Si è chiusa (ieri notte, domenica 19 giugno, ad Aggius) la prima edizione del Festival Etnosfera: ha portato in giro – per i luoghi più significativi del paese – musica, incontri, letture, esposizioni, linguaggi e popoli. Bilancio molto positivo in termini di partecipazione di pubblico
Le giornate del Festival Etnosfera sono state legate tra loro dal filo rosso delle lingue minoritarie. Tantissimi gli ospiti di caratura internazionale che hanno regalato il loro linguaggio artistico, la loro esperienza e la propria lingua, in un confronto costante e arricchente tra gli artisti-ospiti e il pubblico.Etnosfera è inoltre stato un festival dentro altri festival, come dimostrato dal Premio Andrea Parodi, dal Babel Film Festival e dalla lettura dei racconti dal Premio Aggiju di conti gadduresi e cossi (occasione che ha consentito ad Andrea Muzzeddu, presidente del Premio, di parlare dell’importanza della lingua di appartenenza e di nascita).
Una radice, un legame vitale dell’uomo alla propria terra, ai luoghi, alla famiglia, che è necessario tramandare e conservare. Oltre all’italiano, ha ribadito Muzzeddu, tutte le lingue minoritarie devono essere trattate con il rispetto e la dignità che meritano. Da qui l’importanza e il senso di proseguire con questo genere di premi letterari e di trasferire le competenze ai giovani perché vi sia un ricambio generazionale, e la lingua non vada persa.
Gli interventi serali sono stati tutti incentrati sulla musica per il cinema e il cinema.
I 100 anni del cinema in Gallura
L’ultima giornata del Festival Etnosfera è stata dedicata a due importanti produzioni filmiche che, a distanza di un secolo l’una dall’altra, celebrano le bellezze della Gallura.
Il 1922 è l’anno in cui Gennaro Righelli gira Cainà, film muto nel quale, tra verismo ed esotismo, si narra la vicenda di una giovane caprara che sogna di attraversare il mare. Il film si riteneva fosse andato perduto, fino a quando una copia della pellicola venne ritrovata a Praga e restaurata dalla Cineteca Sarda in collaborazione con la Cineteca del Friuli.
A partire dal 1995, il film restaurato è stato proiettato in diverse parti d’Europa con le musiche dal vivo composte da Mauro Palmas. Quest’anno, per celebrare il centenario, Palmas ha riscritto la colonna sonora nella quale sonorità mediterranee dialogano con i ritmi e le melodie della tradizione sarda.
Ieri, alle 21.00, nella piazza del Rosario, Ottavio Nieddu ha dialogato sul rapporto tra luoghi, musiche e immagini con Antonello Zanda, direttore della Cineteca Sarda e ideatore di Babel Film Festival, il primo concorso internazionale destinato esclusivamente alle produzioni cinematografiche che guardano e raccontano le minoranze, in particolare linguistiche.
Il 2022 è stato l’anno in cui è approdato nelle sale Il muto di Gallura, film di Matteo Fresi prodotto da Fandango e Rai Cinema e ispirato all’omonimo romanzo di Enrico Costa (1884). Nonostante l’ambientazione storica, il regista sceglie di affidare la colonna sonora a Paolo Baldini, bassista e produttore della scena reggae dub apprezzato in tutta Europa. Baldini realizza una colonna sonora ricca di pathos e suggestioni elettroniche affidando le parti vocali al sassarese Alfredo ‘Forelock’ Puglia, arricchite dalle launeddas di Matteo Muscas.
A seguire il concerto Cainà, la figlia dell’isola, del trio composto da Mauro Palmas (liuto cantabile, mandola, mandoloncello), Alessandro Foresti (pianoforte) e Marco Argiolas (clarinetto e sax).
I tre, ieri sera, al Parco Capitza di Aggius, hanno raccontato come nascono le musiche per il cinema: il lavoro dietro le immagini musicate di un lungometraggio. “Il film viene comandato dalle immagini e la musica deve spingere in quella direzione. Il musicista lavora sul girato – hanno spiegato i musicisti – e quindi non può rigirarla. Il cinema, il film, è un’opera collettiva, con molte competenze diverse che devono convergere.
Per Il Muto di Gallura abbiamo cercato subito di chiudere con elementi molto minimali. Da qui abbiamo costruito tutta la struttura. La musica etnica ha un potenziale per la musica moderna. Espressa da un popolo per il consumo della rete sociale. Nel film c’erano già i suoni del territorio. I graniti, le querce, l’acqua e non tirarli fuori sarebbe stata una vera e propria omissione.
Il film è una storia che fa riferimento a fatti accaduti, e dentro i limiti del territorio citato. Le launeddas sono state una scelta doverosa per proporre una musica aderente a ciò che in quel momento storico si consumava in Gallura e in Sardegna”.