Nursing Up De Palma: «Infermieri italiani sempre più vecchi. Sale l’età media dei nostri professionisti. Senza un fisiologico ricambio generazionale, rischio di gravi conseguenze per l’assistenza ai cittadini e per lo stesso SSN»
Nursing Up: «Non bastavano gli spropositati carichi di lavoro e il conseguente stress fisico e psicologico accumulati, da ultimo, durante l’improba battaglia contro la SARS Cov 2.
Eppure, la pandemia non ha fatto altro che mettere a nudo criticità e falle che covavano sotto la cenere e attendevano solo di esplodere come un vulcano dormiente ma attivissimo.
I professionisti italiani della sanità, le nostre eccellenze, i nostri infermieri, ricercatissimi non a caso in altri Paesi d’Europa, si trovano, in casa propria, più che mai eternamente a disagio, costretti “nelle anguste strettoie” di un sistema che si regge a malapena, lontani da quella valorizzazione che rappresenta l’unica via d’uscita per ricostruire un sistema claudicante, alle prese con la voragine della carenza di personale, della scarsa sicurezza sui luoghi di lavoro, degli stipendi tutt’altro che dignitosi e addirittura ferie accumulate finite nel dimenticatoio e centinaia di ore di straordinario imposte, ma non pagate.
A tutto questo si uniscono adesso i dati allarmanti sull’età media di “una popolazione infermieristica” che almeno in Italia tende pericolosamente all’invecchiamento».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
Nursing Up: Antonio De Palma
«I recenti dati, emersi durante la Giornata Internazionale degli Infermieri, attraverso l’autorevole indagine dell’Osservatorio Oasi del Cergas Bocconi, mettono in evidenza un’amarissima realtà che merita prima di tutto doverose riflessioni, e naturalmente in secondo luogo ci obbliga tutti, nessuno escluso, a pensare a quali soluzioni adottare.
L’età media dei nostri infermieri si sta pericolosamente innalzando. I nostri operatori invecchiano. L’età media degli iscritti agli Ordini è 52,2 anni (era 45,6 nel 2019), quella dei dipendenti del Servizio sanitario nazionale 56,49.
Le Regioni che hanno il maggior numero di infermieri al di sopra dei 58 anni sono: Lombardia, Sicilia, Lazio, Campania e Emilia Romagna.
Cosa c’è dietro tutto questo? Che fine ha fatto l’indispensabile ricambio generazionale di cui abbiamo bisogno come il pane? Non stiamo forse correndo il rischio concreto di rendere sempre meno appetibile questa nobilissima professione, agli occhi di chi, dopo le scuole superiori, deve scegliere di intraprendere un percorso comunque duro e impegnativo?
Cosa viene presentato agli occhi dei potenziali nuovi infermieri, oltre ai turni massacranti, alle ferie mancate, agli stipendi tra i più bassi d’Europa e addirittura ai pugni presi in corsia dai parenti dei pazienti?
Insomma, è di tutta evidenza che la situazione in cui ci troviamo è oltremodo delicata, richiede piani strategici mirati finalizzati a ridare dignità a una professione dalla cui valorizzazione dipende il futuro sanitario della collettività.
Cosa c’è di più importante, in un Paese civile, se non la qualità delle prestazioni sanitarie, pensando in primis ai malati cronici, agli anziani ed ai soggetti fragili?
Dobbiamo doverosamente chiederci cosa si potrebbe fare per elevare potenzialmente il numero dei futuri infermieri, a cominciare dai corsi di laurea, atti a fornire un indispensabile ricambio generazionale, ma senza dimenticare che, oltre alla preoccupante carenza strutturale di 80mila operatori sanitari che la pandemia ci ha lasciato davanti, esiste un nuovo fabbisogno di professionisti, legato al nuovo piano del PNRR Missione 6, collegato al rilancio della sanità territoriale, che si traduce in un ulteriore fabbisogno di personale qualificato. Parliamo di un numero che oscilla tra le 35 e le 50mila unità.
Dove reperire le nuove leve, se non provando a implementare il numero di laureati, anche sospendendo temporaneamente il numero chiuso, e ripartendo da un massiccio e coraggioso piano di assunzioni “a tempo indeterminato” , corroborato da doverose opportunità di carriera?
Certo è che i dati di Uneba Veneto parlano chiaro: negli ultimi due anni, le università italiane hanno stoppato 18.798 domande d’iscrizione per assenza di posti disponibili. Un gran peccato.
Si pensi che negli ultimi anni i posti disponibili per frequentare i corsi di laurea per infermieri sono stati 309.962 a fronte di un fabbisogno stimato dalle categorie di 410.075, e di altri 378.000 per il turnover. Di questo passo chi assisterà i pazienti negli ospedali, chi darà mani e gambe agli ambiziosi progetti finalizzati a costruire una degna sanità territoriale?
Soltanto negli ultimi due anni, su 43.671 domande di iscrizione agli specifici corsi di laurea ne sono state respinte 18.798, poiché in eccesso rispetto al numero di posti disponibili per il primo anno. Quindi la stessa Uneba riporta che per l’anno 2021/2022 ci sono state 17.394 iscrizioni su 27.658 domande presentate – 10.264 non accettate, ovvero il 37% – mentre nel 2020/2021 erano stati ammessi 16.013 studenti su 24.547 domande, con uno scarto negativo di 8.534 (35%). Numeri inconfutabili su quanto sta accadendo nel nostro sistema sanitario.
Insomma, la strada maestra, quella che la politica si ostina a non vedere, resta la valorizzazione della professione e il netto miglioramento delle condizioni economico-contrattuali. Solo questo importante passo avanti potrà ridare alla nostra categoria l’appeal che merita agli occhi della collettività, allontanando il pericoloso rischio di una disaffezione che porta a dimissioni volontarie e fughe all’estero, piaghe gravi, da contrastare fortemente», chiosa De Palma preoccupato.