“BELLA CIAO” A CAGLIARI IL 24 APRILE AL TEATRO MASSIMO
A SUD DI BELLA CIAOCanti d’amore e di rivolta dell’Italia meridionale
l’album-progetto è ispirato allo spettacolo di Dario Fo del 1966, “Ci ragiono e canto”
Tredici brani per 8 artisti, tra i più influenti della scena world degli ultimi quarant’anni
Un grande affresco popolare, il racconto della vita e dei sentimenti di un popolo attraverso un repertorio che va dal canto sociale e di protesta ai canti d’amore e al ballo, ispirato a “Ci ragiono e canto” di Dario Fo del 1966.
E’ l’album “A sud di Bella Ciao”, che esce domani 19 novembre:
il naturale seguito del primo “Bella Ciao”, un fortunato progetto del 2014 che ha portato in giro per il mondo il riallestimento dello storico spettacolo del 1964.
Stavolta, come annuncia il titolo, la bussola punta decisamente verso l’Italia meridionale:
con i ritmi della tammurriata, del ballo tondo e della pizzica, con le melodie figlie delle influenze mediterranee, e con la poesia, più lirica nei canti d’amore e più cruda nei canti di rivolta.
- Riccardo Tesi (organetto, direzione musicale),
- Elena Ledda (voce),
- Lucilla Galeazzi (voce),
- Alessio Lega (voce, chitarra),
- Nando Citarella (voce, tamburello, chitarra battente),
- Maurizio Geri (voce, chitarra),
- Gigi Biolcati (percussioni, voce),
- Claudio Carboni (sax)
guidano l’ascoltatore in un viaggio nel passato che aiuta ancora una volta a capire e decifrare il nostro presente.
Tredici brani che tracciano un ideale percorso che parte dal centro del Belpaese, attraversa il sud e arriva in Sardegna.
Troviamo omaggi a cantanti popolari come:
Rosa Balistreri, Caterina Bueno, Matteo Salvatore ma anche a gruppi che hanno segnato la nascita del folk revival meridionale: la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Eugenio Bennato e Musicanova, Canzoniere Grecanico Salentino e Officina Zoè.
Non poteva mancare una versione mediterranea di “Bella ciao”, che nel disco appare come bonus track e che diventa un canto corale con numerosi ospiti (alcuni dei quali ritroviamo anche in altri brani):
- Francesco Loccisano chitarra battente,
- Andrea Piccioni percussioni e scacciapensieri,
- Mauro Durante violino,
- Mirco Capecchi contrabbasso,
- Christian Di Fiore ciaramella,
- Mauro Palmas mandoloncello,
- Andrea Salvadori tzouras,
- Ginevra Di Marco voce,
- Peppe Voltarelli voce,
- Moni Ovadia voce,
- Mario Incudine voce.
Musicalmente, rispetto al disco precedente, “A Sud di Bella Ciao” è stato pensato come un lavoro più corale:
con più spazio per la polifonia e le armonie vocali, arrangiamenti più elaborati, nuovi ritmi e nuove sonorità con l’inserimento di strumenti come la chitarra battente, il tamburello, la tammorra e lo scacciapensieri che ci portano nel Mezzogiorno.
Il repertorio è incentrato sui classici che hanno caratterizzato la storia del folk revival meridionale .
Come nel caso del primo Bella Ciao, rileggere i classici fa parte del DNA di questo gruppo composto da alcuni dei musicisti più influenti della scena world italiana degli ultimi quarant’anni.
“A Sud di Bella Ciao” vuole solo raccontare una storia che si combina con la magia e la leggenda.
Dove la ritualità risveglia il mondo contadino, dove la sensualità si mischia alla fatica.
LE ORIGINI
Lo spettacolo “Bella Ciao” del 2014 nasce come omaggio, a cinquant’anni dal debutto, all’omonimo progetto che nel 1964, al Festival dei Due Mondi di Spoleto, decretò la nascita del Folk Revival in Italia.
Non era, come molti pensano, uno spettacolo esclusivamente politico, ma un vero e proprio “affresco” del mondo popolare attraverso i momenti di festa, amore, lavoro, fede religiosa, protesta, resistenza;
la sua grande forza era quella di mostrare un’altra storia d’Italia, un modo diverso di intendere la cultura.
Tuttavia lo spettacolo aveva una connotazione geografica fortemente settentrionale, poiché all’epoca le ricerche sui canti popolari – ancora in fase pionieristica – non avevano ancora affrontato l’immenso repertorio del sud.
Ci pensò Dario Fo, due anni dopo, con il suo “Ci ragiono e canto”, con la siciliana Rosa Balistrieri e del coro sardo Galletto di Gallura, a dare il via ad un vero e proprio Rinascimento del folk meridionale:
Nuova Compagnia di Canto Popolare, Maria Carta, Tenore di Orgosolo e Bitti sono successi internazionali;
vengono alla ribalta cantastorie tradizionali o moderni come Cicciu Busacca e Otello Profazio, cantautori ancorati alla tradizione come il pioniere Modugno, Matteo Salvatore, Enzo del Re.
Fino ad arrivare agli anni nostri e alla diffusione capillare del tarantismo salentino, iniziato con lo storico Canzoniere Grecanico Salentino.
I BRANI TRACCIA DOPO TRACCIA
1 Canti di lavoro
Lavoro è molto poco
Fimmine fimmine
E lu sule calau calau
Leva leva
Il nuovo capitolo del “Bella ciao” che guarda a sud si apre in perfetta continuità col primo, con una piccola suite dedicata ai canti di lavoro dove intorno allo stesso tema si intrecciano canti di regioni diverse , artificio spesso usato in quel “Ci ragiono e canto” al quale è ispirato.
Lavoro è molto poco è un canto di lavoro nei tipici stilemi polifonici della pianura padana, raccolto e pubblicato a cura di Stefano Cammelli e di Bruno in una raccolta di “Musiche e canti popolari dell’Emilia Romagna”.
Seguono due canti salentini, uno celeberrimo (raccolto anche da Alan Lomax) Fimmine fimmine ed uno un po’ meno noto Lu sule calau calau.
Il primo riguarda la vita infame del bracciantato femminile impiegato nei campi di tabacco, una categoria di lavoratrici molto determinato e avanzato, una sorta di omologhe delle mondine.
Il secondo è un puro canto di rivendicazione “il sole è tramontato, sbrigati padrone che me ne vado”, esattamente il medesimo tema di Sciur padrun da li beli braghi bianchi.
Leva Leva è un canto funzionale all’attività svolta in modo coordinato dai pescatori di tonno calabresi coinvolti a levare le ancore, issare le vele, calare le reti, ecc.
Un canto , anche questo raccolto da Alan Lomax , dal sapore decisamente arcaico, quasi un’invocazione piena di appelli alle potenze celesti dei santi e della Madonna, ad intercedere con le divinità feroci del mare
2 Bella Ciao (a Sud) -Bonus track
Dai balconi alle piazze: Bella Ciao è l’inno della giustizia sociale, un canto di libertà, pace, speranza e fratellanza.
L’abbiamo sentita cantare nelle piazze di ogni paese, nelle manifestazioni per i diritti civili, contro l’oppressione e le tirannie, l’abbiamo infine sentita dai balconi e dalle finestre delle nostre città quando ci siamo dovuti serrare in una necessaria e inattesa reclusione.
Ispirata ai ritmi e ai suoni del Mediterraneo questa versione corale riunisce le voci:
Lucilla Galeazzi, Elena Ledda, Ginevra Di Marco, Mario Incudine, Moni Ovadia, Peppe Voltarelli, Maurizio Geri, Alessio Lega
a cui si uniscono la chitarra battente di Francesco Loccisano, lo scacciapensieri di Nando Citarella, la darbouka di Andrea Piccioni, il violino di Mauro Durante, lo tzouras di Andrea Salvadori, la gigitarra di Gigi Biolcati, il sax di Claudio Carboni, la ciaramella di Christian Di Fiore e l’organetto di Riccardo Tesi.
3 Cu ti lu dissi
Brano di Rosa Balistreri (1927-1990), una delle figure più importanti della canzone popolare italiana.
Nata e cresciuta a Licata in un contesto di miseria e violenza, ne ha subito tutto il calvario di molestie, carcere e privazione, fino alla tragedia dell’uccisione della sorella da parte del cognato e del conseguente suicidio per disperazione del padre.
Emigrata a Firenze, dove visse vent’anni, prima di tornare in Sicilia all’inizio degli anni settanta, fu notata da alcuni intellettuali fra i quali il pittore Renato Guttuso e lo scrittore Leonardo Sciascia che ne promossero la carriera, sostenendola anche economicamente.
Inserita nel cast del “Ci ragiono e canto”, divenne presto la principale rappresentante del canto siciliano, eccellendo in particolare modo nei canti d’amore e di passione.
I due brani interpretati da Lucilla Galeazzi (l’altro è Virrineddha, traccia 10) – che studia attentamente da anni la sua vita e la sua opera con dolorosa partecipazione – vanno considerati un omaggio a questa figura eccezionale di donna e di artista, alla cui riscoperta si sono in tempi recenti dedicate anche cantanti pop come Carmen Consoli e raffinate interpreti come Rita Botto.
4 Des de Mallorca a l’Alguer
Testo scritto dal poeta valenziano Albert Garcia, con il proposito di far incontrare nello stesso canto le sue amiche e cantanti Elena Ledda e Maria Del Mar Bonet e per testimoniare l’esistenza ancora viva dell’antico idioma catalano nella città di Alghero.
Nata a Palma di Maiorca, Maria del Mar Bonet è stata una delle voci più rappresentative del movimento musicale nato in Spagna negli anni cinquanta.
Un movimento di resistenza all’oppressione linguistica del franchismo, per rivendicare e promuovere la legittimazione della canzone e della lingua catalana in tutte le sedi ufficiali.
È ancora oggi una delle più grandi interpreti catalane viventi.
Allo stesso modo, Elena Ledda ha rappresentato e rappresenta la lingua e la musica della Sardegna in tutto il mondo.
Il brano, musicalmente ispirato a un canto tradizionale di lavoro femminile sardo e rielaborato da Mauro Palmas, è un omaggio a tutto il Mediterraneo e a due donne che si identificano con la passione e l’impegno culturale, con il desiderio di riscatto delle due isole dalle quali provengono;
due artiste nelle cui voci viaggiano canti antichi che sono il suono del sole e del mare, del fuoco che brucia le montagne, del vento che scuote gli ulivi, delle mani che si tendono e si uniscono.
Voci profonde che parlano la stessa lingua: quella universalmente compresa, che è la lingua dell’anima.
5 Canto dei sanfedisti
Uno dei brani più controversi della tradizione italiana.
Da una parte possiamo affermare che sia l’unico brano collettivo di rivolta inserito in questo disco (se eccettuiamo alcuni frammenti del repertorio sardo), dall’altra non possiamo non rimarcare come – sebbene sia un brano di grande potenza evocativa, e di sicura presa – sottolinei una pagina nerissima, ingenerosa e orribile per il popolo napoletano.
Il tentativo velleitario ma coraggioso e profondamente umanitario di un gruppo di intellettuali, nobili e borghesi che invaghitisi degli ideali liberali della rivoluzione francese, diedero l’avvio ad un processo che condusse nel gennaio del 1799 a proclamare la Repubblica napoletana.
Contro questa Repubblica – forti anche dell’insofferenza per le truppe napoleoniche venute in soccorso ai suoi dirigenti “So’ venute li Francise aute tasse ‘nce hanno mise” – si muove un esercito della “Santa fede” di contadini fanatici e di tagliagole messi assieme dal Cardinale Fabrizio Ruffo.
La città sarà riconquistata nonostante l’eroica resistenza dei patrioti repubblicani trincerati al castello di Sant’Elmo.
La repressione sarà ferocissima, centinaia le condanne a morte, le carcerazioni perpetue, gli esili.
La canzone insulta vigliaccamente alcune delle figure più luminose di martiri di quella pagina di storia, come Luisa Sanfelice (A lu ponte ‘a Maddalena / ‘onna Luisa è asciuta prena) ed Eleonora de Fonseca Pimentel, la più grande intellettuale donna del suo tempo (ma la strofa è omessa in questa versione).
Amara sorte del sottoproletariato meridionale, quello di amare i suoi sfruttatori e levarsi contro i suoi liberatori (come cinquant’anni più tardi contro il tentativo di Carlo Pisacane).
6 Il trenino che parte e va
Tratta dal repertorio di Caterina Bueno, la più grande interprete e ricercatrice di canti popolari toscani.
La canzone risale all’immediato secondo dopoguerra, il trenino che da San Giovanni Valdarno (AR) portava a Cavriglia era il treno dei minatori, a Cavriglia c’era infatti la miniera di lignite; le donne dei minatori facevano colletta sul treno per tirare avanti. Giuseppe Togni citato nel testo, era il ministro dell’industria in quel periodo.
L’impianto melodico si ritrova molto simile in altri brani di tradizione orale, con testi diversi, a corroborare l’ipotesi che alcune melodie particolarmente significative venissero utilizzate dai cantori anche di altre zone come canovaccio su cui comporre un nuovo testo.
7 Pizzicargia
Pizzica di San Vito
Pizzica di Cutrofiano
Santo Paulo
Core meu
Pizzicarella
Arresìa
Core meu
Beddhu stanotte
Pizzica di San Vito
Sul fenomeno della pizzica salentina esistono ormai biblioteche intere, e sarebbe davvero ingrato provare qui a rendere conto degli studi che dal leggendario testo “La terra del rimorso”, capolavoro di Ernesto de Martino del 1961, fino ad oggi continuano a susseguirsi.
Diremo solo che la sua origine affonda nella credenza che nelle campagne salentine, nei mesi più caldi il morso della tarantola (un grosso ragno effettivamente assai diffuso) provocasse col tempo una sorta di spossatezza, di astenia che riduceva le vittime (in stragrande maggioranza donne), le cosiddette “pizzicate”, all’isolamento e all’incapacità di qualsiasi azione.
La cura consisteva proprio nella musica e nel ballo, casa per casa, oppure in alcuni riti collettivi agiti al confine fra la religione cristiana e una sopravvivenza di paganesimo.
Lo stesso fenomeno di terapia musicale esiste in varie zone del mediterraneo ed in Sardegna dove prende il nome di argia.
In questa suite le due tradizioni vengono messe a confronto.
Un omaggio alla scena musicale salentina, una delle più vitali del panorama italiano.
In particolare il brano è dedicato a Daniele Durante, fra i fondatori dello storico Canzoniere Grecanico Salentino ed uno degli artefici principali della riscoperta della pizzica e di tutto il movimento che ne è derivato, amico di “Bella ciao” , scomparso proprio mentre il disco andava in stampa.
8 Lu bene mio
Brano di Matteo Salvatore (1925 – 2005), senza dubbio la massima espressione di cantante-autore di origine popolare italiano.
Nato in un contesto di miseria, fame e analfabetismo della provincia di Foggia, emigrato a nord nel dopoguerra, fu notato nelle trattorie in cui si esibiva da alcuni intellettuali italiani che lo avviarono ad una carriera che all’inizio degli anni settanta aveva raggiunto un certo successo.
È considerato una sorta di “bluesman” italiano per la vocalità raffinatissima, per la padronanza e l’originalità degli accompagnamenti alla chitarra, ma anche per il destino di violenza e dannazione che lo portò ad uccidere la propria convivente.
9 Sa Bellesa
Procurade’e moderare
Canto a dillu
Sa bellesa
Questa traccia si compone di tre momenti.
Si parte con Pocurade ‘e moderare, cantato sul modulo musicale dei “gosos”:
è la prima strofa di “Su Patriotu sardu a sos feudatarios”, un componimento scritto in epoca sabauda, da Francesco Ignazio Mannu, durante i moti rivoluzionari sardi.
Pubblicato clandestinamente in Corsica nel 1794;
canto di protesta per eccellenza, è stato dichiarato nel 2018 inno ufficiale della Sardegna.
Si prosegue con Cantu a dillu, è una elaborazione vocale su ritmo de “su Dillu” ballo tipico del centro Sardegna.
Il Testo è tratto dai popolarissimi versi del poeta Peppino Mereu (Tonara 1872-1901) dedicati all’amico Nanni Sulis; poesia esistenziale, sociale e di protesta contro i soprusi di ladri e impostori al potere che ingannano e affamano il popolo.
La chiusura è riservata a Sa bellesa, un canto a ballo su versi di Paolo Mossa (Bonorva 1818-1892), tratti da “Sa Bellesa de Clori”; l’esaltazione della bellezza della donna amata e il dolore per l’amore probabilmente non corrisposto.
10 La Virrineddha
Altro brano di Rosa Balistreri il cui destino- benché non sia arrivato all’abisso di quello di Matteo Salvatore – è comunque costellato di miseria e violenza per lo più subita.
Il suo canto dunque lacera e sconvolge.
Questa strana canzone d’amore – che oggi potremmo definire quella di uno stalker – è marchiata a fuoco dalla sua interpretazione.
11 Riturnella
Canto della tradizione calabrese, raccolto a Cirò (KR) dall’etnologo Antonello Ricci e diventato celebre dal 1978 grazie all’interpretazione dei Musicanova, gruppo diretto da Eugenio Bennato.
12 Lu rusciu de lu mare
Forse il brano più noto – fuori dalla tradizione della pizzica – del repertorio popolare salentino, sovente cantato su una melodia leggermente diversa, in modo maggiore.
È un brano sospeso tra la narrazione e lo scioglilingua o la ninna nanna, una sorta di racconto per immagini oniriche che si concatenano in un perenne spostamento;
in una serenata del movimento e della dolce inquietudine che attinge ai vertici della poesia orale.
13 Sia maledetta l’acqua
Omaggio alla Nuova Compagnia Di Canto Popolare che, fin dagli anni settanta, ha contribuito alla ricoperta e al successo della musica napoletana nel mondo.
Questa villanella, presente nel loro primo album, è stata rielaborata a ritmo di tammurriata.
Si tratta di un brano del 1500 giocato sul più classico dei doppi sensi.
LO SPETTACOLO (Official trailer)