Violenza di genere e violenza assistita dei minori
Non è mai troppo presto o troppo tardi per affrontare un tema importante come quello della violenza di genere. Se ne parla abbastanza? No.Si accenna (e qualche volta si cerca di approfondire) quando le tragiche notizie di cronaca ci ricordano che ogni giorno una donna viene uccisa. Nel nostro Paese ma anche nel resto del mondo.
Ma che cos’è la violenza di genere?
Con il termine “violenza di genere” si vogliono indicare tutte quelle forme di violenza che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso.
I casi di cronaca degli ultimi anni ci impongono di fare attenzione a questo fenomeno rispetto alle donne.
Purtroppo le più coinvolte in qualità di vittime. Le forme della violenza sono varie: da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking allo stupro, fino al femminicidio.
E la violenza assistita?
La violenza assistita è definita dal Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia) come:
“il fare esperienza da parte del/la bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulti e minori”.
La Convenzione di Istanbul sulla “prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica” e la “protezione dei bambini testimoni di violenza domestica”.
Il primo strumento sovranazionale e giuridicamente vincolante da considerare è la Convenzione di Istanbul, cui il nostro Paese ha aderito. Questa Convenzione rappresenta un punto di partenza fondamentale: firmata a Istanbul nel 2011, ratificata dall’Italia nel 2013 ed entrata in vigore nel 2014.
La Convenzione riguarda la ‘prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica’. L’elemento caratterizzante è il riconoscimento della violenza sulle donne come forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione.
Ma non solo: prevede anche la protezione dei bambini testimoni di violenza domestica e richiede, tra le altre cose, la penalizzazione delle mutilazioni genitali femminili. Quindi: individua la violenza di genere ma anche quella assistita, ovvero quella subita dai minori che, appunto, assistono alle violenze, e ne riconosce la tutela.
Soprattutto si incentra sulla protezione della vittima e la prevenzione di queste violenze.
Merita attenzione una particolare situazione: la Turchia, nel Marzo 2021, ha sottoscritto un decreto di recesso dalla Convenzione. Nel 2012 era stato il primo paese a ratificarla.
Per comprendere la situazione: In Turchia, secondo le statistiche ufficiali, nel 2020 sono stati commessi 234 femminicidi, 11.745 reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare e 4.109 molestie sessuali.
La Convenzione di Istanbul non può certamente essere considerata la panacea di tutti i mali. Allo stesso tempo costituisce un punto di partenza irrinunciabile per affrontare il problema.
Come viene affrontata e trattata la violenza di genere nel nostro sistema? Vengono applicate effettivamente le disposizioni della Convenzione di Istanbul?
È interessante a questo proposito analizzare un’indagine condotta dalle avvocate dell’Associazione Di.Re. (donne in rete contro la violenza) in relazione al mancato riconoscimento della violenza nelle aule dei tribunali, ordinari ma anche quelli dei minori:
La Convenzione di Istanbul viene costantemente ignorata nelle valutazioni che devono essere effettuate dai Tribunali per assumere delle decisioni. In particolare per quel che riguarda la tutela della posizione dei minori.
Ad esempio: la Convenzione vieta di procedere alla mediazione obbligatoria nei casi di separazione che coinvolgono donne che hanno subito violenza; ma il 65% delle avvocate dell’Associazione Di.Re. afferma che sia i tribunali ordinari sia quello dei minori (anche se in percentuale minore) invitano i genitori alla mediazione in presenza di queste circostanze.
L’intento che le aule di giustizia intendono perseguire è quello di cercare il più possibile di mantenere solido il legame genitoriale; ma in questi casi la figura genitoriale è una figura abusante che difficilmente riesce a non riflettere questo atteggiamento anche nel rapporto con il proprio figlio/a (magari presente alle manifestazioni di violenza domestica nei confronti della madre).
Un altro aspetto che l’Associazione ha sottolineato è la mancata valutazione del rischio da parte dei tribunali al momento della denuncia o nella proposizione del ricorso per la separazione. La Convenzione di Istanbul impone di adottare tutti gli strumenti necessari per la prevenzione della violenza: questo strumento dovrebbe, quindi, essere utilizzato in ottica preventiva.
Le autorità italiane, perciò, dovrebbero integrare queste disposizioni, per assicurare una maggiore e sicura protezione a queste delicate situazioni ma soprattutto per affrontarle in ottica di prevenzione.
Riconoscere la violenza di genere: la miniserie Netflix “Maid”
Quando si parla di violenza di genere è immediato pensare ad una aggressione fisica. Ma la violenza non si limita a questo ed è per questo che spesso è difficile riconoscerla. Violenza che determina situazioni insidiose che rendono difficile trovare un varco di uscita.
Ho già accennato al fatto che le forme della violenza sono varie: da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking allo stupro, fino al femminicidio.
Molto interessante a questo proposito è la miniserie Netflix “Maid”, tratta dal libro di Stephanie Land “Maid: Hard Work, Low Pay, and Mother’s Will to Survive”.
Questa miniserie descrive perfettamente tutte le difficoltà che una giovane donna con una figlia piccola deve affrontare, in una società Americana maschilista e capitalista che non comprende (ed anzi sembra proprio ignorare) le esigenze di una madre sola e vittima di violenza.
Racconta e rappresenta le difficoltà iniziali della protagonista Alex a riconoscere quello che stava subendo: una violenza, quella psicologica, più difficile da identificare perché più profonda e non immediatamente visibile.
E le difficoltà che coinvolgono la piccola Maddy, figlia di due anni di Alex che assiste impotente alle manifestazioni di violenza del padre. Grazie all’amore per la piccola Maddy Alex trova le forze per chiedere aiuto e andare avanti nonostante tutte le difficoltà che le si sono presentate.
Questa commovente serie è importante per farci capire che ai primi segnali di violenza (che anche se non sembrano tali in realtà LO SONO) l’unica cosa da fare è allontanarsi e riprendere in mano la propria vita.
Il nostro sistema (come anche quello americano descritto dalla serie) ha certamente bisogno di essere migliorato.
Ma il primo passo fondamentale che noi donne possiamo e dobbiamo fare è quello di capire e riconoscere queste violenze.
Per poter essere libere e riprenderci in mano la nostra vita.
E quella dei nostri figli.
Elena Elisa Campanella