Il caso del “Giustiziere della metro” di New York 1984
Il caso del “Giustiziere della metro” è un fatto di cronaca, molto noto per le sue diverse implicazioni, verificatosi a New York nel 1984.Ha destato a suo tempo molto clamore, soprattutto a livello mediatico, e ha dato luogo a numerose riflessioni rispetto alla società americana di quei tempi, caratterizzata da criminalità e razzismo.
Il caso del “Giustiziere della metro”
Quattro adolescenti afroamericani Barry Allen, Darrell Cabey, Troy Canty e James Ramseur avevano preso la metro nel Bronx diretti verso Manhattan per godersi la città.
Nel tratto che li portava a destinazione furono feriti gravemente da colpi di pistola sparati da un uomo che, dopo l’accaduto, si dileguò immediatamente:
la descrizione e la ricostruzione del suo viso tappezzavano la città e la polizia aumentò la propria presenza, setacciando ogni angolo delle strade per tentare di scovarlo.
Il contesto in cui tutto questo si svolgeva era quello della New York degli anni 80, una città molto pericolosa nella quale la criminalità era un fenomeno dilagante: essere derubati nella metro di New York era considerata una normale circostanza che poteva capitare a chiunque.
Il caso aveva destato molto scalpore e aveva toccato un tasto dolente, quello della criminalità, aprendo ancora di più uno squarcio su una società fortemente divisa e impaurita ma anche intrisa di razzismo.
Destò molto clamore soprattutto nella stampa e nei media che, pur senza alcun elemento e senza alcuna conoscenza dei fatti, definirono e battezzarono fin da subito il colpevole come il “Subway vigilante”, ovvero “Il giustiziere della metro”.
La New York degli anni 80 e la criminalità diffusa
Agli inizi degli anni 80 New York era forse la città più pericolosa d’America.
Questo clima di tensione e paura era molto sentito dalla popolazione che, insieme ai Guardian Angels, un’organizzazione privata e volontaria di sicurezza pubblica, si schierò subito dalla parte dell’aggressore dando, quindi, per scontato che il suo intervento fosse un intervento di legittima difesa da una qualche aggressione o tentativo di rapina subito, e che i quattro ragazzi fossero certamente i colpevoli.
I cittadini credevano fermamente nell’autodifesa, legittima, posta in essere dall’aggressore:
molti cittadini si erano perfettamente identificati in quella situazione e le falle all’interno del sistema della giustizia non facevano altro che aumentare paura e risentimento.
La battaglia contro la criminalità venne ulteriormente offuscata dagli accesi dibattiti tra i Guardian Angels e la polizia della città di New York.
Una situazione davvero incandescente.
L’aggressore: Bernhard Goetz
I quattro ragazzi vittime della brutale aggressione decisero di sporgere denuncia contro lo sparatore che, però, risultava ancora introvabile.
Alla fine del 1984 Bernhard Goetz si consegnò spontaneamente alla polizia confessando l’aggressione nella metro.
Bernhard Goetz, trentasettenne laureato in energia nucleare, si occupava di collaudi e riparazioni di articoli elettronici.
Durante gli interrogatori spiegò e giustificò il suo gesto, sostenendo che i quattro ragazzi lo stavano accerchiando e minacciando per derubarlo.
Nella scena del crimine erano stati rinvenuti tre cacciaviti che sarebbero stati in possesso dei giovani.
In una precedente occasione Goetz era stato rapinato e pestato brutalmente e questa sua passata situazione l’aveva particolarmente turbato. Secondo l’uomo i ragazzi erano pronti ad agire, così aveva sparato immediatamente per difendersi, così diceva, da una loro aggressione.
Bernhard Goetz ottenne il sostegno non solo da parte dei cittadini, che organizzarono proteste e raccolte fondi per sostenere le spese legali dell’uomo, ma anche da parte di esponenti politici, come il Senatore D’Amato che aveva preso le sue difese.
Queste persone si riconoscevano nella situazione di pericolo descritta da Goetz ma non avevano assolutamente considerato la posizione delle vittime, completamente dimenticate e quasi mai citate.
Il clima di frustrazione era sempre più diffuso e le vittime ormai erano criminalizzate per il solo fatto di essere presenti nella metro in quel maledetto giorno; in realtà, forse, solo perché vittime di un pregiudizio corrente: il fatto di essere neri quindi, automaticamente, delinquenti.
Il caso Goetz attirò l’attenzione morbosa della stampa e dei media:
sketch in tv, magliette con stampata la sua faccia, adesivi per le auto… una visione completamente distorta continuava a farsi strada nella società.
Passava così il messaggio che chiunque aveva il diritto di difendersi in qualunque modo se si sentiva minacciato.
Il caso Goetz e la battaglia sul controllo delle armi della NRA (National Rifle Association of America)
In poco tempo Bernhard Goetz divenne il simbolo dell’autodifesa da cui nacque, inoltre, una battaglia per il controllo delle armi.
L’assalitore aveva utilizzato un’arma illegale nello stato di New York: la città gli aveva negato la licenza e aveva perciò proceduto all’acquisto dell’arma in un altro stato, la Florida.
Questo procedimento era illegale e rischiava fino ad un anno in carcere.
Goetz ottenne, in questo modo, anche il sostegno delle organizzazioni di armi, NRA in testa:
l’organizzazione in questione, che agiva e agisce ancora in favore dei detentori di armi da fuoco, è oggi considerata una delle lobby politiche più influenti degli Stati Uniti.
Quando il caso scoppiò l’organizzazione ne approfittò per strumentalizzare il caso a suo favore ed iniziò ad inserire pubblicità nei giornali di New York in cui dichiarava che:
“i cittadini onesti hanno il diritto di proteggersi perché la città non lo fa più”.
Insomma, una vera e propria chiamata alle armi, tutta, ovviamente, a favore dell’organizzazione e per il raggiungimento dei suoi scopi:
la totale liberalizzazione nell’utilizzo delle armi.
La battaglia della comunità nera per i diritti civili
Alcuni esponenti della comunità nera avevano chiesto un’indagine sui diritti civili del caso.
Il Reverendo Al Sharpton, attivista per i diritti civili, smontò immediatamente l’idea della legittima difesa posta in essere da Goetz e dalla sua difesa:
la reazione dell’uomo era stata, infatti, completamente sproporzionata e intrisa di razzismo ed intolleranza, non si può totalmente escludere anche a causa del forte trauma subito a seguito della prima rapina.
Il Reverendo era fermamente convinto che questa fosse la realtà dei fatti:
la sua determinazione era tanta e portò avanti fino alla fine la sua battaglia, che era anche quella di tutta la comunità nera, con raduni ogni sabato mattina, incontri, proteste.
Per comprendere quanto fosse teso e razzista il clima sarebbero bastate le lettere minatorie spedite alla madre di uno dei quattro ragazzi aggrediti, finito in sedia a rotelle e con gravissime conseguenze sulla sua salute a causa dell’aggressione;
lettere nelle quali si gioiva della condizione del ragazzo, appellandolo con epiteti razzisti che dimostravano tutta la discriminazione e l’intolleranza nei confronti della comunità nera di cui era imbevuta la società newyorkese e americana del periodo, che riusciva ad identificarsi nell’aggressore ma non provava un minimo di pietà per la vita, per sempre rovinata, dei ragazzi.
Se fosse stato un afroamericano a sparare quattro ragazzi bianchi le riflessioni sarebbero state le stesse? Che clima si sarebbe determinato?
La stampa e i media come hanno gestito la comunicazione del caso Goetz, il “giustiziere della metro”?
I video della confessione di Goetz vennero resi pubblici e smascherarono le vere intenzioni dell’uomo: l’autodifesa era assolutamente esclusa.
L’uomo, dopo aver colpito i tre ragazzi, aveva sparato un colpo ad uno di loro e, vedendo che questo colpo non aveva sortito effetto dato che il ragazzo era ancora in piedi, sparò di nuovo:
“sembri stare bene, eccotene un altro” oppure “se avessi avuto più colpi avrei continuato ancora ed ancora”; queste furono le parole pronunciate da Goetz durante l’interrogatorio.
Frasi che descrivevano perfettamente gli intenti criminali dell’uomo e come non avesse agito per difendersi ma per uccidere.
Dopo questi video la stampa e i media si resero conto di come anche la loro comunicazione fosse stata superficiale:
non avevano approfondito nessun aspetto della vita di Goetz e l’appellativo di “giustiziere della metro” che gli era stato conferito all’inizio del caso aveva diffuso l’idea e la sensazione che l’uomo potesse effettivamente trovarsi nel giusto.
Ma così non era.
La compassione era tutta rivolta a favore dell’aggressore mentre le vere vittime erano completamente ignorate.
Solo alla fine di questa battaglia giudiziaria e mediatica la stampa e i media si resero conto, anche se solo in parte, del danno che avevano prodotto, non solo verso i quattro ragazzi aggrediti ma nei confronti della società intera.
Nonostante ciò, e nonostante le indicazioni fornitegli dagli avvocati, Goetz aumentò considerevolmente le sue apparizioni e dichiarazioni ai media e, nonostante l’evidenza, dimostrava di credere fermamente nella ragione delle sue azioni e non si poneva problemi ad esporre le sue tesi davanti al pubblico, sottolineando e strumentalizzando le numerose carenze del sistema giustizia.
Il processo
Il processo contro Bernhard Goetz iniziò nel 1987.
Anche nel processo ebbe modo di riflettersi la polarizzazione presente nella società: nella giuria erano presenti soggetti (dieci bianchi) che erano stati vittime di aggressioni proprio sulla metro, persone che potevano facilmente identificarsi nella posizione di Goetz;
d’altra parte, il noto Procuratore Greg Waples, riteneva l’azione di Goetz eccessiva e sproporzionata, e l’uomo pericoloso per la società.
Per questo motivo l’avvocato difensore dell’uomo, strategicamente, spostò l’attenzione dal suo assistito verso i quattro ragazzi mentre il Procuratore ribatteva mostrando i video della confessione in aula in cui Goetz confessava che si era trattato di un vero e proprio tentato omicidio a sangue freddo.
Nonostante tutto Goetz non smise di mettere la società sotto la lente di ingrandimento, strumentalizzando le mancanze del sistema per spiegare, e giustificare, la sua azione.
Nonostante ciò il tribunale aveva assolto l’uomo dalle accuse di tentato omicidio e aggressione e l’aveva condannato solamente per il possesso illegale dell’arma ad un anno di reclusione e al pagamento di una multa.
Le proteste della comunità nera non si fermarono, soprattutto quelle portate avanti dal Reverendo Al Sharpton.
E la causa civile intentata dalla famiglia di Darrell Cabey (1996)
La famiglia di uno dei ragazzi intentò una causa civile: Darrell Cabey era rimasto paralizzato, in sedia a rotelle e con danni cerebrali irreversibili.
Il clima sociale, dopo undici anni, non era più lo stesso e il processo civile obbligava Goetz a testimoniare (circostanza che aveva potuto evitare nel primo processo).
Il processo civile si svolse nel Bronx:
la giuria era composta da quattro neri e due ispanici e, man mano che l’avvocato difensore della famiglia del ragazzo andava avanti con le domande all’imputato, Goetz, come in un flusso di coscienza inconsapevole, fece emergere la sua vera natura criminale e razzista.
Il tribunale lo considerò responsabile del danno inflitto a Darrell Cabey, dichiarato colpevole di condotta irresponsabile e di aver intenzionalmente voluto arrecare danni al ragazzo.
Fu condannato a risarcire Darrell Cabey con 43 milioni di dollari ma, successivamente, dichiarò bancarotta e si dichiarò non in grado di pagare il risarcimento.
L’editoriale di apertura del Daily News del giorno seguente recitava: “No hero, never was” (“Nessun eroe, non lo è mai stato”).
Meglio tardi che mai.
Bernhard Goetz non ha mai provato rimorso per le sue azioni ed anzi:
in una intervista radiofonica del 2017, ha affermato di non essere assolutamente pentito del suo gesto.
Questo processo resta molto importante e significativo anche oggi:
seppur le condizioni, sociali e giuridiche, siano profondamente mutate e migliorate, il problema culturale del razzismo torna spesso ad essere affrontato.
La battaglia fatta propria dall’accusa fu fondamentale per porre un punto fermo nel mondo della giustizia:
veniva comunque sancito almeno il principio fondamentale per cui casi come questo non sarebbero dovuti accadere mai più.
Il clima era cambiato, almeno da un punto di vista giuridico, e solo attraverso anni di battaglie mai interrotte si era potuto giungere almeno a questo risultato.
Elena Elisa Campanella