Un muro firmato da Andrea Casciu è inconfondibile. Visual e street artist tra i più interessanti del panorama italiano, fonde cultura cosmogonica e incisione, supra-natura e autoritratto, china e sguardi segnanti.
La formazione classica in pittura all’Accademia di Belle Arti di Sassari ha dato più di un input alla sua ricerca artistica; essa muove dal ritratto applicato alle grandi proporzioni dello spazio urbano, al punto da realizzare che «nel rappresentare questi enormi visi ci fosse un senso di sacralità, quasi come fossero delle moderne icone o figure sacre sparse fra le città o in luoghi abbandonati».Abbiamo incontrato l’artista a Bologna, presso Studio Edera.
COSMIC MAN
Il filone dell’uomo barbuto richiama le tue fattezze e cerca un’evoluzione «in esseri cosmici o figure che inglobano all’interno di se stesse mondi con rappresentazioni mitologiche e alchemiche». In che direzione sta tendendo Cosmic Man?
ANDREA CASCIU – Si è un po’ fermato. Era nato dalle letture sulla religione vedica e su questo uomo dalla cui scomposizione veniva creato il Cosmo. C’è stata un’evoluzione e c’è sempre l’autorappresentazione che non vuole andare nel ritratto puro ma intende rappresentare questo personaggio in svariati contesti e tematiche. Ultimamente mi sto concentrando molto sulla tematica dei bestiari, sempre sulla trasformazione del volto ma in una sorta di metafora animalesca.
Cosmic Man si pone in dialettica col contesto/paesaggio o cerca l’astrazione?
Cerco sempre un collegamento con ciò che circonda l’opera, sia come ambientazione, territorio, ma anche trama del muro. Non sento nel mio lavoro un lato astratto a livello più tematico della sensazione. Di base cerco sempre una connessione, penso sia uno dei punti di maggior coerenza nel mio lavoro.
Utilizzi spesso lo sdoppiamento/moltiplicazione del volto. Lavori molto sulle sezioni e queste spesso si intersecano o diventano quasi dei gusci per elementi fantastici/simbolici o luogo di origine di un flusso di qualche tipo.
La sezione è nata con l’Uomo Cosmico, come apertura del personaggio per mostrare che il suo interno era sempre una finestra verso un altro mondo, un infinito. Spesso ci sono le costellazioni… Poi da finestra verso l’infinito ho inserito personaggi che raccontavano un’altra storia, col viso che fa da contenitore per quello che voglio raccontare.
Diventa quasi la cornice – in senso più alto – per queste storie altre.
Sì, cerco sempre di non abbandonare l’icona del viso ma a volte questa è la cornice per altre storie e tematiche, dipende dal lavoro.
Ricordi il primo Cosmic Man?
C’è stato un percorso; dall’Accademia e dai fogli ai muri c’è voluto del tempo.
INCISIONI, BESTIARI e MOSTRI MARINI
Riguardo alla compenetrazione uomo/natura, penso alle opere del naturalista e illustratore bolognese del 1500 Ulisse Aldrovandi – tuo artista di riferimento – che nella sua Monstrorum Historia rappresentò creature umane, animali e piante fuori dal comune.
In una delle tue opere più recenti – Il pesce volante e il camaleonte – elabori elementi diversi di flora e fauna; dal pesce volante si protende un braccio in abiti a sbuffo. Natura, cultura e costume si fondono con l’inconsueto, il cortocircuito e il paradosso in un unico disegno che è fatto di corrispondenze. Ricerchi effetti di stupore o interpreti questa ibridazione in senso più profondo?
Prendo spunto da bestiari medievali, mi diverte molto studiare da questi testi. Sicuramente la ricerca dello stupore è una componente. Quando posso inserisco il mio personaggio, ma provo a fare anche una sorta di ritaglio per creare il mio bestiario. Riguardo al Camaleonte, il committente aveva già visto altri miei lavori e da lì si è concretizzata la tematica del rappresentare animali e natura, divertendomi a fare questo mix.
Lo stesso Aldrovandi si ispirava ai mostri marini che impreziosivano le mappe del cartografo svedese Olao Magno. Cosa ti attrae dei mostri marini?
Forse è perché siamo isolani (ride ndr) . Culturalmente siamo molto forti, spesso rifletto sulle maschere dei costumi sardi; anche lì c’è qualcosa di bestiale e di demoniaco. Ogni tanto anche quella componente ritorna, vuoi o non vuoi c’è un rimando a cose che inconsciamente ti riportano a casa, anche se siamo lontani. A parte ciò, la bellezza di questi disegni pazzeschi, che personalmente mi danno tanto e mi ispirano e ci ragiono in modo diverso anche a seconda del supporto – che sia muro, carta, tela, o solo china o acquerello.
Come integri china e digitale? Ho visto che al digitale ti approcci prevalentemente per quanto riguarda il colore.
Spesso disegno su carta e uso il digitale solo per avvicinarmi al colore, infatti ora che uso il digitale il colore sta entrando un pochino di più nel mio lavoro. In genere io ragiono per tinte piatte o in bianco e nero e il digitale in tal senso mi dà una mano perché mi fa arrivare a colori e risultati che diversamente non otterrei.
É chiaro che per te sia fondamentale il lavoro sull’incisione, tra le tue influenze Albrecht Dürer. I tuoi lavori sono contraddistinti da linee nette, forti contrasti, introspezione e soggetti che volgono lo sguardo all’osservatore, creando empatia. Che ruolo ha per te lo sguardo?
Dürer aveva una mano pazzesca, di lui mi piacciono tantissime cose; il discorso dello sguardo sì, molto, poi i suoi uomini barbuti, con questi baffoni… è lui, lo ritrovi solo nelle sue cose questo. Mi piacciono anche i suoi cavalli e il suo occhio per le composizioni: fenomenale.
RIGENERAZIONE URBANA e STREET ART TOUR
Nei progetti di riqualificazione urbana e promozione del territorio, come quello di qualche tempo fa in Marmilla insieme ad altri street artists come Tellas, Kiki Skipi, La Fille Bertha, sono spesso inclusi dei laboratori pratici. Ti è mai capitato di tenere lezioni ai bambini?
Ho curato diversi laboratori: con i ragazzi delle superiori abbiamo approcciato insieme anche la fase di progettazione, mentre con i bambini delle elementari o di età inferiore si acchiappano alcuni loro suggerimenti, ma di base io li aiuto nella realizzazione e li faccio dipingere. Spesso è il caos, ma è anche quello il bello e il delirio è che alla fine tutti i colori diventano nero. Gli ultimi laboratori risalgono all’estate scorsa (post Covid) ed erano carichissimi!
Tra le varie iniziative di riqualificazione ricordiamo Fiorano Modenese, dedicata allo scultore sardo Pinuccio Sciola; le sue pietre sonore sono sparse nel modenese e visitabili insieme ai murales a lui ispirati. Ti va di parlarcene?
Pinuccio aveva col paese un rapporto di lunghissimo corso. A Fiorano c’è una grande comunità sarda, con un circolo sardo molto forte e Pinuccio Sciola aveva realizzato tantissime opere che poi sono rimaste là, anche perché per dimensioni sarebbero difficili da trasportare. Si voleva omaggiare Pinuccio con un murales per il quale era stato contattato Collettivo FX, che poi ha pensato potesse essere interessante chiamare un artista sardo. Io ci ho pensato e ragionato e infine ho immaginato, nell’opera, di collaborare idealmente con una pietra di Pinuccio. Mi era piaciuto molto quel lavoro.
Sei stato censito in svariate mappe dei murales, sia che si tratti di pubblicazioni – come nel volume Muri di Sardegna. Luoghi e opere della street art (Asteras) – o di percorsi virtuali che offrono veri e propri tour fruibili via app e personalizzabili poi passeggiando per le vie della città – è il caso di Pigmenti: progetto di mappatura in collaborazione con l’Università di Padova. Quando ti chiedono dove sono le tue opere tu inviti piuttosto a trovarle spontaneamente, a lasciar operare il caso?
Cerco di essere gentile e dico dove trovarle, a meno che non si trovino in posti sperduti. Ormai il muralismo è diventato un po’ alla moda anche fra le amministrazioni comunali che dichiarano di voler riqualificare – dove poi in sostanza si interviene ben poco. Ho visto tanti progetti di quando il muralismo non aveva tutto questo risalto mediatico e si facevano già delle mappe, perché era difficile andare a scovare i muri, quindi non la vedo malvagia in senso assoluto, se fatta non a scopo di lucro ma per aiutare gli appassionati. Mi disturba di più lo stacco dai muri.
Questo è un tema importante, percepisco la tua totale avversione.
Sì, personalmente non sarei d’accordo perché ogni opera è stata fatta per un preciso contesto; ci sono tante altre mie opere fatte per altri contesti e su altri supporti e stop. Semplicemente molti questo non lo capiscono.
SMATERIALIZZAZIONE DELL’ARTE e METAVERSO
Tra i tuoi progetti in atto, insieme a Kiki Skipi – con la quale condividi Studio Edera e moltissime collaborazioni – c’è AFUERA, nel contesto di BOOMing Contemporary Art Show. La fiera dell’arte di Bologna, che includerà l‘Olimpo dei grandi nomi internazionali (Banksy, Keith Haring), si propone di estendere lo spazio e crearne di nuovi. Nelle parole degli organizzatori: «Un focus rivolto al modo dell’arte urbana con lo scopo di mostrarne quanti più esiti possibili nel momento in cui essa si stacca dal suo supporto convenzionale, il muro, per approdare a tecniche e contesti differenti». Quale il tuo approccio mentale e artistico all’arte nel metaverso?
Una volta ho partecipato ad Artefiera come ospite di una galleria. Siamo estranei al mondo delle fiere e di questo tipo di eventi, ma io e Kiki ci abbiamo voluto provare prendendo uno spazio fisico come Studio Edera e invitando altri due artisti; Skan l’artista uruguaiana Nullo. BOOMing è stato prima annullato causa Covid, poi hanno pensato di far proseguire il tutto anche a livello mediatico con questa operazione legata al metaverso. Altre gallerie hanno fatto virtual tour più fedeli all’esposizione che si troverà nello spazio fisico, nel nostro caso non avendo ancora tutte le opere abbiamo giocato un po’ con lo spazio, ma puntiamo alla mostra reale che si terrà tra il 12 e il 15 maggio 2022. É stato un po’ strano per noi, ma comunque interessante avere un’anteprima delle gallerie coinvolte.
Mentre parliamo di metaverso osservo le mani tatuate esposte in studio: oggetto, materia, simbolo.
Tra le varie cose faccio tatuaggi. Nello studio dove ho lavorato mi hanno regalato una di quelle mani di silicone, che vengono usate come supporti per la pratica. Questa cosa mi ha divertito, così ho continuato realizzando delle opere, le ho incorniciate con una teca e gli ho dato una spinta in più. Da lì è nata l’idea… vuoi tatuarti le mani?
Le linee sui palmi, per vedere come quelle vere cambiano ed escono dal tracciato.
ATTIVISMO e PENNELLI RIBELLI
Parlaci di A FORAS challenge, alla quale hanno partecipato oltre 60 artisti – fra i quali Zerocalcare e Crisa.
Ho partecipato come illustratore con un’opera per l’asta organizzata dal Circolo Culturale Brigada di Cagliari. Il ricavato dalla vendita dei poster serviva a supportare 45 manifestanti denunciati per aver protestato contro la base militare a.
Sei tra i fondatori di Pennelli Ribelli; festival di street art che ha trasformato alcuni edifici industriali tra Lama di Reno e Marzabotto – fra cui l’ex cartiera e diverse cabine Enel. Proprio a Marzabotto, dove nel 1944 avvenne l’eccidio di migliaia di persone per mano nazista, la sindaca Valentina Cuppi ha dichiarato: «Il fine è creare una galleria d’arte contemporanea urbana che mandi un messaggio di incontro tra culture e di pace, valorizzando il patrimonio storico e naturalistico del territorio».
Le opere del progetto ritraggono lupi e bandiere rosse, sia i simboli partigiani sia del Partito Fascista, di Forza Nuova e della Lega, con una connotazione attualizzante di cosa sia o debba ancora essere la Resistenza.
Hai dichiarato: «Ci siamo sentiti in dovere di intraprendere questo progetto con l’obiettivo di rilanciare un nuovo linguaggio dedicato alla Memoria, che secondo noi stava un po’ perdendo la sua reale forza. Per noi la Memoria è attiva, fatta di proposte positive, creative e ribelli».
Pennelli Ribelli sta andando avanti, anche quest’anno faremo qualcosa a Marzabotto, la sindaca ci sostiene. Il primo anno abbiamo ricevuto finanziamenti da parte della Regione nell’ambito di un progetto europeo, ma più spesso si tratta di iniziative autofinanziate. Teniamo molto alla componente di relazione col territorio, infatti prima di realizzare i muri abbiamo fatto una serie di incontri con gli abitanti della zona per presentare loro gli artisti e far sì che comprendessero il senso ultimo del festival. Spesso invece in questo tipo di festival arriva l’artista, fa il muro e poi riparte senza che si sviluppi un vero e proprio dialogo. Noi ci proviamo, ma chiaramente ci sono contesti più o meno ricettivi a questo tipo di operazione. Lama Di Reno è un paesino piuttosto spoglio, direi desolato, ma abbiamo avuto un gran bel riscontro; quando ci siamo trovati tutti a lavorare sul muro della Cartiera era come una settimana di festa. A Marzabotto inizialmente c’è stata un po’ di indifferenza, ma ormai ci conoscono e ci tollerano (ride, ndr).
Quanto è preminente per te come artista il coinvolgimento nel sociale?
Quando vivi in un momento storico nel quale hai la sensazione che si torni indietro anziché andare avanti, ti viene un po’ di rabbia e voglia di creare qualcosa, soprattutto per i giovani che scordano o addirittura non conoscono. Pennelli Ribelli era nato proprio perché tanto di ciò che era la Resistenza si stava perdendo. Ci siamo detti: facciamo capire che c’è ancora qualcuno che ha voglia di dire qualcosa. Noi lo facciamo con l’arte, altri con altri mezzi, ma c’è sempre la voglia di interagire e scambiarsi opinioni su cose che non vanno dimenticate.
In questo intervento di traduzione della Storia nel presente come ti rapporti a simboli storici così manipolati?
Noi abbiamo dato una chiave di lettura del progetto agli artisti, poi ciascuno lo ha approcciato a suo modo. C’è chi lo fa in chiave poetica e chi in chiave più diretta. Personalmente non è stato facile; io ho rappresentato con Nemos quei personaggi che si rifacevano ai partigiani della Brigata Stella Rossa e a Mario Musolesi. Per me era importante rappresentare quell’aspetto. Ericailcane ha virato sui simboli dei partiti e via dicendo, perché bisogna affrontarli.
LINGUAGGI e RESIDENZE
Mi è capitato di riconoscere i tuoi muri in opere audiovisive, film e videoclip. Cosa pensi di questa interazione fra matrici diverse di linguaggio e contenuto?
É molto interessante. Mi diverte che la mia opera giochi con altri linguaggi e opere, oltre che con lo spazio pubblico – sempre che non si tratti di una pubblicità per la quale nessuno ti ha chiesto l’autorizzazione o non ti ha mai pagato (ride, ndr).
La residenza d’artista che hai trovato più stimolante?
Una delle esperienze più belle è stata a Cosenza, si chiamava Boxart – ora non la fanno più ed è un peccato. C’era un agglomerato di casette, una per ciascun artista: al piano di sotto c’erano l’atelier e lo studio, al piano di sopra si soggiornava. Eravamo una quindicina di ospiti. La componente conviviale non staccava mai del tutto, perché questi spazi erano letteralmente dei cubi con enormi finestre che si affacciavano sugli studi degli altri artisti; era bello vedere come lavoravano, contaminarsi, c’era un ambiente culturalmente molto interessante e vario tra scultori, pittori e fotografi, il che ha dato una bella spinta al progetto. Mi era piaciuta tanto come residenza. Con molti sono rimasto in contatto ed è bello che possano nascere delle collaborazioni.
CONSERVAZIONE-RESTAURO-STACCO
Come ti poni verso il restauro delle opere d’arte murale?
Ho restaurato un solo lavoro, sull’appennino toscano. Ha nevicato e ha scrostato la metà dell’opera dopo pochissimi mesi. Il muro era in pessime condizioni ma i committenti ci avevano speso dei soldi ed erano delusi, io mi sono dispiaciuto talmente che mi sono offerto di rifarlo. Quel muro non era ancora nato che era già morto. Di base non è una cosa che faccio; se un muro si rovina piuttosto faccio un’altra opera, restaurarlo secondo me non avrebbe tanto senso.
Ti opporresti se volessero chiamare qualcun altro a fare un intervento di conservazione?
Restaurare un mio muro? Mh… non mi piacerebbe tanto. Soprattutto se si trattasse dell’opera spontanea, del muro sperduto e di nessuno, sarei contrarissimo. D’altra parte, nel caso di una committenza, capisco che a livello finanziario c’è chi ci ha speso risorse, quindi vorrebbe che durasse in eterno, ma anche in quel caso non mi piacerebbe tanto. Si sa che il muro ha una vita; non è una tela, non ha un rivestimento di vetro che deve durare millenni. Trovo giusto che un muro come tale pian piano – non dico debba sparire – ma si scrosti, perda lucentezza, ci sta, ma è bello vederlo così e come invecchiamo noi invecchia anche lui.
Riguardo alla cancellazione delle opere, invece? Com’è accaduto per BLU: ha imbiancato 20 anni di propri murales disseminati per le strade di Bologna in segno di protesta contro la mostra organizzata da Fabio Roversi-Monaco (presidente di Fondazione Carisbo e di Genus Bononiae) che prevedeva lo stacco di opere dai muri della città – fatto vissuto da molti artisti come una forma di musealizzazione e mercificazione coatta.
C’ero anch’io quando ha cancellato il suo muro all’XM24. Figurati, io che cancellavo… ma lui voleva farlo e noi gli abbiamo dato una mano. BLU si era sentito violato. So che Roversi-Monaco ha chiesto a molti artisti l’autorizzazione per lo stacco, ma se l’artista non ti autorizza è giusto lasciare l’opera dov’è. Loro lo hanno fatto comunque e di riflesso BLU si è comportato come sappiamo. Ericailcane poi s’è comportato in un altro modo e ognuno fa come crede. Io sono d’accordo con quello che ha fatto BLU; anche se è pesante come cosa, ha dato un messaggio forte. Di recente a Torino in una mostra con altri lavori staccati era compreso il lavoro di Borondo – un’artista spagnolo che ha vissuto e lavorato molto in Italia. Quando ha saputo che c’era una sua opera non autorizzata in un museo e che si accedeva pagando un biglietto è entrato con due spray e l’ha cancellata.
A te non è mai capitato che chiedessero di poter strappare una tua opera dal suo bravo muro?
No, mai (lancia un’occhiata fendente, ndr).
Poi dovresti chiamare Blu per ricordargli che ti deve un favore.
IL SACRO GRAAL DEI MURI
Ho letto che l’obiettivo del tuo lavoro sarebbe: «Poter dipingere in svariati luoghi al mondo, perché è sempre interessante lasciare un segno dove ci sono situazioni lontane da ciò che conosci». In quale luogo vorresti dipingere ora?
É sempre bello dipingere in posti diversi. Nei miei viaggi personali in Messico, India e Thailandia ho sempre cercato di lasciare un paio di opere. Quelli sono sempre posti super interessanti nei quali dipingere perché c’è un’altra mentalità, sei dall’altro capo del mondo e vedi le reazioni delle persone alle tue opere. Con Kiki abbiamo dipinto a Varanasi; penseresti che in una città sacra nessuno voglia essere coinvolto, però poi ti presenti, spieghi che sei un muralista e molti ti aiutano a trovare il muro. Ci sono sempre dinamiche diverse.
Nell’approcciare un luogo piuttosto che un altro, oltre che mosso da esigenze pratiche, parti dalla gente che lo vive.
Sì. Chiaramente a volte vedo dei muri e mi dico che sarebbe bellissimo dipingerlo. Magari arrivo a farlo, ma sempre passando prima dalle persone. Soprattutto quando sei all’estero magari è proprio il proprietario a invitarti, non che non succeda anche qui in Italia.
Il muro che hai lasciato indietro? L’opera mai realizzata perché poteva appartenere solo a quel muro?
Noi abbiamo una specie di malattia. Se ora andassimo a fare una passeggiata, vedrei tantissimi muri e ti direi: “Qua ci vedrei questo, qua quest’altro”.
Abbiamo questa fissa.
Intervista e Ph @Studio Edera a cura di Tiziana Elena Fresi.