trasferisce a casa della fotografa per prendersi cura della piccola Cecilia. Le “madri parallele” sono donne single come Janis, Ana e Teresa che hanno visto sottrarsi i propri figli secondo cause storiche e private diverse, e sono tutte collegate da una verità non trascurabile: il dna. Sono madri e a loro volta figlie sopravvissute alla Storia alle quali è dato il compito di ricucire quella memoria con trame orali da tramandare nel tempo, oltre l’indifferenza del proprio Paese rappresentato squisitamente dalla figura altoborghese di Aitana Sánchez-Gijón: “Io sono apolitica. Il mio scopo è di piacere a tutti”.
(Giorgia Zoino)