“Nessun caso di tubercolosi né, tantomeno, di meningite, neanche sospette, tra i ricoverati nei reparti dell’area internistica. Vale la pena ricordare che se ci fossero stati casi di tubercolosi questi sarebbero stati ricoverati, come logico, nell’unità operativa di Pneumologia.
Dieci giorni orsono nella Medicina d’urgenza è stato ricoverato un caso di meningite batterica successivamente trasferita in rianimazione. Sono le precisazioni doverose del direttore sanitario dell’Aou di Sassari, nonché direttore della Medicina Interna del Santissima Annunziata, Francesco Bandiera, che interviene a seguito di alcune notizie pubblicate sull’Ansa e riportate, poi, da altri quotidiani.
“Abbiamo un caso di malaria, che viene trattato nel reparto internistico in collaborazione con gli infettivologi, – il secondo che trattiamo quest’anno – ma per questa patologia non si pone alcun rischio di diffusione di contagio tra i pazienti”, rassicura ancora il professionista.
Nella mattina di oggi sono stati registrati un gran numero di ricoveri ed è stato necessario ospitare alcuni pazienti su barelle. Nell’arco della mattinata, poi, in seguito a dimissioni è stato possibile liberare posti letto per ospitare i nuovi ingressi. Nel prosieguo della giornata, però, il sovraffollamento si è ripresentato per l’elevato numero di accessi.
“Siamo un ospedale che nonostante le difficoltà, in gran parte legate alla necessità di gestire la patologia COVID di tutto il nord e centro Sardegna , dà accoglienza e cure a tutti, anche se la domanda supera l’offerta – rimarca Francesco Bandiera -.
Siamo ormai mesi che registriamo un incremento di accessi di casi non Covid. E’ un fenomeno che sta interessando tutti gli ospedali maggiori della nostra Isola, si veda nei giorni scorsi quanto accaduto nel sud Sardegna, dove l’Ospedale Brotzu e l’AOU di Cagliari hanno chiesto la chiusura temporanea del rispettivo pronto Soccorso .Stiamo monitorando costantemente l’evoluzione della situazione con la struttura di Bed management”.
Una precisazione, poi, arriva sui casi di Klebsiella. “Si tratta di casi di persone colonizzate, cioè di persone che hanno l’infezione, che sono tenute isolate rispetto agli altri pazienti e nei confronti delle quali sono state avviate le procedure previste per evitare il contagio che è di tipo oro-fecale. Questi pazienti non hanno un quadro clinico attivo, sono monitorati costantemente ed alcuni di loro già dimessi a domicilio in buone condizioni “, conclude.