Davide Catinari presenta “White Light”
Giovedì 26 maggio 2022 – ore 18.30 – Foyer del Teatro Massimo di Cagliari.
“White Light” (Camena Edizioni – 2022) è il romanzo d’esordio di Davide Catinari, cantante e frontman dei Dorian Gray e collaboratore di Linus, protagonista DOMANI (giovedì 26 maggio) alle 18.30 nel Foyer del Teatro Massimo di Cagliari in dialogo con Andrea Fulgheri per un nuovo appuntamento con I Giovedì Letterari del CeDAC Sardegna in collaborazione con la Libreria Edumondo nell’ambito di Legger_ezza 2022.Viaggio nella mente del protagonista, un ex musicista tossicomane che attraverso un programma di reinserimento sociale si ritrova da solo su un’isola deserta, a guardia di un faro: una condizione simile a una volontaria anche se temporanea prigionia, una profonda solitudine popolata di fantasmi, nell’arduo tentativo di tenere a bada i demoni e impedirsi di precipitare negli abissi della propria anima. La scoperta di uno strano diario spinge l’uomo a indagare sul suo predecessore, un bibliotecario, misteriosamente scomparso, in una narrazione avvincente tra crudo realismo e poesia, tra echi del passato che affiorano dalle pagine e «la fascinazione per i bagni di luce bianca che scandiscono le notti sull’isola».
Il fascino della “luce bianca” che scandisce il tempo sull’isola, temporaneo approdo in una vita travagliata, per “White Light” – tema e titolo del romanzo d’esordio di Davide Catinari, artista poliedrico, musicista e scrittore, fondatore e frontman dei Dorian Gray e collaboratore di Linus, pubblicato da Camena Edizioni (2022): la parola all’autore DOMANI (giovedì 26 maggio) alle 18.30 nel Foyer del Teatro Massimo di Cagliari in una conversazione con Andrea Fulgheri (scrittore ed editore, docente all’Accademia d’Arte di Cagliari) per un nuovo appuntamento con “I Giovedì Letterari” organizzati dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna in collaborazione con la Libreria Edumondo sotto le insegne di Legger_ezza 2022 / Promozione della Lettura.
La voce narrante è quella del protagonista, un musicista dedito agli stupefacenti, inserito in un programma di riabilitazione e recupero sociale, che riceve una singolare proposta di lavoro, commisurata alle sue inclinazioni e debolezze, un’opportunità di sfidare le tentazioni e i fantasmi del passato, trasferendosi nella (im)perfetta solitudine di una terra circondata dal mare, come guardiano del faro. Un’esistenza segnata dall’abuso di droghe e alcool, un matrimonio fallito alle spalle, dopo aver gettato via soldi e amicizie, in cui si apre uno spiraglio di paradossale libertà proprio in una condizione stranamente somigliante alla prigionia, con un alloggio spartano, rigide regole d’ingaggio e tanti divieti, in primis quello di utilizzare computer e altri strumenti informatici e di avere contatti con il mondo esterno, salvo che per le comunicazioni di routine, con l’unico compito di sorvegliare le preziose apparecchiature e tanto tempo per pensare. Un incarico stravagante ma non troppo per chi ha affrontato situazioni estreme e ben altre forme di allucinazione, ma anche un’offerta non ricusabile, pena la perdita del sussidio, oltre a tutti i rischi di una probabile ricaduta: «la fantasia alimenta l’arsura dei demoni», specialmente nella monotonia del quotidiano, quando quel facile oblio è a portata di mano. La fuga da una realtà ormai quasi insostenibile può essere la soluzione, un modo per mettersi alla prova e misurare la propria temperanza, insomma un passo verso l’ignoto, confidando in un equilibrio interiore alquanto precario, trasformandosi – per un breve periodo – nell’unico abitante di uno scoglio battuto dai flutti, custode di quella preziosa e salvifica “luce bianca”.
Un’esperienza interessante, forse, per chiunque, qui rappresenta l’extrema ratio per un uomo che ha ormai superato i limiti e tagliato i legami con il passato, impegnato a rimettere insieme i pezzi, ma che suo malgrado varca i confini di un altro universo, prendendo in consegna i ricordi di uno sconosciuto: “White Light” è il racconto di un incontro, quasi un dialogo a distanza tra il protagonista e il suo predecessore, un ex bibliotecario, che ha lasciato sull’isola i suoi “Diari dalle periferie dell’infinito”. L’opera prima del cantante e scrittore cagliaritano è un romanzo avvincente, che porta il lettore ad immedesimarsi con il musicista, o meglio «ex musicista ex tossicomane» (quindi appartenente ad un ambiente che l’autore conosce “dall’interno”, con tutte le sue contraddizioni e i meccanismi feroci dello show business, tra sogni e ideali, successi e disincanto), per affrontare con lui il suo viaggio interiore alla ricerca di se stesso, sulle tracce di quel guardiano del faro misteriosamente scomparso.
«La realtà è che non esiste la realtà. La realtà è che non esistono altre porte, ma quelle da aprire sono infinite. La realtà non è che quello che vedete, è solo l’inizio di un’altra illusione, ma forse non ve ne siete accorti»: nell’esiguo lascito fatto di documenti, stampati e fotografie, queste parole suonano come un invito al notturno esploratore, un uomo che non sa resistere alle confessioni, tanto più se «leggere quelle altrui può alleggerire le proprie, evitando di scavare nuove ferite».
Un eroe al contrario, che per essere stato troppo (o troppo poco) indulgente con se stesso sconta a caro prezzo le proprie debolezze, e non ha più quasi nulla da perdere, può essere il destinatario ideale dei segreti custoditi in quella cartella, chissà perché dimenticata nell’accurata cancellazione di ogni segno della presenza del bibliotecario, prima dell’arrivo del nuovo guardiano. Una trascuratezza che potrebbe celare un tentativo di verificare l’affidabilità dell’uomo, comunque tale da suscitarne la curiosità, tanto che quasi a voler placare le proprie inquietudini, finisce con l’immergersi nei ricordi di un’altra vita.
Sul filo e sul ritmo dei pensieri, tra divagazioni e libere associazioni, “White Light” si tinge di suspense, per condurre i lettori oltre la soglia di quelle “periferie dell’infinito” in cui si inoltra, riga dopo riga, il protagonista, proiettandosi idealmente nelle atmosfere evocate da un ritratto, visitando città remote, pur senza muoversi da quell’isola di cui inizia già a subire la malìa. «Questo luogo trattiene la percezione del tempo, intrappolandola in un fascio di luce che ne scandisce il ritmo, conservando il battito di un cuore invisibile, antico. Una pulsazione costante, un vertice che si sposta di continuo, troppo veloce per essere inseguito, altrettanto per essere fermato. Un crescendo di accenti che si moltiplicano, annullandosi in una marea bianca che tende all’infinito. La realtà è l’ultimo dei pensieri, un ospite indesiderato nella visione della purezza».
“White Light” alterna il crudo realismo con il sottofondo amaro di una vita devastata a momenti di puro lirismo, in un sapiente gioco di chiaroscuri, tra simboli arcani e riflessioni filosofiche sul significato dell’esistenza, in cui l’isola diventa anche metafora di quel silenzio e quella distanza necessari per compiere un cammino interiore, sfuggendo al flusso degli eventi. Senza dimenticare che – come sottolinea il protagonista – così anelata, o temuta, «La solitudine è l’acceleratore malinconico del desiderio, ti spinge a considerare ogni cosa sotto una prospettiva diversa».