Salvatore Diego Di Gioia – nome d’arte Il Cartello – è uno dei cantautori emergenti della scena indie-pop riminese.
Nato a Foggia da una famiglia di musicisti, ha nel sangue il genoma dell’artista “predestinato”. Suo padre, in particolare, scriveva canzoni e si divideva tra radio e studi di registrazione: “Per qualche anno – rivela – ha gestito anche un bar e ancora oggi ricordo quei pomeriggi trascorsi a cavalcioni sul juke-box ad ascoltare i successi di Michael Jackson e dei Bee Gees”.
Poi a 14 anni l’arrivo a Rimini dove fonda i “Breathing the night”, una band di punk & alternative-rock con la quale si esibisce nei più importanti locali della riviera: “Con loro – ricorda – avevo registrato anche un album. Giorni e notti di prove e di lavoro intenso. Tante speranze, tanti sogni, ma alla fine quel progetto resterà per sempre nel cassetto”.
Ostaggio della sua anima crepuscolare e sempre più distante dai riti omologati della discografia commerciale – dopo una dolorosa fase di riflessione – Diego si rifugia nella scrittura solitaria e, canzone dopo canzone, diventa “Il Cartello”, nome ispirato a “Breaking Bad”, la serie Netflix che racconta la storia di un insegnante che, dopo la diagnosi di cancro terminale ai polmoni, diventa un “narcos” per garantire la sopravvivenza della sua famiglia.
Diego compone nell’oscurità, nelle grigie giornate d’inverno (“in estate, sotto le luci abbaglianti della riviera, la mia vis creativa si appanna”). Quando avverte il conato dell’ispirazione, riemerge da una catasta di cianfrusaglie inutili e banali (“come quel mondo-vetrina che ci impone di essere sempre felici”), si lascia travolgere dalla solitudine e, per esorcizzare ansia e frustrazioni, si arrende alla parte più cupa dell’esistenza, fino ad abituarsi al buio. E’ lì, in quel preciso istante, che – di fronte al baratro di un foglio bianco – nascono le sue canzoni: “C’è chi considera il dolore uno straccio sudicio da nascondere in un cesto – dice – la polvere da spazzare sotto al tappeto. Per me, invece, il dolore è un’emozione che non va repressa, ma accolta e incanalata fino a tradurla in musica. Io compongo per chi, come me, si sente a disagio in questo mondo e riesce a raccontare se stesso solo attraverso le sue canzoni”.
Tra la malinconia di sogni infranti e una sensibilità che gli scortica l’anima, la sua musica si nutre soprattutto di tristezza “perché alla fine – dice – la felicità è meglio immaginarla che possederla”.
Ed è con questo mood che, con la preziosa collaborazione di Carlo Di Gioia (Bunker Studio di Ravenna), è nato il suo nuovo brano – “Cosa importa a noi” (in uscita il 18 marzo in streaming) – prodotto da Majorizm Lab e registrato assieme ad Eneri, al secolo Maria Musarra Pizzo, altro talento “selvaggio” della musica riminese, uno di quelle voci abrasive che farebbe impazzire i talent e che, invece, preferisce scansare i riflettori flirtando con la solitudine dei numeri primi: “Quando, circa un anno fa, l’ho sentita cantare per la prima volta a casa mia – ricorda Diego – sono rimasto pietrificato. Ha una voce incredibile, se l’ascolti e chiudi gli occhi pensi subito ad Amy Winehouse. A lei mi accomuna l’amore per la malinconia: anche Eneri, quando soffre, diventa un’autrice formidabile”.
Il brano, come tante creazioni de Il Cartello, ha acquisito un senso compiuto soltanto strada facendo: “E’ una canzone che ho composto in due momenti diversi: all’inizio era solo un motivetto strimpellato con la chitarra in una notte come tante poi, non appena Eneri l’ha ascoltato, mi ha subito detto ‘facciamolo assieme’. L’ho completato ed è nato il brano”.
Ed è stata propio Eneri, con il suo slancio onirico, a progettare il canovaccio del video, una clip girata in Spagna diretta da Samuele Apperti in uscita il 25 marzo su YouTube in cui, alla fine, i protagonisti (Diego e Maria) – dopo una feroce battaglia interiore – decidono di darsi fuoco: “Il fuoco come elemento purificatore e come occasione di crescita – spiega Diego – il fuoco che brucia la parte più negativa di noi, quella parte che, se non riesci a conviverci, devi per forza uccidere”. Quella parte si chiama misantropia, isolamento e alienazione, “un disagio che, per noi, ha una sola via d’uscita: la musica”.
Single per convinzione (“in amore combino solo disastri”), ambizioso a modo suo (“mi piacerebbe che le mie canzoni sbloccassero dei ricordi”), spesso prigioniero dei suoi vortici mentali (“tante volte mi chiedo: cosa ci faccio io qua?”), Diego adora i Nirvana anche se la sua musica è il compendio di tanti stili ed influenze: “Non penso alle etichette – conclude – ma solo a creare canzoni. Sto lavorando al mio primo album e spero di pubblicarlo prima possibile perché, a volte, mi assale l’ansia che le mie canzoni invecchino. Ed io di rimpianti ne ho già troppi”.