Da sempre le sorti del Mediterraneo hanno accompagnato nel bene e nel male le storia di Cagliari. Segnandone le diverse tappe del divenire, dalla nascita alle distruzioni ed alle successive straordinarie rifondazioni. Ritenuta sicurissimo approdo “di rifugio e di ristoro per le navi che navigano da Occidente ed Oriente, e da Sud a Nord”, protetta da un golfo accogliente e riparato, Cagliari avrebbe infatti intrecciato la sua storia millenaria con quella di un mare dove s’era sempre giocata la carta dell’egemonia politica, militare ed economica delle grandi potenze europee e mediorientale.
Potendo così condividerne i tempi di prosperità e quelli, molto più lunghi purtroppo, di decadenza. Quel legame con le alterne sorti del suo mare, Cagliari l’ha vissuto sempre come suddita e mai da dominatrice, tanto da sentirsi più usata che beneficata dai contatti marittimi. Cagliari non ha avuto, come altre città marinare, un gruppo numeroso di abili mercanti e di attivi armatori capaci d’andare per mare a cercare nuovi affari lucrosi. Il suo destino è rimasto d’essere un luogo d’approdo per gli affari d’intraprendenti forestieri.
In questo la storia di Cagliari non è diversa da quella di Cipro o del Pireo, di Malaga o di Tunisi. Prigioniera del mare e non sua dominatrice, Cagliari ha comunque sempre guardato alla linea dell’orizzonte come una via di fuga, per un desiderio d’evasione. La centralità mediterranea della città è, prima che nella storia, nella geografia. A metà strada tra Suez e Gibilterra, le due porte di collegamento con due oceani, a due passi dalle coste settentrionali dell’Africa, ha sempre rappresentato l’ombelico di quel mare che ha una sua vita mescolata alla terra: è il mare degli oliveti e delle vigne ed i suoi marinai sono contadini, tant’è che la sua storia non è mai separabile da quella del mondo terrestre che l’avvolge.
Se alla sua centralità geografica non ha mai corrisposto nel tempo, purtroppo, una centralità storica, oggi si pensa di riscattarne il passato ricercando nuove motivazioni che consentano di sovvertire quella pesante nemesi storica. Trasformarsi da città preda in città predatrice non sarà così facile, anche se i propositi sono di per sé fascinosi.
Ma può Cagliari ambire ad un futuro così impegnativo ed importante? La città d’oggi è ben diversa da quella del passato e potrebbe essere in grado di mettere in campo quanto necessario per affrontare l’impresa.
In più la stessa gerarchia socio-economica delle altre città non è tale da mettere in ombra Cagliari, e gran parte delle terre mediterranee (dall’Andalusia all’Anatolia) presentano gli stessi sconsolanti parametri dell’isola sarda. Al di là dell’orgoglio che ossigena la conquista dell’ambizioso traguardo, viene difficile comprendere se la città riuscirà a far del mare una vera risorsa e non un handicap ed una barriera.
Se, ancora, le acque marine che la dividono dal “resto del mondo” sapranno divenire, da sofferta condizione d’apartheid, punto di forza per importanti attività produttive e motivo d’attrazione per le sue esclusive risorse ambientali. Troppi segnali s’avvertono che la città, per tante sue manifestazioni, non riesce a dare il richiamo di leadership nella grande via d’acqua del Mediterraneo. La stessa “civiltà del mare”, con la sua economia e la sua cultura, continua ad apparire estranea, se non proprio ostile agli interessi e ai programmi cittadini. Il porto, ad esempio, che sarebbe poi la vera grande fabbrica dell’economia marittima, entra nelle cronache cittadine solo per le diatribe di un potere del nulla.
Città antica: ai tempi dell’avvento dei Pisani nel 1217, Casteddu era sinonimo di tutta Cagliari. Qui risiedevano la nobiltà e le istituzioni, e i Sardi vi potevano entrare solo durante il giorno, per il commercio. Quando, al calar della sera, si chiudevano le porte, se un Sardo rimaneva all’interno, doveva passare la notte in cella. Sotto gli Spagnoli, invece, veniva buttato giù dalle mura. Il quartiere, che segue l’andamento stretto e pendente del colle su cui è edificato, è stato abbandonato, negli ultimi anni, dagli antiquari e dagli artigiani che lo popolavano, a causa dello spopolamento del polo commerciale nella città bassa.
La visita a Cagliari parte dal quartiere della pittoresca Porta San Pancrazio, vicino alla Piazza Indipendenza. Da qui si scende per via Lamarmora, che è il nuovo settore di antiquari e artigiani. Ci si affaccia alla Cattedrale di Santa Maria Regina dei Sardi, un impianto pisano. La basilica conserva all’esterno la torre campanaria, l’architrave del portone centrale e altre parti scolpite da Guglielmo da Pisa.
Si arriva quindi a Piazza Palazzo. Da qui si ammira il primo dei punti panoramici del quartiere: una maestosa terrazza si affaccia sul quartiere di Villanova e la Sella del Diavolo è ben visibile sullo sfondo. Passando da via Martini, si può vedere la torre pisana di San Pancrazio, classe 1305, punto più alto della città di Cagliari, chiusa su quattro lati fino al 1913 perché adibita a prigione, e si esce dall’arco che immette nella piazzetta dell’Arsenale, di fronte alla quale si apre la Cittadella dei Musei, e, passata Porta Santa Cristina, si arriva al viale Fra Ignazio, dove si apre lo splendido Teatro Romano del secondo secolo dopo Cristo, oggi agibile.
Nell’angolo del bastione della piazzetta Arsenale, si notano i resti di una torre. Sulla sinistra si nota la chiesa di Santa Croce, costruita sulle rovine dell’antica sinagoga, mentre di fronte si apre il bastione omonimo che libera la vista sul quartiere di Stampace. Si prosegue la discesa fino alla Torre dell’Elefante, eretta dai pisani nel 1307 a difesa dell’antico “Kasteddu”. Per ammirare la statua che le dà il nome, però bisogna uscire dalla sua porta e guardare in alto.
L’itinerario continua per via San Giuseppe, che porta in via dei Genovesi, sino ad arrivare alla Torre dell’Aquila, ora inglobata in un palazzo. All’improvviso, si entra sullo spianato del Bastione di Saint Remy, da cui si domina il quartiere Marina, cuore del commercio della città, in un vitale scambio d’influenze arabe e spagnole. Al centro c’è la chiesa di Sant’Eulalia, di forme tardo gotiche, con splendido rosone e merletto in facciata.
Proseguendo per via Roma, si giunge alla collina di Buon’Aria. Qui misero le tende le truppe aragonesi prima di conquistare il castello nel 1326. Alla dominazione catalano-aragonese risale la parte più antica del complesso del santuario di Nostra Signora di Bonaria e del convento dei Mercenari. La monumentale scalinata d’accesso è uno degli elementi che caratterizzano ancora il paesaggio della città. All’interno, sull’altare maggiore, è collocata la statua lignea della Vergine di Bonaria, opera catalana del Quattrocento.
Massimiliano Perlato