Il Comitato Punta Giglio Libera risponde al Soprintendente Billeci e alla sua teoria del male minore
A leggere l’intervento del Soprintendente Billeci nell’articolo “la lotteria dei nuraghi” pubblicato su un periodico sardo online quando dice “c’è sempre un prezzo da pagare: o si fa diventare il faro una casa – per esempio – e lo si salva dal crollo, oppure pazienza, lo si fa crollare“, la trasformazione di un bene pubblico in casa privata è per lui il male minore e, sempre per lui, per quanto riguarda la riqualificazione della ex batteria militare di Punta Giglio, coincide anche con la soluzione migliore.Il Soprintendente Billeci, partendo da una considerazione banalmente ovvia (abbiamo un patrimonio sterminato e non ci sono fondi sufficienti per manutenerlo) giunge alla non condivisibile conclusione rinunciataria per cui sarebbe meglio affidare ai privati quei beni che le istituzioni pubbliche non possono restaurare perché ne facciano quel che vogliono. “Sempre meglio che farli crollare”, sembra dire. “La banalità del male”, viene da pensare.
Hannah Arendt, politologa e filosofa del secolo scorso scrisse: “chi sceglie il male minore dimentica rapidamente di aver scelto a favore di un male”.
E infatti Billeci sembra dimenticare che i privati non sono mecenati e dunque, se si accaparrano un bene, sia esso un faro, una torre o una batteria militare, lo fanno per trarne profitto, anche privatizzandolo e piegandolo, senza troppi riguardi e scrupoli, alle proprie esigenze produttive.
Ed è per questo che avremmo voluto sentire il Soprintendente Billeci dire che il patrimonio culturale e paesaggistico è protetto dai principi fondamentali della Costituzione e, dunque, in nessun caso, l’amministrazione dello Stato, a tanto preposta, può recedere dagli obiettivi minimi di tutela e che sarebbe illecita ogni comparazione con altri interessi, ancorché pubblici.
Avremmo voluto sentire Billeci dire che il Codice dei beni culturali “impone” la conservazione del nostro patrimonio culturale senza eccezioni e senza graduatorie. Certo, anche con il concorso dei privati, ma sempre che ne garantiscano la pubblica fruizione e senza mediazioni o “accomodamenti” che attenuino la tutela.
Avremmo voluto sentire Billeci dire che purtroppo lo Stato italiano investe pochissimo nella tutela dei beni culturali (siamo ben al di sotto della media europea) e che, soprattutto negli ultimi anni, le Soprintendenze sono state “neutralizzate” da riforme devastanti, private di fondi e di personale, per poi essere affidate alla direzione di funzionari inadeguati, spesso cooptati senza concorso e insediati per soli meriti politici.
Avremmo voluto sentire Billeci dire che, invece di causare l’immediata distruzione di un bene culturale consentendo a un privato di stravolgerlo o ridicolizzarlo per trarne profitto, sarebbe meglio fare modesti interventi manutentivi o, al limite, perfino nulla. L’edificio comunque sopravviverebbe per molti anni ancora (sarebbe stato senz’altro il caso della ex caserma di Punta Giglio) e magari qualcuno dopo di noi potrà restaurarlo nel pieno rispetto del suo valore. Billeci dovrebbe sapere che anche il restauro è sempre un’operazione distruttiva e che un intervento sbagliato può aver ragione immediatamente dell’edificio che pure si vorrebbe conservare. Prima regola non nuocere!
Nel libro “Le sette lampade dell’architettura”, pubblicato nel 1849, John Ruskin scriveva:
“la nostra decisione di conservare o no gli edifici delle epoche passate non è questione di opportunità o di sentimento; il fatto è che non abbiamo alcun diritto di toccarli. Non sono nostri. Essi appartengono in parte a coloro che li costruirono, e in parte a tutte le generazioni di uomini che dovranno venire dopo di noi.
Un pensiero forse fin troppo romantico e conservativo che sicuramente non ha ispirato il Soprintendente Billeci, ben lontano da questi principi quando afferma dapprima, in un afflato professional-caritatevole, che “quello che non si può fare è assistere inerti alla perdita dei beni” per poi affermare,invero poco professionalmente, di fronte all’alternativa di darli ai privati o lasciarli crollare, “sinceramente non so quale sia l’alternativa migliore”, e concludere da ultimo, riassumendo la sua filosofia del male minore “da Soprintendente non ho dubbi: il nostro patrimonio non deve crollare”.
E questa sua filosofia l’ha ben applicata all’ex batteria militare del compendio di Punta Giglio dove, dando concretezza alle sue discutibili idee di riutilizzo tramite investimento privato, ha permesso l’insediamento di una attività extra alberghiera con annesso bar e ristorante, laddove tutto poteva essere conservato e valorizzato in ben altro modo dall’Ente Parco stesso. Una filosofia peraltro applicata ad un manufatto, l’ex caserma, che, pur presentandosi in ottime condizioni statiche, è stato ripetutamente spacciato come rudere per giustificarne la sua messa a bando e la sua trasformazione.
Ma ciò che delude profondamente, del punto di vista espresso dal Soprintendente, e che rivela una preoccupante superficialità culturale e inadeguatezza rispetto al ruolo ricoperto, è la totale sua insensibilità per le questioni attinenti al contesto paesaggistico e naturalistico (Sito di Importanza Comunitaria per habitat e specie, oggi di Conservazione Speciale, e Zona di Protezione Speciale per l’avifauna migrante e stanziale), quasi non avessero alcuna importanza e non riguardassero le sue specifiche competenze istituzionali.
Se la qualità dell’intervento di “restauro e rifunzionalizzazione” del complesso di Punta Giglio è davvero infima, va senz’altro ribadito che la questione non va tanto posta dalla pessima qualità dell’intervento sui manufatti. Anche se quello dell’ex Batteria di Punta Giglio fosse stato il migliore dei restauri, la sua destinazione a struttura ricettiva con ristorante e piscina sarebbe rimasta incompatibile con il sito per tutte le delicate implicazioni ambientali e culturali che un Soprintendente avrebbe dovuto opportunamente considerare e le conseguenti rigorose precauzioni che avrebbe dovuto adottare.
Sconcerta davvero la sua teoria del “male minore” anche perché in questo caso ciò di cui è stato responsabile, insieme ad altri, non è una perdita trascurabile del valore del nostro patrimonio collettivo, ma un vero e proprio, per certi versi, irrimediabile danno a questo provocato, oltre che un pericoloso pregiudizio per l’integrità del complesso e del sito qualora in futuro le attività previste (e con discutibili e squallidi espedienti già avviate) dovessero continuare.
Comitato Punta Giglio Libera
Per info e adesioni alla mobilitazione e all’appello email: [email protected]
Pagina facebook: https://www.facebook.com/PuntaGiglioLibera
Petizione “Contro la privatizzazione dell’Ex Batteria SR 413 nel SIC e ZPS di Punta Giglio”: http://chng.it/fzKKFZhp
Raccolta fondi “Salviamo Punta Giglio”: https://www.produzionidalbasso.com/project/salviamo-punta-giglio