Eppure, a guardare i loro numeri, cozza constatare che solo il 16 % della popolazione mondiale ha completato il ciclo vaccinale. Nei Paesi ad alto reddito oltre il 70% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino, e in Europa più del 64% ha completato il ciclo. Al contrario, nei Paesi a medio-basso reddito c’è una copertura del vaccino che non arriva nemmeno al 3%: il 98% delle popolazioni a basso reddito non è stato completamente vaccinato. E la popolazione dell’Unione Africana è tre volte quella dell’Unione Europea.
Fino a qui questi dati sembrano un pugno in un occhio, nonostante le “buone intenzioni” delle aziende farmaceutiche. Nel 2020 -secondo il report di PVA- durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (United Nations General Assembly – UNGA), sedici aziende farmaceutiche americane, europee e giapponesi, hanno stilato, insieme alla Bill & Melinda Gates Foundation, una dichiarazione di equità per la distribuzione dei vaccini e delle terapie anticovid. Infatti dalla dichiarazione del 30 settembre 2020 si legge che le compagnie si impegnano per una distribuzione equa dei prodotti e nel sostenere meccanismi mondiali come CoVax o GAVI. L’orientamento è quello del “support evidence-based prioritization so that health care workers, highrisk individuals, and other priority groups identified by WHO and other health authorities are protected for the duration of the pandemic, regardless of the country they live in”.
In sostanza la dichiarazione sottolinea le linee di un sistema di produzione e di distribuzione equa dei vaccini e di tutto il supporto sanitario necessario a livello mondiale. Più avanti, però, si legge che si sostiene l’equità di distribuzione riconoscendo che le nazioni sovrane hanno l’autorità decisionale finale. Queste due righe, per quanto siano grammaticalmente giuste –niente a che vedere con le “idee verdi senza colore dormono furiosamente” di Noam Chomsky-, giustificano prima del tempo la non equità di distribuzione. E’ fare spallucce sul divario economico-sanitario tra i Paesi ad alto reddito e quelli a medio-basso reddito. Altra cosa significativa, tra i firmatari manca Moderna, ma poco importa siccome in precedenza –secondo il report di PVA- aveva già firmato un accordo con il Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI). La fondazione, infatti, ha fornito quasi un milione di dollari di finanziamenti all’azienda farmaceutica per sviluppare il suo vaccino, e Moderna in cambio avrebbe dovuto aderire ai “principi di accesso equo”.
Tutto molto poetico, soprattutto la percentuale di distribuzione globale effettiva dei vaccini COVID-19 nel 2021. Ad esempio, Moderna ha consegnato più dell’80% dei suoi vaccini ai Paesi ad alto reddito e ha impegnato solo il 3% della produzione totale a CoVax. Ma nessuna delle dosi garantite è stata consegnata. Infatti, come sottolinea PVA, nessuna delle quattro società ha consegnato a CoVax le dosi promesse (meno del 25%), anzi i vaccini sono stati consegnati ai Paesi a basso reddito attraverso le donazioni dei governi –come il caso di Moderna. Vale lo stesso per Johnson & Johnson che ha consegnato a CoVax solo l’11% dei 50 milioni di dosi vendute all’AU (African Union). Il divario della distribuzione delle dosi è chiarissimo se confrontiamo le percentuali delle dosi vendute all’UE rispetto ai Paesi a medio-basso reddito -escludendo le donazioni:
Johnson & Johnson ha venduto l’87 % delle sue dosi ai Paesi ad alto reddito, mentre Moderna il 93,5%, Pfizer/BioNTech ha venduto il 67% e AstraZeneca il 32,5%; Johnson & Johnson e Moderna hanno venduto ai Paesi a medio-basso reddito il 3%, AstraZeneca il 50 % e Pfizer l’1,5%. Solo lo 0,7% di tutte le dosi di vaccino prodotte finora sono state distribuite nei Paesi a basso reddito. In cima alla classifica si posiziona Moderna con lo 0,2% di vendite e al secondo posto Pfizer con l’1%.
Questo accade nonostante ci siano i corridoi di distribuzione dei vaccini, come il CoVax che ha fornito in piccole dosi i vaccini già da febbraio 2021 –il 25 febbraio 2021 il Ghana è stato uno dei primi a ricevere 600 000 dosi. E come spiega il rapporto di PVA, nel tempo questi programmi e progressi nella distribuzione si sono indeboliti perché da una parte il numero di dosi garantite al CoVax non era e non è sufficiente a coprire una percentuale di popolazione altissima; dall’altra parte, le aziende favoriscono nella consegna dei vaccini i paesi ricchi, perché chiaramente sono più redditizi e garantiscono il 90% dei finanziamenti per la ricerca, ovvero tramite i governi e i fondi pubblici. E in questo quadro non sorprendono nemmeno le percentuali di fornitura bassissime delle quattro Big al CoVax: Johnson & Johnson con circa il 25%, AstraZeneca il 19%, Pfizer l’1,5% e Moderna il 3%.
I paesi del G7 e dell’UE, dopo il White House COVID-19 Summit del 22 settembre 2021, avevano promesso complessivamente 1,8 miliardi di dosi donate proprio dal G7 e dal Team Europa. Il quadro complessivo mostra, invece, da una parte la mancata tempestività e garanzia delle dosi da dare al CoVax da parte delle quattro aziende; dall’altra le promesse vuote e le donazioni riparatrici da parte dei governi. Infatti degli 1,8 miliardi di dosi promesse dai governi solo 261 milioni -quindi il 14%- è stato consegnato ai Paesi a medio-basso reddito. Almeno i paesi del G7 e il Team Europa hanno donato oltre 10 milioni di dosi ai Paesi ad alto reddito (!) durante la pandemia, o il 4% delle donazioni totali che hanno fornito durante la pandemia. Ma in queste milioni di dosi donate ai paesi ricchi l’occhio cade anche sull’inutilizzo dei vaccini sprecati. Secondo il rapporto di PVA, nel 2021 sono 100 milioni le dosi inutilizzate e a scadere nei paesi del G7; un numero che potrebbe raggiungere i 241 milioni e salire entro la metà del 2022 a 800 milioni.
Le promesse dei governi -quelle più divertenti le trovate nella Dichiarazione di Roma del Global Healt Summit svoltosi a Roma il 21 e il 22 maggio 2021 e l’intervento di Joe Biden al White House COVID-19 Summit del 22 settembre 2021- circa la democratizzazione delle risorse anticovid a livello globale per garantire una copertura vaccinale del 70% entro la metà del 2022 ci rivelano che manca effettivamente un programma che funzioni senza il coinvolgimento di interessi di terze parti. Per intenderci, la questione della sospensione dei brevetti potrebbe essere una soluzione, ma non è stata affatto affrontata dai paesi ricchi in modo capillare –o meglio non la si vuole affrontare proprio. E finalmente lo scorso mese si sarebbe dovuto riunire il WTO (dal 30 novembre al 3 dicembre) per decidere sulla questione brevetti, ma a causa della variante Omicron l’incontro è stato sospeso a data da destinarsi.
Pochi giorni dopo il presunto WTO, Ursula Von der Leyen ha giustamente spostato l’attenzione dalla sospensione dei brevetti sui vaccini all’obbligo vaccinale. Così come è stato altrettanto giusto sottolineare l’importanza di combattere il virus in ogni angolo del mondo e il gusto filantropico dell’UE “il più grande donatore di vaccini COVID-19 al mondo” -come la politica tedesca ha dichiarato in un videomessaggio di qualche giorno fa. Eppure a marzo 2021 Von der Leyen annunciava che l’UE non avrebbe potuto donare vaccini e che avrebbe investito di più nella produzione in Europa, sottolineando però che nonostante tutto si poteva fare qualcosa per il programma CoVax, come investire ad esempio 2,2 miliardi di euro. Quindi grazie Von der Leyen per non farci fare brutte figure, ma come risolviamo la disparità dei vaccini?
(Giorgia Zoino)