Francesca Broglia è Produttore Creativo di Voltura, una società di produzione giovane che coinvolge nel suo operato le arti, la contemporaneità, la comunicazione nell’advertising e non solo. Voltura si affaccia recentemente alla scena dei linguaggi, interfacciandosi all’amore per la radice di folklore isolano mantenendo un carattere internazionale. La mission dell’azienda è infatti orientata all’esaltazione della cultura, delle tradizioni e dell’artigianato in Sardegna, col suo valore paesaggistico e architettonico estremamente variegato. Voltura mira ad esibire il territorio nelle qualità multiformi che le sono proprie mantenendo uno sguardo locale, anche attraverso collaborazioni e contaminazioni che vanno consolidandosi e sfaccettandosi.
Buongiorno Francesca e grazie per questo incontro. Quello che mi pare emerga dai vostri lavori è l’idea che ho trovato ben sintetizzata nella citazione di una vostra recente campagna – Return to Bolivia in collaborazione con Lucio Aru e Franco Erre – la frase è “un passo in un futuro di nostalgia etnica retrò”. È in questa dimensione che si muove Voltura?
«Sì, potrei definire questa azienda come il meltin pot di esperienze e culture diverse. Voltura è tutti i talenti, le marche e i progetti che sostengono l’isola e hanno un bagaglio internazionale. L’idea era di creare qualcosa che non esiste sul territorio. In sei anni che vivo qui ho trovato tante case di produzione, ma nessuna che avesse questa missione di mettere insieme il nuovo e l’antico rispettando la storia per poi andare verso un futuro contemporaneo. Return to Bolivia è stato un bell’esercizio perché ho scoperto Yashu e Prem che è una marca metà sarda metà indiana – in realtà Yashu è nata a Napoli e Prem è venezuelano, ma hanno deciso di aprire il loro negozio a San Pantaleo e creare la loro firma usando sia elementi di folklore locale sia internazionale.
Gli stessi Lucio e Franco di NARENTE – tradotto dal sardo colui che narra – sono la prima vera e forte casting e scouting agency di volti sardi. Anche Andrea Folino, filmaker dall’universo molto più urbano e underground col quale collaboriamo tantissimo, ha un forte attaccamento alla Sardegna, è una mente incredibile con un’esperienza e un bagaglio culturale enormi. Voltura è un’insieme di teste pensanti e di mani che lavorano per portare a termine le idee tramite la parte logistica e organizzativa. Lavoriamo tutti per lo scopo comune di dare ripercussione al territorio. L’usuario e soprattutto i più giovani desiderano vedere il passato, ma reinterpretato con i codici del contemporaneo, altrimenti rimane fine a se stesso. Non è semplice evitare di cadere nella banalità del commerciale – che è un attimo perché spesso il cliente non capisce dove vuoi andare – ecco, la missione lato commerciale è trovare sempre più clienti con i quali la condivisione di questo approccio mentale fa nascere una connessione immediata».
Proprio NARENTE si è occupata insieme a voi della campagna Pitti Immagine Reflections con maestranze e indossatori locali, di risonanza internazionale. Ce ne vuoi parlare?
«La campagna foto e video è stata ideata da Angelo Figus, Creative Consultant per Pitti, ed è stata sviluppata in modo trasversale con una ripercussione digitale molto importante. NARENTE ha curato Art e Film Direction, fotografia, styling e casting.
Il progetto è stato fotografato al deserto di Sale ‘e Porcus per creare una multidimensionalità nel riflesso tra terra e cielo, con lo specchio come elemento di riflessione di se stessi – il che a livello concettuale è in linea con i macro-trend 2022-2023, perché in moda lavoriamo sempre con una visione futuristica».
Le varie figure coinvolte nella produzione sono di età giovanissima.
«I teenager hanno dei codici d’espressione estremamente diversi dai miei coetanei 36enni e sono di grandissima ispirazione. Molto spesso collaboriamo con loro, il vero goal per noi è farli crescere, sono il futuro della professione e se non lo facessimo sarebbe una forma di egocentrismo. Tutti quei giovani che non sanno ancora cosa fare e vogliono approcciarsi al nostro lavoro – dai make up artist al comparto camera con relativi assistenti – sono i benvenuti.
Anche a me è capitato; quando ho iniziato a studiare creatività la cosa più conosciuta nella mia città d’origine (Parma) era il disegno grafico, poi scansionando gli scatti degli shooting in un’agenzia a Barcellona mi sono fatta una cultura di moda, avevo accesso a una libreria di dati incredibile e lì lavorando scopri man mano cosa vuoi fare. Ma io mi chiedo: in una terra come questa ci sono scuole internazionali – carissime – che offrono una grande opportunità, ma cosa succede a chi non può permettersele? I giovani sono costretti ad andare via, ma se invece dai loro la possibilità di approcciarsi a questo mondo? Questa riflessione è oro, perché chi fa il nostro lavoro si trova spesso a non avere persone con le quali collaborare, anche più adulte. Questa è la vera sfida sull’isola, dove sei costretto a portare tutti da fuori e tutti ti dicono ‘ah, se ci fosse un po’ più di continuità ci trasferiremmo a vivere in Sardegna domani’!».
Voltura ha curato le riprese cinematografiche della sequenza ambientata a Tavolara per Fuori era Primavera, documentario collettivo di Gabriele Salvatores sull’esperienza dell’isolamento in epoca Pandemica – prodotto da Indiana Production e Rai Cinema. Nello specifico, il frammento di vita colto durante il lockdown è narrato in prima persona da Tonino, storico gestore del ristorante dell’isola. Com’è nata l’idea di coinvolgere Tonino e com’è avvenuta la gestione della produzione in un periodo non semplice anche in termini logistici?
«Quella è stata la miccia che ha fatto partire Voltura. Durante il lockdown ho avuto il tempo di fare ricerca e trovare i talenti coi quali oggi collaboro – ma si tratta della mia prima esperienza in Italia e non sapevo quali reazioni avrei ottenuto, perché ho sempre saputo che qui le aziende erano restie a collaborare con altre aziende, però la parte più difficile è trovare i clienti. Daniel Campos Pavoncelli, Executive Producer di Indiana, stava producendo questo film, mi chiamò in pieno lockdown e mi disse “o mando io un operatore e mi fai la produzione, oppure se non partono i voli mi fai tutto local” e così poi è stato, siamo partiti all’arrembaggio in un mare incontaminato e questa collaborazione ci ha aperto le acque per tutto ciò che è arrivato dopo. Siamo riusciti a contattare Tonino tramite i Voes Factory, che avevano già fatto delle riprese per lui. Tonino stesso raccontò di quando anni prima si ritrovò a giocare a pallone sulla spiaggia insieme a Salvatores, in occasione del Festival del Cinema di Tavolara».
La vita ritirata e la successiva riscoperta dell’organismo metropolitano è stata un’esperienza impattante. Questo frammento si discosta dal resto del montato, dominato da contesti prevalentemente chiusi e orizzonti claustrofobici. Questo scollamento nel contesto fisico riflette anche l’impostazione di vita di un personaggio-persona che fondamentalmente ha mantenuto il suo stile di vita, al contrario degli abitanti delle città.
«Sì è stato un attimo di respiro in tutte queste immagini di appartamenti; ad un tratto vedi quest’isola meravigliosa e Tonino con la sua barchetta, perché lui non ha mai smesso di uscire a pescare e quello che si vede è una giornata reale, non c’è nulla di costruito.
In quel periodo molti non potevano viaggiare e noi operavamo in autonomia o in videochiamata col cliente, come è avvenuto per la campagna La Veste – firma di Blanca Mirò, che essendo anche instagrammer non ha avuto difficoltà nel follow up virtuale – in cui Gioia e Giulia di Studio Bulbo si sono rese protagoniste di un viaggio on the road alla Thelma & Louise (filmato da Andrea Folino).
Il cliente deve avere molta fiducia per commissionare una campagna a scatola chiusa. Pur condividendo gli scatti, c’è tutto un universo che il cliente control freak tipo non può controllare. Questo è un nuovo modo di lavorare che si ritroverà sempre di più e nel quale io credo molto; dare un po’ più di respiro e libertà nella gestazione della campagna, dare il tempo di creazione alle cose. Noi che viviamo in una terra come questa lo capiamo, mentre chi vive nelle grandi città è ancora lontano da questa visione, però a noi piace professarla e far capire che il prodotto finale è molto migliore rispetto a quello che si ottiene coi timing serrati».
Ammazzano un po’ l’energia del momento e quell’opportunità di scostare lo sguardo per catturare uno scatto dal taglio diverso, l’ispirazione del momento. Certo questo si percepisce e valorizza poi il risultato finale, ma richiede tutt’altre tempistiche.
«Assolutamente, bisognerebbe rimodulare tutto il sistema. Capisco che è una visione di avanguardia, sono anche realista e so fin dove possiamo spingerci con la gestione dei budget, però questo è un buon momento storico per fare un po’ di test, per capire se funziona. Ci sono anche dei nuovi aspetti; tutta la parte di social media content, inviare il prodotto al talento e dargli modo di ideare gli scatti e la visione che hanno di una marca o di un editoriale coi suoi tempi, anche autoproducendosi, ecco potrebbe essere un cammino da intraprendere per una comunicazione più etica».
A proposito di etica, che ruolo hanno la sostenibilità e il concetto di Green Production in Voltura?
«Impattare meno, soprattutto su un’isola, è quasi impossibile perché non si può prescindere da voli e trasporti – sebbene l’attuale carenza di voli ci abbia impedito di protrarre la stagione delle campagne immagine oltre settembre – ma quello che possiamo fare è compensare. Stiamo davvero facendo una sorta di master, perché professarsi ecosostenibili è molto bello e facile, ma esserlo nel quotidiano è un vero e proprio lavoro. La parte più importante è usare le risorse locali per far sì che anche gli altri le conoscano, tendiamo a creare catering esperienziali con prodotti di stagione, tutto ciò che arriva sul set è di carta e non di plastica. Inoltre da qui al prossimo anno ci adopereremo per l’utilizzo di veicoli elettrici e per il futuro stiamo elaborando un progetto insieme a Mariasole Bianco della onlus Worldrise, col quale devolveremo parte del nostro introito alla protezione degli oceani».
Proprio in queste ore è uscita la campagna di NARENTE relativa alla capsule collection firmata da 8 By Yoox. Autrice di questo progetto è Saltyco – start up vincitrice di Vogue Yoox Challenge – The Future of Responsible Fashion.
L’iniziativa carbon negative è volta all’utilizzo di tessuti vegetali e biodegradabili, prodotti senza uso d’acqua dolce.
«Sono lavori come questo che ci spingono ad andare avanti, a fare la differenza a livello regionale mostrando la nostra visione internazionale. Con questo progetto anche noi a nostra volta ridefiniamo il rapporto con la natura: una produzione fotografica e video di minimo impatto, che crea però un risultato di alta qualità. Siamo orgogliosi che una firma prestigiosa come Yoox abbia scelto talenti locali e le nostre locations per presentare la sua collezione e speriamo che altre firme eco-committed possano contare sul nostro supporto».
La vostra attività di location scouting è incessante. Quali sono i luoghi coinvolti in vostri progetti passati che secondo te racchiudono l’essenza della Sardegna e quali hanno conquistato in modo particolare il committente?
«Bella domanda. Da quando avevo 10 anni sento il mal di Sardegna ogni volta che mi allontano, una volta che l’isola ti guarda dentro non puoi fare a meno di viverla e amarla. La Sardegna è magica nel vero senso della parola, mi ritrovo a girarla in macchina costantemente e ogni volta che arrivo in un posto nuovo rimango esterrefatta.
Allo stagno di Sale ‘e Porcus il cliente non poteva che guardarsi intorno e continuare ripetere ‘ma che meraviglia’. Lo vedi proprio nei clienti abituati a vivere in città, quando arrivano respirano. Certo, la maggior parte di loro è stata in vacanza in Costa Smeralda – che benvenuta sia ma ci sono tante altre cose qua al nord e la nostra missione è anche mostrare che c’è tutto un universo anche nell’entroterra.
Sono capitata per caso al Parco dei Suoni (progetto di recupero delle cave di arenaria dismesse a Su Cuccuru Mannu, a cura degli architetti Alberto Antioco Loche e Pierpaolo Perra), ero insieme alla nostra Project Manager internazionale Isabel Uribe e ho visto queste pietre scalfite, questa costruzione brutalista che mi ha sovrastato. Mi è capitato anche nella Cupola di Antonioni, dove c’è una scaletta di pietra nascosta che scende la montagna fino al mare, circondata dalle rocce rosa di una piccola laguna con l’acqua calmissima, ma appena ti giri c’è il pandemonio di onde che irrompono su queste scogliere infinite.
Questi due luoghi sono stati per me iconici. Spesso sono difficili da raggiungere con l’attrezzatura, come nel caso del videoclip di Baby K a Cane Malu (Bosa) e diretto da Andrea Folino – al quale ho dato una mano – location pazzesca, difficilissima dal punto di vista logistico perchè bisognava passare sulle rocce con l’attrezzatura, però quelli sono luoghi che vale la pena di mostrare.
Mi capitano anche piccoli agriturismi e stazzi come Lu Furracu qua in Gallura che è prezioso, una chicca, però devi sempre trovare il cliente e il progetto adatti a quella proposta.
Faccio una parentesi sul discorso permessi; la Film Commission Sardegna aiuta tantissimo anche come mediazione e contatti, ma sognamo un referente audiovisivo in ogni Comune, al quale potersi rivolgere. Spesso hai a che fare con persone che non sanno di cosa tu stia parlando e ti dicono ‘ah una campagna pubblicitaria, sì ma come? Ah ma non abbiamo attrezzature! Sì ma perché…?’. Mentre una persona che ha la giusta prospettiva sa già esattamente cosa ti serve, sa farti le domande giuste. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma è una critica costruttiva la mia; nel mio campo devo sempre cercare di vedere dove c’è un’opportunità, un gap o una mancanza».
Non resta che sperare nell’inossidabile Nevina Satta – Presidente di Sardegna Film Commission.
«Donne come lei sono d’ispirazione, è una vita che fa questo lavoro e spinge quest’isola in mille modi, dunque tanto di cappello! Non è scontato, è bello avere figure così che capiscono il tuo lavoro e ti supportano. In una terra che sotto certi aspetti è ancora abbastanza arida, è un vero faro di luce».
Voltura si dedica anche ad esperimenti di confine tra media e linguaggi differenti, come nel caso di What’s the story, Tik Tok glory per Metal Magazine – progetto che ibrida shooting di moda e challenge social media. Come nasce l’idea dell’editoriale Tik Tok? Sono in programma altre contaminazioni legate ai nuovi formati?
«Anche lì devi un po’ spiegare la tua visione. Siamo stati criticati, c’è chi è molto ancorato al passato e sente quasi come un’offesa l’aver reinterpretato determinati elementi della tradizione per creare qualcosa di contemporaneo – com’è avvenuto con le campane dei Mamuthones – quando in realtà lo facciamo con rispetto e amore incredibili.
Ho curato la direzione creativa insieme a Carlos Ramirez, col quale ho sempre condiviso il bisogno di rimanere al passo coi tempi in tutti i sensi – concettuale, estetico e digitale. Questo è il nostro lavoro: alla base c’è l’urgenza di far nostri i media e gli strumenti a disposizione, anche quelli che non appartengono alla nostra generazione perché nella creatività non ci si può limitare a quello che è attuale.
Fino a quel periodo le marche non avevano ancora investito come ora su TikTok e questo esercizio è nato proprio scherzando sul nostro essere dei boomer che si erano aperti il profilo TikTok. Tutti noi che abbiamo collaborato siamo Millennials – tranne Andrea Folino – e tutti, inclusi Lucio e Franco e Tiny Idols, quando gli ho raccontato il progetto ridevano di gusto, però il concetto era così chiaro e l’estetica così forte che hanno detto ‘facciamolo!’. Abbiamo coinvolto un modello e una cantante locali (Luna Melis, che aveva anche abbastanza follower).
Voltura era appena partita con quello che è il filo conduttore della gran parte dei nostri progetti; mostrare il territorio ma avere la possibilità di creare qualcosa di surreale. Ad oggi Tik Tok è tutto fuorché surreale».
Iperrealista?
«Precisamente. L’idea era di spiazzare; io nella creatività quando posso sviluppare vado a dar fastidio, perché in un mondo così visivo se non crei qualcosa che ti fa rimanere agganciato è noiosissimo».
In questo progetto la stylist ha posto l’accento su tessuti e ricami alla Antonio Marras, al centro l’idea di maschera sarda con le campane dei Mamuthones e all’ambientazione di paese; con la sua stradetta diroccata e i tratti caratteristici dell’architettura. Lo stesso lavoro sul gesto, che reinterpreta il tipico balletto di Tik Tok decontestualizzandolo, mi parla quasi di arte relazionale.
«Orgosolo è iconico nella classicità contemporanea dei suoi murales, non abbiamo inventato nulla in tal senso; abbiamo attinto. Fino all’ultimo non eravamo sicuri di poter avere le campane e tu hai visto la differenza che hanno fatto nello shooting. Recuperare le campane è stato un dramma».
Immagino sia stata una concessione particolare…
«Certo, del padrino di mia figlia, al quale erano state donate e in via assolutamente eccezionale mi sono state consegnate e affidate nel massimo rispetto. Io credo che questi non siano elementi di stile».
Sono elementi cerimoniali, tramiti di un autentico rituale; simbolo allo stato puro.
«Quello che vorrei passasse non è la sconsacrazione dell’elemento, al contrario la sua elevazione. Dal punto di vista della cura garantisco che sono stati trattati in modo eccellente. Così come l’abito Dior concesso dalla maison per lo shooting.
Non voglio comparare le due cose, le campane dei Mamuthones sono cultura, storia, e chi ha un minimo di sensibilità al tenerle in mano la sente questa carica energetica; non è un oggetto, è esperienza, è vissuto è forza…
Però un po’ d’ironia serve sempre».
Tiziana Elena Fresi