Il marito e il figlio di Vittoria Fadda, la donna deceduta perchè lasciata sei ore in attesa al Pronto Soccorso con un infarto in corso, hanno visto confermate dai periti del Tribunale le loro riserve sull’operato dei sanitari dell’ospedale di Sassari e l’Aou li ha risarciti.
“Potevano salvarla, bastava solo che la visitassero un po’ prima”aveva denunciato il marito all’indomani della tragedia.
Aveva ragione, nonostante il direttore del Pronto Soccorso “incriminato”, dell’ospedale Santissima Annunziata di Sassari, il dott. Mario Oppes, avesse difeso e definito corretto l’operato dei suoi dottori.
A più di quattro anni dall’evitabile morte, a soli 73 anni, della sassarese Vittoria Fadda, i suoi familiari, assistiti in questa lunga battaglia da Studio3A, hanno visto riconosciute in pieno dai periti del Tribunale tutte le loro perplessità su come la loro cara (non) era stata curata e l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari li ha risarciti con una somma rilevante.
La donna, che soffriva di svariate patologie e a cui era appena stato asportato un rene con conseguente inizio della dialisi, il 13 ottobre 2017 sviene in casa. Il marito chiama il 118 e la paziente viene condotta al Pronto Soccorso dell’ospedale civile di Sassari, dove accede alle 19.12: l’uomo consegna tutta la documentazione medica al Triage, facendo presente che l’indomani la moglie deve sottoporsi a dialisi. Le assegnano il codice verde ma da allora resta per ore nel corridoio del pronto soccorso senza che nessun medico o infermiere la veda, nonostante il marito solleciti una visita. Finalmente, all’1 e 28 del 14 ottobre, più di sei ore dopo il suo arrivo, Vittoria Fadda viene chiamata per essere visitata ma all’1 e 45, mentre le misurano la pressione e la stanno per sottoporre all’ecocardiogramma alla luce degli elevati valori di potassio nel sangue registrati tramite l’emogasanalisi arteriosa, va in arresto cardiaco. I sanitari tentano la rianimazione cardiopolmonare, sia attraverso le classiche manovre sia con la somministrazione di farmaci per ristabilire l’attività cardiaca, ma un’ora e mezza dopo, alle 3.05, viene constatato il decesso.
Il marito e il figlio, sconvolti, hanno subito puntato il dito su quella lunga attesa e alcuni mesi dopo hanno deciso di fare piena luce sui fatti e le responsabilità e, tramite il responsabile della sede di Cagliari, dott. Michele Baldinu, si sono affidati a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e tutela dei diritti dei cittadini, che ha acquisito tutta la documentazione clinica sottoponendola ai propri esperti, in particolare al medico legale dott. Gaetano Quaranta. Il quale, con una dettagliata relazione, ha puntualmente rilevato come il decesso fosse stato effettivamente determinato dal ritardo diagnostico e terapeutico, ricordando che, quand’anche alla paziente fosse stato attribuito il codice verde (gravavano anche dubbi sull’effettiva assegnazione di un codice/colore di Triage), da linee guida avrebbe dovuto essere visitata o rivalutata nell’arco di 30-40 minuti, non certo 6 ore. Studio3A ha quindi chiesto i danni all’Aou ma dinanzi al fermo diniego dell’azienda sanitaria e della sua compagnia di assicurazioni, Reale Mutua, si è proceduto, in collaborazione con l’Avv. Maria Antonietta Usai, del Foro di Cagliari, con un’istanza di Accertamento Tecnico Preventivo avanti il Tribunale di Sassari, riscontrata dal giudice, dott.ssa Paola Irene Calastri, che ha nominato due consulenti tecnici d’ufficio per valutare il caso e la condotta dei sanitari, i dottori Paolo Giovanni Maietta, medico legale, e Mario Moro, specialista in Nefrologia: come consulente di parte per i familiari Studio3A ha indicato il dott. Quaranta cha ha partecipato a tutte le operazioni peritali.
Ebbene, la loro perizia ha confermato in pieno le osservazioni dei familiari e di Studio3A. I due consulenti tecnici hanno chiarito innanzitutto che il decesso è stato dovuto a una “tachiaritmia cardiaca (fibrillazione) da iperkaliemia in quadro di insufficienza renale cronica in soggetto con dialisi”, ma soprattutto hanno accertato il grave e fatale ritardo con cui la paziente è stata presa in carico. “Il punto centrale della vicenda – scrivono – sta nella gestione messa in atto tra l’accesso al Pronto Soccorso, alle 19.12, e quello alle cure, all’1.28. Secondo quanto previsto dalle linee di indirizzo in tema di triage e gestione del paziente afferente al Ps, finalità del triage è distribuire cronologicamente i pazienti in base al livello di emergenze/urgenza e sorvegliarli. La sorveglianza avviene attraverso la “rivalutazione” dei pazienti, che va svolta o in base al giudizio del triagista o delle richieste del paziente o qualora sia passato il tempo massimo di attesa previsto dai codici colore (60 minuti nel caso di codice colore verde). Nel caso in esame in realtà non è stata erogata alcuna prestazione per 316 minuti, momento in cui la vittima è acceduta a visita”.
“Un’attenta rivalutazione di una paziente fragile – concludono i due Ctu – avrebbe intercettato lo stato clinico della stessa, che con le pre-esistenze, in particolare insufficienza renale cronica, avrebbe dato indicazione a un’analisi ematica (l’EGA). Ciò avrebbe permesso di individuare l’iperkaliemia, riscontrabile costitutivamente nel 53% dei pazienti dializzati come la signora Fadda, di monitorarla e iniziare eventualmente una terapia farmacologica o strumentale atta a ridurre la concentrazione dell’elettrolita responsabile dell’instabilità cellulare e di conseguenza delle aritmie, evitando l’insorgenza di recidive a 24 ore in una percentuale di casi compresa tra il 18% e il 27%. La possibilità di intercettare, con criterio del più probabile che non, l’iperkaliemia (53%) avrebbe permesso di iniziare un iter diagnostico-terapeutico volto a ridurre, sempre con criterio del più probabile che non (dal 63 al 72% sulla base della letteratura scientifica consultata), la recidiva di disionie che a loro volta rappresentano la principale causa, in pazienti come la Fadda, di aritmie fatali”.
Di fronte a queste inequivocabili conclusioni, l’Azienda sanitaria e la sua compagnia di assicurazione, anche per evitare una causa che sapevano benissimo avrebbero perso, e che d’altra parte avrebbe allungato ulteriormente i tempi di attesa per i congiunti della vittima, hanno deciso finalmente di assumersi le loro responsabilità e, dopo una lunga trattativa con Studio3A, è stato raggiunto un accordo stragiudiziale e il marito e il figlio sono stati risarciti di una somma importante. Ma a loro non interessava tanto il danaro, che non riporterà indietro la loro cara, quanto piuttosto l’impegno di rendere in qualche modo giustizia alla signora Vittoria, sia pur solo in sede civile, e di sensibilizzare gli enti preposti affinché omissioni del genere non abbiano più a capitare. Ora ci sono riusciti.