Si è conclusa ieri sera, con la presenza di Wes Anderson in Piazza Maggiore, questa XXXVI^ edizione del Cinema Ritrovato – festival irrinunciabile e inno alla storia del cinema, occasione unica per assistere alle proiezioni di grandi classici restaurati dalla Cineteca di Bologna.
Ospite di spicco del Festival è stato John Landis (regista, tra gli altri, di Un lupo mannaro americano a Londra, Il principe cerca moglie, Animal House) che ha presentato il suo cult The Blues Brothers (per concessione di Park Circus, restaurato in 4K nel 2020 da Universal). Nei giorni scorsi Landis ha presenziato a numerosi eventi in città e ha tenuto una Masterclass presso l’Arena del Sole. Il teatro si è fatto luogo d’incontro tra vecchi amici con una passione comune, merito degli aneddoti cinefili raccontati in puro stile Landis.“Nel cinema di Landis scorre il vento degli anni della sua giovinezza; quei ’60 che volevano ribaltare il Mondo. Il Cinema di Landis è teso a rovesciare i meccanismi dell’industria culturale attraverso una comicità corrosiva e demenziale che incrina con insolenza la facciata conformista della società. Scorrendo la facciata dei suoi film si scopre che Landis ha sempre adorato gli ultimi; in essi si riconosce e attraverso di loro racconta il suo punto di vista mettendosi dalla parte del diverso, dell’emarginato, che si trova a disagio in un contesto armonico e ben ordinato e che quindi lo mette a soqquadro. Grazie John, senza i tuoi eroi scombinati ci saremmo sentiti molto molto molto più soli” – lo presenta così Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna.
L’influenza dell’animatore Ray Harryhausen
Dopo la disapprovazione in formato gag verso il divano troppo minuto e scomodo, la prima domanda di Farinelli: “Peter Von Bagh sosteneva che il primo film che abbiamo visto entra nel nostro DNA e influenza tutta la nostra vita. Qual è il tuo?”
“C’è per tutti un film dove si è stati trasportati dentro lo schermo in cui avete creduto veramente – riflette Landis, che prosegue – nel mio caso era il ’58, avevo 8 anni, a West Boulevard (Los Angeles) era Il settimo viaggio di Sinbad, di Ray Harryhausen – forse l’unico animatore di stop motion ad essere realmente l’autore del film, anche più del regista perché i suoi disegni erano copiati dall’art director, erano le sue idee a venire trasposte sulle sequenze. Per intenderci, George Lucas disse che molto di Guerre Stellari si doveva alla sua influenza. Quando vidi quel film e tornai a casa chiesi a mia madre: chi fa i film? E lei, che non sapeva assolutamente nulla di cinema, riuscì comunque a rispondermi: il regista. Così ho avuto un vantaggio; all’età di 8 anni sapevo già che sarei voluto diventare regista e da quel momento feci tutto il possibile per stare nel giro, finché a un’età decente – sedici anni – mollai la scuola, perché mi dicevo: cosa cavolo ci faccio qui, io voglio diventare regista! Così sono diventato il ragazzo delle lettere per la 20th Century Fox.
Ray ha fatto anche dei film scarsi, a basso budget, ma il film per adulti che ho amato di più è Giasone e gli Argonauti. La cosa più interessante era che ritraeva gli Dei dell’Olimpo come dei completi idioti o dediti alla gelosia, cattivi, vendicativi e rispetto al Dio cristiano che si tende a pregare quando la propria nave sta per affondare o l’aereo sta per cadere – dove io pensavo: cosa preghi a fare quello che sta affondando la tua nave? – per me quegli Dei erano per molto più sensati, perché erano dipinti come persone comuni.
Alla festa che organizzammo a Londra per i suoi 90 anni c’erano persone come Steven Spielberg, Guillermo Del Toro, Terry Gilliam, James Cameron, Tim Burton, Peter Jackson volò addirittura dalla Nuova Zelanda”.
La passione di Giovanna d’Arco, di Carl Dreyer, fu invece il film di svolta per Farinelli. Landis incita a recuperare il capolavoro muto del 1928 e spiega che Renée Falconetti, la protagonista, offrì una performance spettacolare: “Nonostante il film fosse un muto, i primi piani erano incredibili, ci sono quasi due minuti di primo piano mentre lei arde sul rogo, non si vede mai il corpo bruciare eppure lo si percepisce, si sente nella sua recitazione il suo diventare santa”.
Alfred Hitchcock
A proposito del Maestro della suspense ricorda: “Pranzavo con lui agli Universal Studios. Aveva il suo piccolo bungalow con la propria caricatura sulla porta, la silhouette che aveva disegnato lui. Era già molto anziano e veniva accompagnato regolarmente a lavorare a un film che tutti sapevano non sarebbe riuscito a girare, perché si pensava che se non avesse lavorato a un nuovo film sarebbe morto prima del tempo. Viveva per il suo lavoro”.
Kelly’s Heroes, la prima esperienza tra i mostri sacri e i paradossi della Cortina di Ferro
Giovanissimo, gli fu offerto di partecipare a un film della MGM, ma doveva pagarsi il volo e affrontare un viaggio dell’assurdo. 800 dollari in tasca guadagnati come postino alla Fox, un volo fino a Londra, poi autostop di fortuna e infine, racconta Landis, “Sono arrivato sotto la Cortina di Ferro, attaccato sotto a un treno…degli svedesi hippie mi dissero che tutti facevano così, ma senza passaporto timbrato rischiai di essere arrestato. Arrivato in Jugoslavia, passando per l’Europa dove dopo la guerra tutto era di nuovo bello e ricostruito con i soldi del Piano Marshall, sembrava di esser passati da un mondo a colori a uno in bianco e nero; in Jugoslavia tutto era scuro e distrutto.
Trascorsi lì 9 mesi di puro piacere del fare cinema perché sul set non avevo la minima responsabilità. Kelly’s Heroes, con Clint Eastwood, Donald Shuterland, era un film fuori controllo, con maestranze di ogni parte d’Europa e si odiavano tutti ma tutti amavano me perché ero un ragazzino, quindi diventai essenziale per il regista”
“Mi piacerebbe fare un film su quell’esperienza; era il ’69 e io ero lì in Jugoslavia, l’unico canale tv ti mostrava Tito o delle musiche militari e dall’altra parte della Cortina di Ferro invece c’erano l’uomo sulla Luna, Woodstock, Kennedy, gli omicidi di Manson. Tanti amici conosciuti su quel set sono rimasti tali negli anni; gran parte della crew di Un lupo mannaro americano a Londra viene da quell’esperienza. Clint Eastwood, quando negli anni a seguire mi ha incontrato ad eventi come gli Oscar, mi ha sempre chiesto di portargli un sandwich, perché a Belgrado era esattamente questo che facevo”.
Gli anni dello Spaghetti Boom
“In seguito – prosegue Landis – mi spostai in Spagna, dove c’era il cosiddetto spaghetti boom. Ad Almeria, Franco così come altri fascisti, come anche Tito e Mussolini, aveva capito che accogliere produzioni cinematografiche alle quali far spendere tanti soldi e che poi sarebbero semplicemente andate via era un affare vantaggioso. Sono stato quasi due anni in Spagna, ho imparato a cadere bene da cavallo e mi hanno sparato innumerevoli volte… Due anni fa Franco Nero mi si è avvicinato in un ristorante e mi ha detto: credevo di averti ammazzato!
Luci e ombre di John Belushi
“In Animal House volevo da lui una performance in stile Cookie Monster; Bluto, il personaggio interpretato da Belushi, ha grossi appetiti e proprio come i personaggi di Sesame Street è estremamente distruttivo in questo, ma è anche molto dolce. John aveva un viso incredibile, era in grado di esprimere qualunque cosa semplicemente muovendo un sopracciglio.
Ci abbiamo messo 34 giorni a girare il film e contemporaneamente lavorava al Saturday Night Live; prendeva un sacco di aerei e faceva un sacco di ore di macchina per riuscire a far tutto… Era esausto e dopo due anni divenne dipendente dalla cocaina e dall’alcol. In un paio di occasioni, mentre giravamo The Blues Brothers abbiamo pensato che fosse morto. Chiedevamo all’hotel di buttar giù la porta della sua stanza e una volta lo feci addirittura io stesso per portarlo in Pronto Soccorso, poi il giorno dopo era di nuovo sul set.
Non so quanti di voi sappiano cosa significhi avere amici che soffrono di dipendenze, ma è davvero impossibile aiutare un tossico, nessuno può tirarlo fuori se non se stesso. Io amavo profondamente John e sono ancora fottutamente furioso nei suoi confronti perché era il mio migliore amico. Per scherzo dicevamo di lui ‘intelligente come un trattore, forte come un toro!'” – John Landis sorride forte, ma è visibilmente emozionato nel ricordarlo.
Spettatori da metropolitana e grande schermo
Chi finanzia i film vuole fare soldi, è molto difficile. Anche noi registi siamo schizofrenici perché non sappiamo a volte se fare buoni film o film validi per il botteghino. Solo il tempo ti dice se il film è buono. I critici sono stati spesso cattivi con me. Ricordo una critica di Animal House che vantava cast, effetti speciali eccetera, ma la giornalista disse ‘peccato per sceneggiatura e regia’… e John Belushi mi chiamò e mi disse: per avere una critica così pessima te la sei fottuta? Aldilà di questo, il successo di un film dipende da tanti fattori: dove, quando, con chi hai visto quel film.
Andai a vedere La Cosa di John Carpenter, lo ritenni incredibile e fui l’unico ad applaudire, mentre il resto del pubblico gridò Buuu! Ottenne critiche pessime perché uscì subito dopo E.T. di Spielberg e alla gente non piaceva l’idea di un mostriciattolo cattivo, ormai volevano quello buono. Invece tanti anni più tardi, col tempo, La Cosa ha dimostrato di essere un grande successo. I film sono soggettivi, ma ciò che conta è vedere i film al cinema perché l’esperienza condivisa intensifica tutte le emozioni, è esattamente ciò che accade tra lo sciamano e le scimmie che lo ascoltano incantate.
Ricordo che una volta in metropolitana a New York c’era un tizio tutto intento a guardare un film sullo smartphone, allora gli ho chiesto cosa fosse e quello mi fa soddisfatto: Laurence d’Arabia! Ma io dico: lo hanno girato nel deserto, con quei campi lunghissimi e quelle enormi distanze che si erano appositamente presi la briga di coprire per far sembrare i cammelli infinitesimali nell’inquadratura, e tu te lo vai a guardare su uno schermo minuscolo? Avrei voluto dargli una sberla! – ride – Il tipo sembrava anche godersi la visione, ma è davvero una cosa un po’ triste. Quello che ha rovinato il cinema non è la tv e non è lo streaming, ma la Pandemia, però la gente tornerà al cinema, lo so, perché la sala è un’esperienza insostituibile”.
Come ha osservato Farinelli: “Quest’uomo è fatto di Cinema. Questi sono registi che hanno avuto la fortuna di incontrare chi ha fatto il cinema classico e poi lo hanno ribaltato”.
A cura di Tiziana Elena Fresi
Ph: Francesco Burlando/Cineteca di Bologna