Riportiamo un estratto delle dichiarazioni rilasciate dai geologi Gaetano Sammartino ed Egidio Grasso e dal vulcanologo Giuseppe Rolandi, a margine della conferenza “Dissesto idrogeologico e incendi boschivi. Storia e attualità della prevenzione” svoltasi a Napoli al Palazzo delle Arti
Gaetano Sammartino (Presidente SIGEA Campania, Società Italiana di Geologia Ambientale sezione Campania) : “In 10 anni sono andati in fumo – in Italia – 500.000 ettari di boschi, di cui 160.000 nella sola estate del 2021.Gli incendi distruggono ettari ed ettari di aree boscate che hanno il loro equilibrio: il bosco – con gli alberi, le piante e la vegetazione che lo compongono – rappresenta un equilibrio idrogeologico. Nel momento in cui andiamo a perturbare questo equilibrio, si possono creare movimenti franosi poichè viene a mancare lo strato superficiale che mantiene il terreno.
Le aree boscate spesso possono anche nascondere aree in frana quiescenti che possono essere riattivate dagli incendi.
Chi incendia, non solo arreca un danno ambientale che causa la perdita della vegetazione ma, attenta anche alla vita umana.
Quanto è accaduto sullo Stromboli è davvero grave: l’incendio sviluppatosi per cause ancora in corso di accertamento, oltre a mandare in fumo centinaia di ettari di patrimonio boschivo di rara bellezza, rischia di predisporre il territorio – già a rischio vulcanico (Stromboli è uno dei principali vulcani attivi del territorio nazionale) – a innescare rapidi e potenti flussi fangoso detritici che possono arrecare ingenti danni al territorio comprese le infrastrutture dell’isola.
Purtroppo, sempre più spesso assistiamo alle modificazioni fisiche provocate dagli incendi boschivi: rappresentano serie premesse per l’incremento del rischio per l’ambiente e per le attività antropiche, anche dopo lo spegnimento degli incendi.
Il comportamento dei versanti cambia drasticamente quando la copertura vegetale viene devastata dagli incendi: questi ultimi generano uno strato di cenere finissima che rende momentaneamente impermeabile la superficie del suolo. Dopo un incendio si ha la riduzione delle infiltrazioni e il conseguente aumento delle acque ruscellanti che determinano condizioni di pericolosità”.
Egidio Grasso (Presidente dell’Ordine dei Geologi della Campania): “Il vero problema si presenta dopo l’incendio, soprattutto in occasione delle prime piogge. Gli incendi cambiano completamente i paesaggi: eliminano il sottobosco e modificano le caratteristiche tipiche del terreno, determinando una forte azione erosiva a monte e un forte accumulo di terreni detritici a valle.
Subito dopo l’incendio bisognerebbe intervenire immediatamente con la perimetrazione dell’aree colpite e con la verifiche delle aree a rischio idrogeologico – anche nell’intorno – e con l’ispezione dei corsi d’acqua”.
Durante il convegno è intervenuto anche Giuseppe Rolandi (vulcanologo, ordinario dell’Università Federico II di Napoli): egli ha presentato uno studio sul devastante incendio che nel 2017 colpì il Parco Nazionale del Vesuvio.
“Quello del 2017 è stato un incendio che potremmo definire a “quattro mani”. Nello studio ho creato un parallelismo tra quell’incendio e un’eruzione vulcanica. Abbiamo notato che c’è stato un analogo comportamento delle colonne di fumo con quelle eruttive.
Si devono potenziare le stazioni di rilevamento dei venti. Ne abbiamo trovate solo una a Marigliano ed un’altra a Terzigno.
L’incendio ha preso corpo a Torre del Greco, a Ercolano e a Ottaviano: è come se qualcuno avesse deciso di coinvolgere tutto l’apparato vulcanico.
I fumi partiti da questi quattro punti si sono unificati in una colonna simile all’eruzione del 1944. Si è trattato di un incendio di chioma che ha interessato gli alberi fino alla parte alta. Nella colonna di fumo vi erano particolati visibili e poco percettibili che abbiamo respirato”.