Doppia pulsar, Einstein la spunta ancora
A oltre un secolo dalla pubblicazione della teoria della relatività generale di Albert Einstein, gli scienziati di tutto il mondo proseguono nei loro sforzi per trovarne eventuali punti deboli. Un team internazionale composto da ricercatori di dieci paesi ha provato a mettere in crisi la teoria di Einstein utilizzando un sistema stellare unico formato da due “radio pulsar”. «Abbiamo studiato un sistema di stelle compatte, che è un laboratorio senza rivali per testare le teorie della gravità in presenza di campi gravitazionali forti», spiega il coordinatore del team internazionale di ricerca, Michael Kramer del Max Planck Institute for Radio Astronomy (Mpifr) di Bonn, in Germania. «Con nostra grande gioia, abbiamo potuto testare una pietra angolare della teoria di Einstein, l’energia emessa sotto forma di emissione di onde gravitazionali, con una precisione 25 volte migliore rispetto alla pulsar di Hulse e Taylor (che permise loro di vincere il premio Nobel nel 1993) e mille volte meglio di quanto fatto finora dai rivelatori di onde gravitazionali».
Grazie a questo nuovo studio, alcuni degli effetti conseguenti la teoria di Einstein sono stati osservati per la prima volta in assoluto. «Abbiamo visto che le onde radio emesse da una delle due pulsar non solo vengono ritardate a causa della forte curvatura dello spaziotempo attorno alla compagna, ma anche che vengono deflesse di un piccolo angolo di 0,04 gradi», dice Ingrid Stairs dell’Università della British Columbia a Vancouver. «Mai prima d’ora un simile esperimento era stato condotto in presenza di una curvatura dello spaziotempo così elevata».
Questo sistema, noto come “doppia pulsar”, è finora un unicum nel mondo della ricerca. Fu l’astrofisica Marta Burgay, ricercatrice all’Inaf di Cagliari, a scoprirlo nell’ormai lontano 2003 in occasione di alcune osservazioni con il telescopio di Parkes in Australia. «È stata una scoperta che da subito prometteva molto e che continua a produrre scienza di primaria importanza», dice Burgay, che continua a fare parte del team. «Le due pulsar orbitano l’una intorno all’altra in soli 147 minuti con velocità di circa 1 milione di chilometri orari. Una ruota molto velocemente, circa 44 volte al secondo. La compagna, più giovane, ha un periodo di rotazione di 2,8 secondi. Il loro movimento reciproco costituisce un insostituibile laboratorio di gravità. È una grande soddisfazione essere da quasi 20 anni in prima linea nell’usare queste due pulsar per interrogare Einstein e vedere che la sua teoria risponde sempre alla grande».
«Un movimento orbitale così rapido di oggetti compatti come questi – sono circa il 30 per cento più massicci del Sole, ma con un diametro di solo 24 km – ci consente di testare molte previsioni della relatività generale – ben sette in totale!», aggiunge Dick Manchester del Csiro (Australia). «Oltre alle onde gravitazionali e alla propagazione della luce, la nostra precisione ci consente anche di misurare l’effetto della dilatazione del tempo che fa rallentare gli orologi nei campi gravitazionali. Dobbiamo anche prendere in considerazione la famosa equazione di Einstein E = mc2 quando si considerano gli effetti sul moto orbitale dovuti all’energia elettromagnetica emessa dalla pulsar in più rapida rotazione. L’energia associata a questa radiazione corrisponde a una perdita di massa di 8 milioni di tonnellate al secondo! Anche se sembra molto, è solo una piccola frazione – 3 parti su mille miliardi di miliardi – della massa della pulsar».
I ricercatori hanno anche misurato – con una precisione di una parte su un milione – che l’orbita cambia orientamento, un effetto relativistico già ben noto anche nell’orbita di Mercurio, ma qui 140mila volte più forte. Si sono resi conto che a questo livello di precisione va anche considerato l’impatto della rotazione della pulsar sullo spaziotempo circostante, che viene “trascinato” con la pulsar rotante. «I fisici chiamano questo effetto Lense-Thirring o frame-dragging», spiega Norbert Wex dell’Mpifr, un altro autore principale dello studio. «Nel nostro esperimento significa che dobbiamo considerare la struttura interna di una pulsar, ossia il suo essere una stella di neutroni. Quindi, le nostre misurazioni ci consentono, per la prima volta, di utilizzare il tracciamento di precisione delle rotazioni di una stella di neutroni, una tecnica che chiamiamo timing, per fornire vincoli sulle dimensioni della pulsar più velocemente rotante delle due presenti nel sistema».
La tecnica del timing delle pulsar è stata anche combinata con attente misurazioni interferometriche del sistema ai fini di determinare la sua distanza grazie a mappe radio ad altissima risoluzione. «È la combinazione di diverse tecniche di osservazione complementari che aggiunge valore estremo all’esperimento», sottolinea Adam Deller, della Swinburne University, in Australia, responsabile di questa parte dell’esperimento. «In passato studi simili erano spesso ostacolati dalla limitata conoscenza della distanza di tali sistemi». Non è ora più il caso per la pulsar doppia, per la quale, oltre allo studio temporale della pulsar e alla interferometria radio (combinando le quali si ottiene una distanza di circa 2400 anni luce), sono state attentamente prese in considerazione anche le informazioni ottenute dagli effetti dovuti al mezzo interstellare che si interpone fra la pulsar e la Terra. «Abbiamo raccolto tutte le informazioni possibili sul sistema e abbiamo ricavato un’immagine perfettamente coerente», concorda Bill Coles dell’Università della California di San Diego, «che coinvolge la fisica di molte aree diverse, come la fisica nucleare, la gravità, il mezzo interstellare, la fisica del plasma e altro ancora. Questo è davvero straordinario».
«Abbiamo raggiunto un livello di precisione senza precedenti. Esperimenti futuri con telescopi più grandi andranno ancora oltre. Il nostro lavoro», precisa Kramer, «ha mostrato il modo in cui tali esperimenti devono essere condotti e quali effetti sottili devono ora essere presi in considerazione. E, forse, troveremo una deviazione dalla relatività generale, un giorno…».
«Questo lavoro mostra che, in natura, l’emissione di onde gravitazionali si comporta, almeno al 99,99 per cento, come predetto dalla relatività generale. L’osservazione futura di qualsiasi deviazione da tale teoria costituirebbe d’altro canto un passo avanti fondamentale verso una teoria unificata per tutta la fisica dell’Universo, una teoria cioè capace di combinare i fenomeni legati alla gravità con quelli legati alla fisica quantistica», conclude Andrea Possenti, primo ricercatore all’Inaf di Cagliari e anch’egli coautore dello studio.
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review X l’articolo “Strong-field gravity tests with the double pulsar”, di M. Kramer et al.
Guarda l’animazione di Michael Kramer/Mpifr: