Intervista al sociologo prof. Francesco Pira
“Il prete sardo nudo in doccia su Facebook è il segno delle nostre fragilità reali e virtuali”
Anche un altro caso di cronaca ci deve far alzare le antenne, secondo l’esperto di comunicazione siciliano, quella della madre condannata ai servizi sociali per aver tolto smartphone e tablet alla figliaAvvenire lo ha definito uno dei maggiori esperti italiani sul fenomeno Fake News. Studioso e autore di ricerche sul rapporto tra bambini, adolescenti e adulti e nuove tecnologie in questo momento sta svolgendo un’attività di Visiting professor in Georgia. È il professor Francesco Pira che ho voluto intervistare su due fatti di cronaca, legati alle nuove tecnologie e a quella che viene ormai definita dagli esperti “Emergenza Educativa”.
Il professor Francesco Pira, siciliano 56 anni, sociologo, è professore associato di sociologia dei processi culturali e comunicativi. Insegna giornalismo web e comunicazione strategica, teorie e tecniche del linguaggio giornalistico e comunicazione istituzionale presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina, dove è Direttore del Master in “Esperto in Comunicazione Digitale per PA e Impresa”.Il Rettore professor Salvatore Cuzzocrea lo ha nominato nel 2020 Delegato alla Comunicazione dell’Ateneo peloritano.
È stato Visiting professor presso l’Università Re Juan Carlos di Madrid in Spagna e Docente Erasmus presso l’Università di Wroclaw e Lublino in Polonia e di Yerevan in Armenia . Svolge attività di ricerca nell’ambito della sociologia dei processi culturali e comunicativi. Ha intrapreso una battaglia personale contro il bullismo, il cyberbullismo, il sexting, le fake news e la violenza sulle donne. Su questi temi ha svolto ricerche e tenuto seminari in Italia e all’Estero per studenti, docenti e genitori. Nel giugno 2020 è stato nominato Presidente dell’Osservatorio Nazionale sulle Fake News di Confassociazioni. È componente del Comitato Promotore e componente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Comunicazione Digitale di PA Social e Istituto Piepoli. Saggista è autore di numerosi articoli e pubblicazioni scientifiche.
Anche quest’anno è stato tra gli scrittori ospiti del Festival Internazionale Taobuk di Taormina edizione 2022, dove ha presentato il suo ultimo libro “Piraterie 2 La Vendetta” (Medinova Edizioni), nell’ambito di un incontro su informazione e verità. Inoltre, ha ricevuto il prestigioso premio “Penna Maestra 2022”.
Un uomo instancabile e il suo impegno nel sociale non si è fermato nemmeno durante la pandemia. Ha partecipato a tantissimi webinar e a tantissime conferenze nazionali e internazionali, dove ha presentato i dati della sua ultima ricerca contenuta all’interno del suo ultimo saggio “Figli delle App”, edito da Franco Angeli Editore – Collana di Sociologia.
Vista la sua competenza e preparazione ho voluto chiedergli cosa ne pensa di due storie che devono farci riflettere sul percorso che la nostra società ha intrapreso ormai da tempo.
Professore, ci aiuti a capire un episodio balzato agli onori della cronaca e che tutti i maggiori siti di informazione stanno raccontando: una madre toglie il tablet e lo smartphone alla figlia 15enne e viene denunciata. Cosa è successo?
«La storia di questa mamma è una storia particolare. L’episodio risale a qualche tempo fa e solo da qualche giorno è diventato un vero e proprio caso. A quanto pare la donna stanca di vedere la figlia perennemente attaccata al tablet e allo smartphone decidedi toglierglieli.
Subito dopo è avvenuta una colluttazione e la figlia finisce al pronto soccorso. Non perde tempo e denuncia la madre. Il padre viene a conoscenza dell’episodio e fa un’altra denuncia per “abuso di metodi correttivi e lesioni”. La donna finisce viene processata e risarcisce la figlia del danno su consiglio dei suoi avvocati. Purtroppo, nonostante questo viene condannata a svolgere 180 ore di lavori socialmente utili in un Comune della Brianza lecchese. Così ha deciso il giudice Paolo Salvatore del Tribunale di Lecco: la donna ha infatti scelto di avvalersi della messa alla prova, cioè della possibilità di estinguere il processo a proprio carico svolgendo lavori di pubblica utilità. Emerge come i figli molto spesso siano al centro della guerra tra genitori e come le nuove tecnologie diventino motivo per litigare. Purtroppo, quando i genitori non riescono a fermare con i dovuti modi i figli, da un uso forsennato delle tecnologie, tutto degenera e finisce nel peggiore dei modi».
Come sta cambiando il ruolo della famiglia?
«Abbiamo due aspetti molto importanti da valutare e da analizzare costantemente per riuscire a fronteggiare le situazioni più difficili e complesse.
Il primo è la democratizzazione delle relazioni all’interno della famiglia, dove: la libertà decisionale viene riconosciuta ai figli (spesso senza condizioni e in età precoce); avviene la pariteticità di diritti e doveri tra genitori e figli (ad esempio i piccoli servizi, su cui viene rivendicato il diritto alla turnazione con il risultato che lavorano sempre i genitori); si assiste alla perdita di autorità da parte dei genitori e il tentativo frequente di sostituirla con un innalzamento del tono affettivo.
Il secondo fenomeno è l’esplosione della comunicazione, nella famiglia dove emergono: la pervasività (i media mobili e connessi sono sempre con noi); la socialità mediata (prolunga oltre i limiti della presenza le relazioni e le interazioni); la naturalità (la tecnologia “scompare” sempre più dentro gli oggetti d’uso comune facilitando la nostra appropriazione di essi). Le relazioni famigliari nell’era della generazione multitasking mostrano come non si sia più tempo per guardarsi negli occhi.
Mentre i nostri figli chattano anche noi chattiamo e non perdiamo tempo per accedere su Whatsapp o sulle piattaforme social.
La comunicazione mediata pare più facile, rapida, efficace. Il risultato è un’estroflessione generalizzata di aspetti personali. Questo comporta che la comunicazione si fa sempre più rapida e superficiale.
Purtroppo, la conseguenza è che diventa sempre più alto il livello di incomunicabilità tra figli e genitori».
Questo significa che emerge anche all’interno della famiglia una forte fragilità…
«Si sono tantissimi i racconti di genitorialità fragile senza supporti che tentano la comunicazione con i figli divisi tra soggiorno e camera da letto collegati attraverso le chat dei social network. L’isolamento di genitori che non riescono a dialogare e che poco conoscono dei propri figli. Ma i genitori non sono i soli, l’indebolimento è generale».
A proposito di “indebolimento generale” parliamo di quanto è accaduto a Don Mario Montis, sacerdote sardo “vittima” delle nuove tecnologie…
«È davvero incredibile quanto è successo a Don Mario Montis, parroco della chiesa Santa Barbara Vergine Martire a Furtei, in Sardegna. Domenica sera, infatti, sul suo profilo Facebook è apparsa una foto che lo ritrae nudo, in doccia, con addosso solo gli occhiali e il crocifisso. Uno scatto inquietante pubblicato su Facebook e immediatamente rimosso, ma i parrocchiani riescono ad intercettarlo. L’immagine inizia a girare sui social e sui canali di messaggistica istantanea e la Diocesi di Cagliari ha provveduto a sostituire il parroco. Poco da aggiungere, perché la vicenda è imbarazzante e tutti ci chiediamo cosa faceva Don Mario dentro la doccia nudo addosso il crocifisso e lo smartphone che lo ritraeva. Oltretutto, mi stupisce che i parrocchiani non abbiano minimamente pensato di proteggere in qualche modo il loro parroco. Si sa, certe notizie attirano i commenti e il pettegolezzo».
Lei ha scritto che le fragilità derivano da una iper rappresentazionedi sé? Che cosa significa e quali sono i rischi che corriamo?
«Una delle caratteristiche principali che emergono dalla mia ultima ricerca, relativa alle dinamiche comunicative social, è l’individualismo, la concentrazione su di sé. Il voler offrire una certa immagine di sé agli altri attraverso i social network, giungendo a limiti estremi.L’elemento principale da non sottovalutare è quel sentiero della solitudine che abbiamo iniziato a percorrere. Sempre connessi col mondo, ma sempre più isolati e chiusi in noi stessi.Un processo che spinge a riflettere ancora una volta sui rischi della “vetrinizzazione”, dove gli individui si espongono pur di ottenere qualche “like” su Facebook o qualche “cuoricino” su Instagram. Inoltre, non può essere sottovalutato il nostro continuo desiderio di postare le nostre foto.
Ricordiamoci che le nostre immagini diventano accessibili a tutti e che possono essere utilizzate da terzi. Quindi, bisogna stare molto attenti a quello che decidiamo di pubblicare.Una dipendenza dai social e dal gruppo dei pari che genera un’ulteriore conseguenza. Si, perché Sui social tendiamo ad assumere modelli di identità predeterminati pur ritenendo di esprimere la nostra individualità, attuando una sorta di mimetizzazione, con la quale cerchiamo di assomigliare a questi ambienti online e, così facendo, rinunciamo a noi stessi. Ecco che diamo vita ad un io performativo con il preciso scopo di ottenere il gradimento del proprio pubblico. L’utilizzo dei diversi social media avviene in funzione degli obiettivi di comunicazione e del pubblico a cui si rivolgono. Più profili. Più pubblici».
Quali sono secondo lei gli aspetti più gravi di queste due storie?
«Penso alla figlia che ha distrutto il rapporto con la madre per le nuove tecnologie e penso a Don Mario che ha messo in discussione il suo ruolo e il suo servizio per questa foto imbarazzante. Non si possono distruggere i rapporti per dare spazio alle nuove tecnologie e un sacerdote non può essere giudicato dalla piazza virtuale».
Cosa possiamo fare per riuscire a invertire la rotta?
«Ci vuole una vera e propria responsabilità educativa. Noi adulti dobbiamo abbandonare la dimensione dell’inconsapevolezza e diventare attori coscienti e consapevoli della società e dobbiamo farlo per i nostri giovani. Noi adulti abbiamo il dovere di presidiare e soprattutto di educare i nostri figli ad un uso consapevole del web. Non vietare, ma guidare ad un corretto uso delle tecnologie. Ma per farlo dobbiamo conoscere i social network, le piattaforme di messaggistica istantanea, capire quali sono i nuovi codici e i nuovi meccanismi di comunicazione. Purtroppo, i primi a sbagliare siamo noi adulti e dovremmo essere i primi a impegnarci per scoprire quali sono le necessità dei giovani. Riuscire a guidare e a rieducare i genitori potrebbe essere la soluzione a tanti problemi, riconducibili alle fragilità e alle insicurezze di tanti preadolescenti e adolescenti».
Insomma, il professore ci aiuta a capire ancora di più il pensiero del grande Zygmunt Bauman: “La paura di oggi è quella di non essere notati e si confonde la vita su Facebook con quella vera. Ogni volta che si usa il cellulare, quell’azione viene registrata per sempre, c’è qualcuno da qualche parte che sa esattamente dove vi trovate, sa chi siete, dove siete. Oggi siamo sempre connessi e sempre più soli”.
La vita reale è ben altra cosa ed è questo il messaggio che deve essere trasmesso ai nostri giovani che vanno seguiti e accompagnati alla scoperta dei nuovi mezzi e strumenti di cui dispongono. Iniziamo a coltivare i sentimenti e cerchiamo di valorizzare il rispetto per noi stessi e per gli altri.
Intervista a cura di Merelinda Staita