Ma cosa c’è di vero in queste narrazioni, spesso contaminate da uno sguardo esotizzante e sensazionalista? La Sardegna, insieme a Okinawa in Giappone, Icaria in Grecia, Nicoya in Costa Rica e Loma Linda negli Stati Uniti, è in effetti contemplata dagli studi sulle cosiddette zone blu: enclave “culturalmente e geograficamente isolate che hanno mantenuto nel tempo uno stile di vita sano e tradizionale”. È stata proprio un’analisi condotta in Sardegna dal demografo belga Michel Poulain e dal nutrizionista Gianni Pes a coniare il termine “zona blu”. I due ricercatori si son resi conto che alla base di questa eccezionalità vi è una fortunata combinazione di fattori ambientali, alimentari e genetici: menzionano un’economia di stampo agropastorale, una dieta di tipo mediterraneo e la presenza diffusa di un determinato marcatore genetico, l’M26, che si sarebbe mantenuto intatto nel tempo grazie all’isolamento geografico.
Tuttavia, non è possibile estendere la definizione di zona blu all’intera Sardegna. Sarebbe impreciso e semplicistico affermare che la Sardegna sia terra di centenari, come invece Alberto Angela, rincorrendo le narrazioni più diffuse, ha affermato durante la sua puntata. Poulain e Pes, di fatto, lo escludono. Le conclusioni a cui sono arrivati sono chiare: la distribuzione dei centenari non è omogenea, riguarda esclusivamente delle zone circoscritte in Ogliastra e Barbagia (lo stesso studio ha prediletto la comunità di Villagrande Strisaili). Le zone costiere, le pianure e i centri urbani, dove cambiano stile di vita e dieta, non registrano simili record, tantomeno un’aspettativa di vita oltre la media. A ben guardare, secondo i dati Istat del 2019 le regioni italiane con il più alto tasso di individui che arrivano ai cent’anni sono la Liguria e il Friuli Venezia Giulia: la Sardegna si posiziona al quattordicesimo posto.
C’è poi chi tenta, non senza controcritiche e polemiche, di debunkare le zone blu. Saul Newman, ricercatore all’Australian National University, in una pubblicazione in attesa di peer review, ha sollevato dei dubbi metodologici: assodata la presenza fattuale di centenari, a detta sua le ricerche sulle blue zones sarebbero viziate a monte per via della ristrettezza dei campioni analizzati e l’insufficienza di dati. In riferimento alla comunità di Okinawa, il ricercatore ha inoltre posto la questione della veridicità della documentazione anagrafica di riferimento, poiché a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento queste importanti testimonianze venivano scritte a mano e risulterebbero difficilmente verificabili. Anche la dottoressa Rebecca Kippen, ricercatrice alla Monash University di Melbourne, si muove in questa direzione: “quando si osserva un gruppo ristretto di persone anche pochissimi errori potrebbero compromettere il risultato finale”.
Claudia Palmas