ROMA 7 MAGGIO 2022 – Sul rinnovo contrattuale per gli infermieri si è espresso Antonio De Palma, Presidente del Nursing Up: «Le Regioni ed il Governo devono uscire dall’empasse creatasi, e mettere a disposizione le risorse aggiuntive previste dalla legge di bilancio sbloccando, finalmente, l’atteso atto di indirizzo rivolgendo un’attenzione particolare alla valorizzazione del personale infermieristico e delle altre professioni sanitarie». Così
«Mentre il Contratto delle Funzioni Centrali è già stato sottoscritto da ARAN e Sindacati, quello della sanità procede a rilento, a causa dall’inerzia di Governo e Regioni. E’ necessario che la politica si svegli, e che mostri attenzione e rispetto verso i lavoratori della sanità!».
Fatta questa necessaria premessa, tra le tante questioni che la delegazione del Nursing Up ha sottoposto al tavolo negoziale, c’è la problematica del lavoro straordinario effettuato dai dipendenti, attività che troppe aziende sanitarie impongono, ma che non fanno recuperare e che nemmeno pagano .
Abbiamo contezza di colleghi infermieri, racconta De Palma, soprattutto nelle regioni del nord, ma il fenomeno si presenta anche in altre realtà, dove colleghi infermieri denunciano di avere arretrati che raggiungono anche i 110 giorni di ferie, che non hanno potuto utilizzare a causa delle gravi carenze di personale. Troppo spesso gli stessi colleghi “vantano” anche crediti di centinaia di ore di straordinario, che tuttavia non vengono pagate.
Insomma, quello che accade, è che, pur avendone fatto richiesta, gli infermieri e le infermiere dei quali si parla , non riescono a usufruire (le aziende li negano per ragioni di servizio) dei riposi compensativi nei 4 mesi indicati dal contratto, addirittura, a volte neppure nei periodi successivi, visto che proprio il contratto prevede che tali riposi possano essere utilizzati entro il termine massimo di 4 mesi.
E poi ci sono quei colleghi che non hanno richiesto di usufruire dei riposi compensativi nei 4 mesi previsti (è una loro facoltà) e che non hanno nemmeno richiesto di aderire alla banca delle ore (pure questa è una loro facoltà). A questi colleghi andrebbe retribuito il lavoro che l’azienda ha chiesto loro di prestare, ma nella maggior parte dei casi le aziende si voltano dall’altra parte . Sono troppi quegli enti che , invece di pagare le ore lavorate, lasciano che le stesse si accumulino nel tempo, senza retribuirle, parliamo di migliaia e migliaia di ore di straordinario messe in stand by.
E poi ci sono altri enti, che pagano di tanto in tanto, ma solo sparute unità di personale, omettendo di retribuire tutti gli aventi diritto.
Queste problematiche si presentano, sia a causa della laconicità del contratto nazionale, che regolamenta i doveri ma dimentica di richiamare il principale diritto, e cioè la retribuzione dello straordinario, che di un’interpretazione “strumentale” delle norme da parte di certe aziende sanitarie , ma anche tramite l’imposizione di prassi, che si dimostrano lesive dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
Come Nursing Up abbiamo denunciato con forza, al tavolo contrattuale, questi problemi, chiedendo che finalmente venga scritto nero su bianco quel principio sacrosanto, che sembra scontato ma che invece va richiamato, e cioè “che lo straordinario che l’Ente chiede di effettuare, e che il dipendente non può recuperare, per impossibilità dovuta a cause di servizio o per propria scelta, deve essere retribuito.
Insomma, le regioni non possono pensare di mandare avanti la sanità in questo modo, a dispetto delle gravi carenze di personale!
Le aziende sanitarie non possono spremere come limoni gli infermieri, salvo poi lamentarsi quando questi, vessati e frustrati dal pessimo trattamento loro riservato, decidono di dimettersi per andare a lavorare in privato, oppure negli altri paesi della Ue.
Nei giorni scorsi, in uno dei nostri tanti comunicati-inchiesta, abbiamo riportato i dati allarmanti delle dimissioni volontarie di centinaia di infermieri dipendenti delle asl dei comuni lombardi, cosiddetti di confine, che fuggono letteralmente verso il Ticino, attirati da stipendi certamente più dignitosi e da condizioni lavorative diametralmente opposte alle nostre.
Alla luce di quanto denunciato in merito a straordinari non pagati e riposi compensativi finiti tristemente nel dimenticatoio, nonché ai casi di centinaia di giorni di ferie arretrate, qualcuno osa ancora chiedersi come mai i nostri operatori sanitari decidono di lasciare il nostro SSN per lavorare all’estero?
Si signori, sono anche queste le problematiche che un buon contratto deve affrontare, e che possono sfociare in quel un clima di pericolosa disaffezione, che porta, appunto, alle ormai note fughe verso altri Paesi, oppure, ancor peggio, a dimissioni volontarie degli infermieri con drastiche decisioni di cambiamenti di vita.
E non si dimentichi come, agli occhi di quei giovani che dovranno rappresentare l’indispensabile ricambio generazionale, la nostra nobile professione, che comporta un complesso e duro percorso di studi, perde inevitabilmente di appeal, con tutte le conseguenze negative che ne conseguono, per un sistema sanitario che, invece, ha sempre più bisogno dei professionisti infermieri, delle loro conoscenze e competenze, alla luce delle rinnovate e sempre più complesse esigenze della collettività.
Il Nursing Up, inoltre, nel corso della seduta odierna, di fronte alla proposta ipotizzata, di possibile passaggio di alcune qualifiche di personale di attuale categoria B/BS verso dell’area degli assistenti (attuale categoria C), invece di quella degli operatori oggi prevista in bozza, ha sottolineato, fermo che non c’è nessuna preclusione di principio verso la valorizzazione di qualsiasi tipologia di qualifica professionale, che queste ipotesi non possono realizzarsi a svantaggio degli altri, dal momento che una eventuale “migrazione automatica” di tal genere comporterebbe prima di tutto un notevole impegno di spesa, che ovviamente non può e non deve ricadere, in termini di minore disponibilità di risorse, sul personale dell’area delle professioni sanitarie.
Nursing Up ha poi sottolineato e ribadito l’esigenza di implementare un solido meccanismo di compensazione (progressioni, differenziali aggiuntivi etc) per il personale dell’area dei professionisti sanitari, in modo da non creare sperequazioni rispetto al restante personale.