L’aumento incontrollato dei prezzi delle materie prime è entrata in corto circuito con la guerra della Russia in Ucraina, Paesi, entrambi, tra i maggiori esportatori di cereali: insieme rappresentano il 29% dell’export di grano e il 19% di quello di mais.
In una settimana, dall’inizio della guerra in Ucraina, il prezzo del grano è balzato del 38,6% ma ad aumentare del 17% e stato anche il prezzo del mais e del 6% quello della soia destinati all’alimentazione degli animali negli allevamenti. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sulla base delle quotazioni alla borsa merci di Chicago, punto di riferimento mondiale del commercio dei prodotti agricoli. Il contratto future più attivo sul grano ha chiuso a 11,91-1/4 dollari per bushel (27,2 chili) ai massimi da marzo 2008 mentre il mais a 7,6 dollari per bushel al top da 10 anni e la soia a 16,78 dollari per bushel. A pesare è – sottolinea la Coldiretti – la chiusura dei porti sul Mar Nero che impediscono le spedizioni e creano carenza sul mercato.
“I prezzi stanno crescendo di giorno in giorno e stanno mettendo in seria difficoltà le aziende agricole in quanto si ritrovano da una parte con costi di produzione che stanno lievitando e dall’altra con la remunerazione dei propri prodotti bloccata – spiega il presidente di Coldiretti Cagliari Giorgio Demurtas -. La guerra oltre agli effetti nefasti per le popolazioni coinvolte ha delle conseguenze negative anche per la nostra agricoltura ed in particolare per gli allevatori che si ritrovano oltre con i prezzi alle stelle anche con il rischio di non avere proprio mangime per via dei blocchi imposti dalla guerra. Una situazione insostenibile a cui non bastano i soli sforzi, seppur importanti, della Regione Sardegna che sta cercando di metterci una pezza con interventi straordinari a tutti i settori agricoli”.
Una risposta per Coldiretti può arrivare dagli accordi di filiera per le quali il Pnrr destina 1,2miliardi di euro. “Nel progetto Sardegna che abbiamo presentato al Governatore e ai Capigruppo del Consiglio regionale – ricorda il direttore di Coldiretti Cagliari Luca Saba – , uno dei sette punti è quello di ri-coltivare la Sardegna, ed in particolare partire dal recupero di 100mila ettari irrigui ed oggi non utilizzati (dei 193mila ettari strutturarti ad irriguo oggi ne vengono utilizzati il 30%) per la coltivazione di mangimi di qualità da distribuire poi all’interno di accordi di filiera tra agricoltori e allevatori sardi con la garanzia di un prezzo equo per entrambi. Progetto da incentivare con un contributo di 200 euro ad ettaro, per un intervento totale di 20milioni di euro”.
“E’ un controsenso avere i campi incolti e dipendere dagli altri Paesi – sottolinea Giorgio Demurtas -, non si tratta di politiche autarchiche ma di buon senso. Un paradosso che in questi giorni sta emergendo in tutta la sua brutalità, con prezzi record ed il rischio concreto di lasciare gli animali senza cibo, oltre ad essere in balia delle speculazioni che in situazioni di crisi come questa esplodono”.
Coldiretti si appella anche a tutta la filiera, compresa la Grande distribuzione, “affinché si creino filiere virtuose, etiche e solidali – sostiene Luca Saba – in cui i maggiori costi siano spalmati e condivisi evitando di farli ricadere come sempre sugli anelli più deboli che sono ai due vertici, i produttori ed i consumatori. Un altro punto del progetto Sardegna è sulla costituzione del Patto con la Gdo, un tavolo di filiera del cibo in cui sia garantito un prezzo equo a tutti e la valorizzazione dei prodotti made in Sardinia”.
Qualche esempio virtuoso, ancorché da strutture in modo organico, si sta già sviluppando, ed è quello della filiera del pomodoro da industria. Nei giorni scorsi produttori e trasformatori (Casar) hanno trovato l’accordo per 14 euro a quintale (pagato al produttore), con un incremento, rispetto alla scorsa stagione (si chiuse a 12,80), di 1,20 euro a quintale. L’anno scorso, Casar, dopo aver trovato l’accordo con gli agricoltori su 12,20 euro, decise poi di aumentare il prezzo e portarlo a fine annata a 12,80 euro, con un incremento di 60 centesimi, portando nelle tasche dei produttori di pomodoro 240mila euro in più.
“Anche quest’anno la Casas si dimostra concretamente vicina ai produttori – afferma Giuseppe Onnis, agricoltore e presidente di Coldiretti Samassi –. E nonostante le difficoltà siano anche per l’industria, condivide e si accolla con noi produttori i maggiori costi su tutta la filiera. Siamo chiamati tutti a grandi sforzi per superare e assimilare questa difficile situazione ed in questo caso stiamo condividendo un percorso insieme che ci porterà, vista proprio l’incertezza, ad una riduzione delle produzioni di circa il 30% rispetto alla scorsa stagione”.
In Sardegna si coltivano circa 330 ettari a pomodoro da industria (quello allungato per le conserve) tra Oristano (maggior produttore con 100 ettari), San Vero Milis, Solarussa, Cabras, Zeddiani, Serramanna, Samassi, Serrenti e Nuraminis.