Una pièce originale e coinvolgente, tra la leggerezza dell’ironia e gli strali della satira, per un affresco del Belpaese in chiave di “teatro contro temporaneo”, con la cifra peculiare dei due artisti, dove le radici storiche e antropologiche si traducono in azione scenica e l’astrazione metafisica si incarna nei corpi e nei volti, nelle voci e nei gesti degli attori: “Amleto Take Away” – una produzione della Compagnia Berardi Casolari e del Teatro della Tosse (con il sostegno di Gitiesse Artisti Riuniti, ERT/Emilia Romagna Teatro Fondazione, Festival di Armunia Castiglioncello, Comune di Rimini-Teatro Novelli) con musiche di Davide Berardi e Bruno Galeone e disegno luci di Luca Diani, drammaturgia e regia di Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari – è frutto di una indagine sulle moderne derive dell’umano, tra la perdita degli antichi valori e la mutazione di significato delle parole, in un mondo dove «tutto è rovesciato, capovolto, dove l’etica è una banca, le missioni sono di pace e la guerra è preventiva».
Nella civiltà dell’apparire il dilemma dell'(anti)eroe elisabettiano si trasforma in «To be o FB, questo è il problema!», ma persiste il dubbio su quale sia la scelta che più si addice ad un cuore nobile e generoso, se «Chiudere gli occhi e tuffarsi dentro sé e accettarsi per quello che si è, isolandosi da community virtuali per guardare da vicino e cercare di capire la realtà in cui si vive? O affannarsi per postare foto in posa tutte belle, senza rughe, seducenti, sorridenti, grazie all’app di photoshop?». Infine pare quasi inevitabile, e necessario, lasciarsi trasportare dal flusso, non tentare di opporsi alla corrente, uniformarsi e cercare di «Dimostrare ad ogni costo di essere felici mettendo dei ‘mi piaci’ sui profili degli amici. Pubblicare dei tramonti un bel piatto di spaghetti o gli effetti della pioggia tropicale, sempre tesi anche al mare con un cocktail farsi un selfie perché il mondo sappia, dove sono, con chi sono, e come sto. Apparire, apparire, apparire, bello, figo, number one e sentirsi finalmente invidiato». Insomma, per dirlo nella lingua del Bardo, uno sconsolato ma decisamente attuale «To be or fb, this is the question».
Il giovane (ex) Principe di Danimarca non dovrà più sopportare «colpi di fionda e dardi d’oltraggiosa fortuna» ovvero decidere di «prender armi contro un mare d’affanni e, opponendosi, por loro fine», per compiere il suo destino e finalmente «morire, dormire. Sognare, forse» ma si ritrova a fare i conti con un’epoca complicata, dove «tutto è schiacciato fra il dolore della gente e le temperature dell’ambiente, fra i barbari del nord e i nomadi del sud. Le generazioni sono schiacciate fra lo studio che non serve e il lavoro che non c’è, fra gli under 35 e gli over 63, fra avanguardie incomprensibili e tradizioni insopportabili…».
Il genio di William Shakespeare sembra aver colto con lucidità profetica, o forse con antica sapienza, la nota dominante del ventesimo e ancor più del ventunesimo secolo, quella vaga incertezza che caratterizza la sfera pubblica e privata, le relazioni personali e professionali, la condizione economica e la posizione geografica in seno alla “società liquida”, secondo l’ormai “classica” definizione di Zygmunt Bauman. Il novello Amleto «preferisce fallire piuttosto che rinunciare, non si fa molte domande e decide di tuffarsi, di pancia, nelle cose anche quando sa che non gli porteranno nulla di buono»: un uomo moderno tutt’altro che ignaro delle insidie, ma in qualche modo incapace di sconfiggere quei nemici invisibili e quelle forze avverse presenti intorno a lui, «consapevole ma perdente», spinto sull’orlo dalla follia dai ritmi incalzanti e inesorabili imposti dal consumismo, dagli obblighi e dalle distanze della “virtualità”, dalla “pornografia” dei sentimenti e delle emozioni, in un’esibizione sempre più sfrenata e insensata di sé.
Focus sulla solitudine e sull’alienazione della società contemporanea, oltre che sulla crisi esistenziale del protagonista, vittima degli eventi esterni ma pure di se stesso, che vede vacillare le sue più solide certezze, a partire dall’amore per Ofelia – e perfino la sua passione per il teatro subisce un serio contraccolpo: sogni e ambizioni del famoso (anti)eroe «simbolo del dubbio e dell’insicurezza, icona del disagio e dell’inadeguatezza» si infrangono contro una verità amara. Tutta la fragilità e le segrete inquietudini di un personaggio sconfitto dalla sua immaginazione e condannato ad arrovellarsi sulle infinite possibilità e sugli esiti (im)prevedibili di ogni azione perfino nell’imminenza di una catastrofe si riversano sul palco insieme con i fantasmi di una vita mai vissuta, o interpretata, fino in fondo in una surreale e forse irrealizzabile catarsi finale.