Omaggio a Cesare Pavese con “La luna e i falò” nell’adattamento di Andrea Bosca e Paolo Briguglia, rispettivamente interprete e regista della raffinata e coinvolgente mise en scène firmata BAM Teatro in cartellone venerdì 10 e sabato 11 dicembre alle 21 e domenica 12 dicembre alle 19.30 nella Sala Eleonora d’Arborea in via Falzarego n. 35 a Cagliari per ritrovare le atmosfere evocate dalle parole del grande scrittore nel suo celebre, ultimo romanzo tra echi autobiografici e rimandi alla storia e alle storie del Belpaese.
Andrea Bosca interpreta Cesare Pavese: un viaggio nell’Italia del Novecento tra le macerie della guerra, i ricordi d’infanzia e la riscoperta delle radici con “La luna e i falò”, in cartellone venerdì 10 e sabato 11 dicembre alle 21 e domenica 12 dicembre alle 19.30 nella Sala Eleonora d’Arborea in via Falzarego n. 35 a Cagliari nell’allestimento di BAM Teatro con la regia di Paolo Briguglia, per un’originale e felice trasposizione teatrale del romanzo sul ritorno a casa di un uomo, emigrato in America, dopo la Liberazione. Anguilla, un trovatello, cresciuto da Virgilia e da Padrino non per pura generosità, ma sulla spinta della miseria, e infatti «su queste colline quarant’anni fa c’erano dei dannati che per vendere uno scudo d’argento si caricavano un bastardo dell’ospedale, oltre ai figli che avevano già», si ritrova nei luoghi della sua giovinezza, alla ricerca dei volti e dei paesaggi conosciuti, tra nostalgia e rimpianto, impegnato in una sua personale ricerca della verità.
Sulla falsariga dell’ultimo romanzo di Cesare Pavese (vincitore del Premio Strega nel 1950 per “La bella estate”) scrittore e poeta, raffinato intellettuale, traduttore e critico letterario, figura di spicco della cultura italiana del ventesimo secolo, Andrea Bosca – che firma anche l’adattamento del testo insieme a Paolo Briguglia – riscopre una pagina fondamentale della storia recente, in cui hanno origine le lacerazioni del tessuto sociale, gli scontri ideologici e politici accanto al perdurare di antiche ingiustizie e anacronistici privilegi, che poi sfoceranno nella stagione delle lotte operaie e nella rivoluzione del maggio ’68, fino agli anni di piombo.
Una pièce raffinata e coinvolgente – pensata in occasione dei settant’anni dall’uscita del romanzo, pochi mesi prima della tragica fine dell’autore, con la dedica “For C. / Ripeness is all” (la maturità è tutto), una citazione dal “Re Lear” di William Shakespeare, per l’attrice Constance Dowling, l’ultima donna da lui amata – per un affresco del Belpaese nel dopoguerra attraverso lo sguardo di un uomo ormai adulto, che si confronta con i fantasmi del passato: davanti a lui quel che resta di una comunità duramente colpita dal conflitto, immersa in uno scenario apparentemente immutabile, a dispetto delle tragedie e delle esistenze travagliate delle donne e degli uomini che lo abitano, un mondo fuori dal tempo, affascinante e quasi magico.
“La luna e i falò” affronta alcuni temi cari allo scrittore, dall’idea del ritorno, per ritrovare le proprie origini, in una sorta di nostalgia dell’infanzia, quasi un’età dell’innocenza, ignara della crudeltà dell’uomo, al legame con la terra, muta testimone e custode di memorie millenarie e quel senso di appartenenza su cui si fondano le radici dell’identità: «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via» – sostiene il protagonista -. «Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». Un sentimento vago e contraddittorio che non esclude anzi contiene implicita la voglia di fuga, quell’inquietudine che spinge ad andare lontano, perfino oltre mare, per cercare fortuna, incontrare altre genti, scoprire altre culture, altre usanze.
Varcato l’oceano e rientrato in Italia, Anguilla non resiste alla tentazione di rivedere il paese, seppure prevedibilmente mutato, di ritrovare i volti, le strade e le case, soprattutto le campagne, in cui povera ma anche libera e selvaggia, è trascorsa la sua adolescenza, tra la fame e la fatica, le avventure e i riti ancestrali di una civiltà contadina.
Qui incontra l’amico Nuto, da cui apprende le storie dei vivi e dei morti, come la sorte di Irene, Silvia e Santa, le tre figlie di Don Matteo, il padrone della Mora, dove egli da ragazzo aveva cominciato a lavorare e Cinto, figlio del Valino, con cui nonostante la giovane età stringe un’amicizia, quasi riconoscendo in lui parte di stesso (ma dopo la disgrazia e il folle raptus del padre, non prende con sé il ragazzo, preferisce invece affidarlo a Nuto, con la promessa di venire a prenderlo quando sarà più grande, in grado di capire e di scegliere).
“La luna e i falò” – produzione della compagnia di produzione cagliaritana BAM Teatro fondata e diretta da Marcella Crivellenti, con disegno luci di Marco Catalucci, costumi di Tommaso Lagattolla (assistente ai costumi Donato Didonna), visual a cura di Chiara Maria Baire, foto di Franco Rabino – «parla di quel ritrovarsi adulti, cresciuti, uomini eppure imperfetti, fuori posto, anche tornando nei luoghi che immaginiamo di conoscere come le nostre tasche» – come sottolineano Andrea Bosca e Paolo Briguglia nella presentazione -. «Il racconto si sdoppia tra il ricordo e la perdita, l’appartenenza e l’illusione, l’infanzia e la consapevolezza dell’età adulta, rassegnata e nichilista. Lì dove tutto è fermo, tutto è mutato: la luna c’è per tutti eppure qualcosa manca sempre».
«“La luna e i falò” raccoglie lo smarrimento misto a malessere comune all’uomo contemporaneo – sottolinea il regista Paolo Briguglia – è un romanzo denso, ambientato a ridosso della Liberazione, nelle Langhe sventrate dalla guerra appena alle spalle e dalla miseria di un territorio che prova a rimettersi sulle sue gambe».
Quasi un alter ego dell’autore, nella sua matrice autobiografica su cui si innesta il destino, solo in parte determinato dal carattere dei personaggi, Anguilla, il protagonista compie il suo “nostos”, il suo ritorno in patria. «Il suo è un viaggio a ritroso, tra i luoghi e le tracce dell’infanzia, che prova a riannodare tra memorie sbiadite ed emozioni perse, nel tentativo di riappropriarsi di una identità e sentirsi parte di una comunità originaria – racconta Briguglia -. «Eppure, anche nella placida campagna, dove tutto sembra conservarsi e a cui il tempo sembra risparmiare intatta la bellezza delle colline e dei noccioli, come pure l’abitudine ancestrale dei falò, tutto è cambiato irrimediabilmente».
«C’è tanto del nostro essere giovani uomini in questo adattamento per il teatro che firmo insieme ad Andrea Bosca: l’inquietudine, l’essersi allontanati dai luoghi di origine, il modo difficile di sentirci a casa da qualche parte – conclude il regista: «Ho ritenuto opportuno raccontare il qui e ora della voce narrante, trasformando il palcoscenico nella piazza del paese su cui Anguilla- che «nessuno conosce e nessuno più riconosce»- fa il suo arrivo.
Il pubblico diviene l’interlocutore curioso a cui restituire la memoria del proprio vissuto e quella di quei luoghi nei tempi della sua assenza. Emerge lo strato profondo che un autore immensamente grande come Cesare Pavese ha voluto rappresentare: il senso della vita, l’andarsene, il tornare, l’essere straniero, il bisogno di una identità radicata che si rifletta nelle persone, nei luoghi, che ci hanno visto diventare uomini».
INFO & PREZZI
biglietti: posto unico: intero 12 euro – ridotto studenti 10 euro
per informazioni e prenotazioni: [email protected] ( è indispensabile il Green Pass)