Leggiamo continuamente di cinghiali, di cinghiali e di cinghiali. Che fanno questo e fanno quello. Ma, naturalmente, tutto suggerito dai cacciatori, magari tramite Confagricoltura o Coldiretti.
Strano perché i cacciatori dovrebbero tacere visto che, se i cinghiali viaggiano per i boschi, per le macchie e per le strade, a loro dovrebbe andar bene in quanto hanno le prede con cui divertirsi e alle quali tanto ambiscono.
Per i cacciatori i cinghiali devono essere dappertutto e tanti, sempre di più, mai portarli all’estinzione altrimenti il divertimento finirebbe.
Allora, per essere seri, dobbiamo aggiungere che se i cinghiali frequentano le strade, è per tre principali motivi:
- il loro habitat è stato invaso, degradato da interventi umani, depauperato;
- i cinghiali sono stati importati dall’est Europa, ibridati con i maiali e quindi risultano più prolifici, domestici e confidenti;
- i predatori naturali, come il lupo, perseguitato e portato vicino all’estinzione, non sono sufficienti a ristabilire la legge biologica della capacità portante.
Quindi i cacciatori, che ripopolano nonostante le leggi, foraggiano nonostante le leggi, (art. 7 legge 221/2015), impongono la loro legge che sostiene, in realtà, che i cinghiali si devono moltiplicare come i pesci, è importante che ce ne siano sempre tanti in modo da poterli uccidere tutto l’anno. Suggeriscono, in sordina naturalmente, che non ha importanza che i cinghiali danneggino l’agricoltura, vadano per le strade, si portino dietro i lupi (ma il lupo sta alla larga dall’uomo, lo conosce e sa quanto sia mortifero), importante è che su di loro si possano raccontare storielle che i giornali propongano all’attenzione delle amministrazioni.
Ma, ecco che la novella dello stento, si incrina. Finalmente, qualcosa si muove nell’orizzonte immoto di chi non sa cosa sia il rispetto per ogni vita, l’ecosistema, la legge biologica, la tutela della biodiversità pronosticata dal Green new deal, dall’ Agenda Onu 2030……etc.
C’è infatti una regione virtuosa, il Piemonte, che ha stipulato uno storico accordo tra il mondo scientifico dell’ambientalismo e gli agricoltori che segnerà un giro di boa nell’affrontare il problema della diffusa presenza dei cinghiali. Un accordo che premette come l’attività venatoria sia da considerarsi dannosa e inutile e stabilisce cinque punti cardine: 1 – La riduzione numerica della specie cinghiale sul territorio a livelli compatibili è obiettivo irrinunciabile a partire dalla corretta applicazione dell’art. 19 della Legge n. 157/1992, che antepone gli interventi ecologici a quelli cruenti, affidando la gestione agli enti pubblici e non ai cacciatori. La gestione del cinghiale deve essere sottratta al mondo venatorio, che non ha alcun interesse a vedere ridotta numericamente la specie e per il quale è fin troppo evidente il conflitto d’interesse. Le attività di controllo competono alle Province e alla Città Metropolitana di Torino attraverso il proprio personale e non ai cacciatori.
2 – L’agricoltore ha diritto di poter raccogliere ciò che semina. I ristori, peraltro doverosi che arrivano dalla politica, interessano poco: alle già tante difficoltà create dagli eventi atmosferici, non vi è bisogno si aggiungano le calamità create dal mondo venatorio per soddisfare i propri interessi ludici ed economici.
3 – L’attività venatoria non costituisce alcun valore aggiunto per l’agricoltura. Il cacciatore usufruisce gratuitamente dei terreni privati, coltivati e non, a spese dei proprietari e spesso è anche di ostacolo ad utilizzi turistici e culturali in grado di sviluppare economie locali ecologicamente compatibili. L’agricoltore ha il diritto di poter escludere dai propri fondi coloro che ritiene possano essergli causa di danni. Il superamento della deroga pro caccia dell’art. 842 del Codice Civile, che consente al cacciatore di poter entrare nei fondi privati contro il volere del proprietario, dovrà trovare accoglimento da parte del legislatore.
4 – NO alla realizzazione di una filiera della carne di cinghiale. L’ipotesi della realizzazione di una filiera della carne di cinghiale determinerebbe unicamente la permanenza e l’incremento dell’attuale situazione
5 – Il futuro dell’attività agricola. Sarà nel tempo sempre più improntato a produzioni ecologicamente sostenibili, rispettose degli equilibri ambientali e del benessere degli animali nonché valorizzanti le produzioni e le eccellenze locali con il saggio decremento delle importazioni dai Paesi esteri.
Nella speranza che si ascoltino altre voci, ci auguriamo che questo bell’esempio culturale, su basi scientifiche, possa essere trasmesso e accettato in altri contesti.