Il Grigio” descrive l’inatteso e sgradito incontro di questo moderno (anti)eroe con una bestiola ben decisa a imporre la propria presenza nella nuova casa, alla periferia della città: svanita l’illusione di poter ritrovare la pace e l’equilibrio interiore, prendendo le distanze dal caos del mondo e dai nodi irrisolti della sua esistenza, per ritirarsi in solitudine a riflettere e possibilmente rimettersi a lavorare, l’uomo si trova costretto a lottare con un “nemico” sconosciuto, ma certamente dotato di astuzia e forse di una certa malvagità, nel tentativo di difendere il proprio spazio e la propria dignità, riconquistando l’iniziale e necessario senso di libertà.
Il duello comico e paradossale tra due avversari che agiscono, e reagiscono, in base ai condizionamenti della propria specie, mette in risalto le reali difficoltà del protagonista, quasi che quella strana “guerra” fatta di trappole e inganni non fosse altro che un riflesso del suo stato d’animo, dei suoi dilemmi personali e dei suoi sentimenti contraddittori, un sintomo dell’urgenza e insieme del timore di mettere ordine tra i pensieri e tracciare un bilancio, affrontare decisioni e compiere scelte irrevocabili, invece di lasciarsi semplicemente travolgere dalla circostanze e farsi trascinare dalla corrente. Il subdolo animale si nasconde, ma lascia tracce e segni inequivocabili, come un invadente coinquilino, fino quasi a trasformarsi in una ossessione: “Il Grigio” nella mise en scène di Salvatore Della Villa, che firma la regia, con musiche originali di Gianluigi Antonaci, sonorizzazione di Rocco Angilè e video di Andrea Federico – produzione Compagnia Salvatore Della Villa – mette l’accento sulla crisi del protagonista, che scopre dentro di sé una capacità di odiare, sia pure rivolta verso un fastidioso roditore, di cui è preda tra meraviglia e sgomento.
Un uomo educato e civile, portato alla gentilezza e alla tolleranza, pur consapevole della propria vulnerabilità, cerca la propria oasi suburbana: «In quel momento volevo pensare a me. Avevo proprio bisogno di allontanarmi da tutto, di vivere un po’ più isolato… Anche col lavoro, non ce la facevo più. No, non il lavoro… tutto quello che c’è intorno… gli interessi personali, i contatti, la volgarità, i rigiri…». Quella vaga insofferenza e un crescente disgusto per quell’ambiente lo inducono a isolarsi, momentaneamente, a cercare rifugio e sollievo altrove, e «una casetta tranquilla, tutta bianca, funzionale, poco lontana dalla città» con un po’ di verde intorno sembra il luogo ideale per ritrovare se stesso nel silenzio, lontano dai riti mondani e dalle atmosfere di un’epoca priva di eleganza. Un imbarbarimento, uno scadimento progressivo che gli risulta sempre più insopportabile, e che è uno strano miscuglio tra insensibilità e ostentazione: «La volgarità degli oggetti, delle case, degli uomini, del successo, del fare, del non fare, delle parole, dei vestiti, delle facce, dei gesti, delle risate. La volgarità degli uomini politici, dei funzionari, dei giornalisti, degli intellettuali, degli attori, dei cantanti. La volgarità del mondo intero… certo, tutto dentro nella scatola, nel tubo… si, la fluorescenza… tutta la volgarità del mondo minuto per minuto».
Una qualità sempre più pervasiva, cui è difficile sottrarsi, amplificata dalla televisione, che è insieme specchio e sorgente di una civiltà in declino: «E’ per questo che uno scappa da tutto. Perché senti che ti fa male… un male fisico, allo stomaco. Ti fa male dentro, diventi più brutto, più cattivo. E non te ne accorgi, perché ormai è la tua vita, la normalità. Perché la volgarità è in tutti. La volgarità dei sarti, degli architetti. La volgarità dell’opinione, della finta correttezza, dello scoop, dell’informazione. Sparire, sparire… impossibile… Ma sì, meglio l’idiozia, il delirio… Voglio vedere fino a che punto… Aria, aria. Ho bisogno d’aria». Scritto alla fine degli Anni Ottanta, “Il Grigio” riflette la coscienza del ruolo sempre più rilevante del piccolo schermo nel determinare il gusto e influenzare l’opinione pubblica: l’innocuo elettrodomestico con le sue luci e voci ipnotiche è un potentissimo mezzo di comunicazione di massa, catalizzatore di pulsioni e bramosie, capace di anestetizzare le emozioni e intorpidire i riflessi morali e la naturale indignazione. La ribellione dello sfinito eroe si risolve in un volontario allontanamento, dove però un ostacolo insormontabile si pone fra lui e la sua agognata serenità: la furbizia del topo, refrattario a tutti i sistemi escogitati per imprigionarlo o scacciarlo, diventa un enigma quasi beckettiano, una sfida alla ragione, in un tragicomico crescendo con un finale tutto da scoprire.
«Non sfuggirà al pubblico che ‘lui’ in scena non ha un nome, insomma, è un “Innominato” della postmoderna società urbanizzata, che probabilmente non ha nome dal momento che qualsiasi nome di uno di noi lo denominerebbe – si legge nella presentazione –. «E non sfuggirà neppure che lui non è affatto homo oeconomicus, piuttosto è homo agens, e nella vita si è sempre dato da fare per rimuovere le insoddisfazioni al meglio delle sue possibilità. Perfetto homo agens del suo tempo, agisce e subisce al contempo l’inesorabile frammentazione dei suoi giorni, dei nostri giorni; frammentazione che con l’ingresso nella nuova casa spera di risolvere, ricominciando un’altra vita e lasciandosi finalmente dietro i fallimenti e le macerie del passato. Ma a sua insaputa l’oasi felice, tinteggiata di nuovo, è subdolamente abitata. Un disturbatore è nell’oasi, è sleale e ingannatore, lo inquieta, gli toglie il sonno, lo assale… insinua il dubbio, provoca la lotta, rosicchia l’anima, rosicchia perfino le carte della sua migliore creatività. Ma tiene desta la mente».
Il protagonista. Salvatore Della Villa, formatosi presso il Centro D di Torino con Iginio Bonazzi, ha debuttato nel 1994 al Teatro Alfieri di Torino nel “Bonaventura” di Sergio Tofano con la regia di Franco Passatore. Ha diretto e interpretato lavori di Luigi Pirandello, Anton Cechov, Guy De Maupassant, Jerome K. Jerome, Ionesco, Sergio Tofano, Giorgio Gaber, Stefano Benni, Luciano Violante, Massimo Bontempelli, William Shakespeare, Victor Hugo, Aristofane, Federico Garcia Lorca, Edmond Rostand, Antoine de Saint-Exupéry, Achille Campanile, Gianni Rodari. Ha lavorato, tra gli altri, con Riccardo Caporossi e Anna Mazzamauro. Tra i suoi lavori, oltre all’originale concerto poetico “Bestiario Salentino” da Vittorio Bodii, “Il Canzoniere della Morte” di Salvatore Toma, “Il Grigio” di Giorgio Gaber e Sandro Luporini e “Caligola” di Albert Camus.