Valentino Romano (archeologo Università di Foggia ): “Indagini di ricognizione sistematica nel territorio di Bovino su una superfice di 20 km quadrati. Individuati siti inediti, tra la preistoria e l’età tardo antica, una serie di insediamenti del neolitico e dell’età del bronzo e sono novità rilevanti. Individuati nuovi insediamenti rurali di età romana e ville molto importanti e tra questi un insediamento in zona pianeggiante un pretorium che per un certo periodo sarebbe stato di proprietà di un console romano e che con ogni probabilità costituiva il centro amministrativo di una grande proprietà imperiale che si estendeva nella zona pianeggiante del Tavoliere“.
Massimo Santaniello (Pres. Archeoclub D’Italia di Castellammare di Stabia) : “E in Campania un sistema di acquedotti di probabile origine romana da Scala a Castellammare di Stabia!”.
E domani briefing stampa nell’ambito della Conferenza Nazionale di Archeoclub D’Italia – Sala Velia – ex Tabacchificio – Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico – Paestum .
Sarà presente Vienna Cammarota – la prima donna che all’età di 73 anni percorrerà a piedi il cammino da Venezia a Pechino
Tutto il programma su Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico (borsaturismoarcheologico.it)
“Oggi Archeoclub D’Italia ha illustrato gli studi archeologici su Bovino, Castellammare di Stabia, Termini Imerese. A Bovino sta emergendo un notevole patrimonio archeologico ipogeo legato al sistema dell’acquedotto e della gestione delle acque. A Castellammare di Stabia siamo riusciti scoprire quasi 50 Km di acquedotti romani. Ecco come le sedi territoriali di Archeoclub D’Italia, associazione culturale nata 50 anni fa, sono sentinelle del patrimonio culturale – archeologico dell’Italia”. Lo ha affermato Rosario Santanastasio, Presidente Nazionale di Archeoclub D’Italia, a margine del briefing stampa tenuto alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum
“L’Università di Foggia sta lavorando molto sia sulla città che sul territorio di Bovino. Le indagini condotte nel centro storico hanno portato tante novità interessanti relative soprattutto al sistema di gestione delle acque. Abbiamo individuato una serie di cisterne e di canalizzazioni di epoca romana – ha affermato l’archeologo Valentino Romano dell’Università di Foggia – relative all’acquedotto romano che serviva la città e riteniamo che siamo dinanzi ad un patrimonio di notevole interesse che meriterebbe di essere valorizzato e fruito.
Abbiamo anche parallelamente condotto indagini di ricognizione sistematica nel territorio di Bovino su una superficie di circa 20 km quadrati e abbiamo individuato numerosi siti inediti, databili dalla preistoria all’età tardo antica. Le novità più rilevanti riguardano una serie di insediamenti dell’Eneolitico e dell’Età del Bronzo, periodo per il quale non si aveva sino ad ora conoscenza di insediamenti in quest’area, che si collegano al rinvenimento delle rinomate stele antropomorfe conservate nel locale Museo Civico.
Abbiamo anche individuato nuovi insediamenti rurali di età romana, fra cui alcune ville e un vasto praetorium, che nel II sec. d.C. sarebbe stato di proprietà del console romano Quintus Valerius Vegetus e che, con ogni probabilità, in età tardoantica costituiva il centro amministrativo di una grande proprietà imperiale che si estendeva nella zona centrale del Tavoliere”.
Dunque scoperte davvero uniche quelle illustrate oggi da Archeoclub D’Italia a Paestum
“La città di Bovino è uno dei borghi più belli d’Italia, situato nel comparto sudoccidentale dei Monti Dauni in provincia di Foggia. Ha rappresentato, nel tempo, importante via di collegamento tra la Campania e la Puglia – ha affermato Nunzia Roccottelli dell’Archeoclub D’Italia sede di Bovino, in Puglia – e ha goduto dei vantaggi derivanti dalla sua posizione di cerniera tra il cuore dell’Appennino e la grande pianura del Tavoliere, aperta sul mare Adriatico.
Intensamente abitata già dal Neolitico, divenne nell’Eneolitico luogo, unico nella Puglia e nel Meridione d’Italia, della manifestazione dello speciale fenomeno delle stele antropomorfe, affascinanti testimonianze del mondo spirituale e dell’assetto sociale delle comunità che le produssero. Per le età successive non mancano evidenze archeologiche risalenti all’Età del Bronzo come pure quelle di una frequentazione daunia aperta agli influssi della civiltà sannitica. Ma è con l’età romana che avviene il più significativo riconoscimento dell’importanza strategica del luogo con la fondazione di un vero e proprio centro urbano, Vibinum, i cui resti si rivelano oggi inglobati negli edifici del borgo medievale. Nonostante le informazioni sulla sua fondazione siano ancora lacunose, proprio le fonti, i materiali archeologici e le epigrafi, conservati nel Museo Civico Nicastro offrono indizi utili sulla ricostruzione della sua storia”.
A Castellammare di Stabia ben 50 Km di acquedotti romani!
“A Castellammare di Stabia, dopo particolari ricerche da noi condotte – ha dichiarato Massimo Santaniello, Presidente di Archeoclub D’Italia sede di Castellammare di Stabia – abbiamo trovato 50 Km di acquedotti romani. La città romana si riforniva di acqua dai Monti Lattari. Avevamo traccia di un acquedotto borbonico che si riteneva fosse di origine borbonica ma la domanda alla quale abbiamo cercato di dare una risposta : come faceva una grande città romana quale Castellammare di Stabia con 28 sorgenti, centrale per il rifornimento della flotta di Miseno a rifornirsi?
Sappiamo che l’acquedotto Augusteo del Serino alimentava le città della piana del Sarno, fino ad Ercolano e Pompei. Per una questione di altimetria lo stesso acquedotto non poteva alimentare Stabiae, in quanto il centro abitato era in gran parte situato sulla collina di Varano, ad una quota di circa 55 m sul livello del mare. Poiché contrariamente alla storiografia che ci è stata tramandata, riteniamo che Stabiae fosse una città molto grande ed estesa, basti pensare alle grandiose ville costruite lungo il ciglio della collina di Varano, ove sono state trovate tracce di tubazioni in piombo che alimentavano Villa Arianna e il cd secondo complesso, che verosimilmente dovevano provenire da un acquedotto o da una cisterna.
I circa 100 ritrovamenti casuali di resti di ville di otium, ville rustiche, di necropoli, di strade, ecc… sono una testimonianza che la città si estendeva su un ampio territorio. Inoltre, abbiamo rintracciato delle testimonianze scritte che i Borbone nel 1783 ristrutturarono l’acquedotto di Quisisana a Castellammare di Stabia, che una nota famiglia di Lettere nel seicento effettuò degli interventi sulle fontane pubbliche che anche i Farnese stipularono una convenzione per le acque dei Mulini.
Per tali motivazioni riteniamo che la città di Stabiae pur disponendo di 28 sorgenti di acque minerali in prossimità della linea di costa, dovette utilizzare le sorgenti provenienti dai Monti Lattari. In particolare, le sorgenti San Giuliano e Acquafredda provenienti dai comuni di Agerola e Scala, tale situazione è continuata in epoca borbonica e almeno fino al 1906, come attestato dai dati ISTAT.
Dunque è venuto fuori che sono circa 25 Km di acquedotto scavato nella roccia da Scala al Palazzo Reale di Castellammare di Stabia, al quale si aggiungono altri due provenienti da Lettere e Gragnano per complessivi 50 Km di acquedotti di probabile origine romana. E’ stata una ricerca lunga, accurata e costante. La speranza è che adesso le istituzioni attivino quelle politiche di valorizzazione che sarebbero davvero importanti per il territorio”.