“Vi è piaciuto il film? Avete pianto?”. Così Ke Huy Quan si presenta alla tavola rotonda in un noto hotel nel centro di Bologna, per l’uscita italiana di Everything, Everywhere, All at Once. Strano interrogativo per un film visionario, pieno di arti marziali e battute taglienti? Niente affatto; è chiaro da subito che l’ex Data de I Goonies tenga molto all’aspetto emotivo del caleidoscopico film diretto dai Daniels, in cui interpreta un ruolo chiave e multiforme che lo vede in scena dopo molti anni di lavoro dietro le quinte.
Everything, Everywhere, All at Once è un’opera sul multiverso, sì, ma soprattutto sull’identità e sulle connessioni umane in tutte le loro possibili manifestazioni. Parla anche di un bagle (una sorta di ciambella farcita), ma potete farvene un’idea più precisa nella nostra recensione, qui. Senza svelare troppo del film, distribuito ora nelle sale italiane da I Wonder Pictures, salvare il Cosmo senza navicelle spaziali ma spaziando tra i generi, portare alto il valore dell’empatia in una contemporaneità iper-stimolata e spesso asettica che sembra vicino al collasso, cercare la bellezza attraverso la condivisione e l’amore in senso lato, sono i temi centrali di un’opera che parla essenzialmente di famiglia, in un modo che raramente si è visto al cinema. Fa anche molto, molto ridere e quanto più sarete aperti, tanto più sbloccherete dei livelli nella vostra esperienza di visione, meglio se al cinema.Ho posto due quesiti al nostro Waymond Wang (o Alfa Waymond, marito dell’eroina atipica Evelyn Wang) e al Produttore Jonathan Wang.
DOMANDA T.F. – La scena del marsupio, usato come fosse un’arma, ha strappato un grosso applauso spontaneo da parte del pubblico, nell’anteprima di qualche settimana fa qui al Pop Up Cinema Medica Palace. Sei un professionista nelle discipline del combattimento e così altri membri del cast (la stessa Michelle Yeoh/Evelyn ha una lunghissima esperienza in tal senso). Come avete gestito le scene di lotta?
KE HUY QUAN – Abbiamo un fantastico team guidato dal nostro stunt coordinator Tim Julick and the Martial Club Boys. Tutte le scene sono girate da me e Michelle Yeoh e dal resto del cast. Grazie al mio background nelle arti marziali – ho studiato taekwondo per molti anni – mi trovavo quindi a mio agio nelle scene di lotta, ma nel particolare stile Wushu ho dovuto allenarmi varie settimane, perché avevamo un piccolissimo budget e un calendario serrato. Scene come quella richiedono due o tre settimane di riprese, mentre noi l’abbiamo girata in un giorno. Non avevamo tempo e per ogni inquadratura abbiamo girato un massimo di due o tre takes.
DOMANDA T.F. – EEAAO dichiara platealmente il suo amore per il Cinema; quale dei film citati è il vostro preferito? Avanzo una piccola scommessa con In The Mood for Love, per almeno uno di voi.
K.H.Q. – I Daniels sono grandissimi fan di In The Mood for Love e quando ho letto lo script ero molto sorpreso perché ho avuto la fortuna di lavorare con Wong Kar-wai per anni. Uno dei film ai quali ho lavorato era 2046 e ricordo che passavo un sacco di tempo dietro la macchina da presa, mentre inquadrava Tony Leung. A Wong Kar-wai abbiamo dedicato un intero universo e una delle mie battute preferite, che mi fa sempre emozionare, è “In un’altra vita amerei gestire una lavanderia e pagare le tasse insieme a te”; una frase così semplice ma significativa che spero tutti possano dedicarla alla loro metà.
JONATHAN WANG – La scena più personale per me è quella su Raccaacoonie (riferimento a Ratatouille). Mio padre, come tanti altri genitori asiatici ha storpiato spesso i titoli dei film, con risultati esilaranti. Quanto allo stile, amo in particolare il riferimento alle arti marziali di Hong Kong.
DOMANDA – Si vedono multiversi ovunque al Cinema, in cosa differisce questo e come hai affrontato tutti questi personaggi in uno?
K.H.Q. – Differisce nel suo parlare di una famiglia i cui componenti sono disconnessi gli uni dagli altri e devono viaggiare attraverso il multiverso per ritrovarsi. La domanda che solleva è come sarebbero le nostre vite se scegliessimo cammini diversi e i Daniels hanno fatto un gran lavoro nel mettere insieme generi così vari – dalla fantascienza al dramma, fino alla commedia romantica.
DOMANDA – Hai detto di aver atteso tutta una vita un ruolo come questo, cosa ti ha colpito della sceneggiatura?
Ho iniziato a Hollywood negli anni ’80, sono stato fortunatissimo a lavorare con professionisti come Steven Spielberg e George Lucas, ma a quel tempo era molto difficile per un attore bambino fare il salto ad attore adulto, inoltre scarseggiavano i ruoli interessanti per gli attori asiatici, erano parti marginali e un massimo di 4 o 5 battute, mentre al centro di EEAAO c’è una famiglia asiatica. Waymond è un personaggio meraviglioso, con molte sfumature e mi sono innamorato della sua empatia. Vorrei trasmettere il messaggio per me importantissimo di essere gentili col prossimo, soprattutto considerato ciò che ha attraversato il Mondo in questi ultimi due anni. Per questo ho davvero voluto far parte del progetto e ogni volta che ne parlo divento emotivo, perché pensavo fosse impensabile per me ottenere la parte.
J.W. – I Daniels volevano qualcuno che si intendesse di arti marziali perché se ne sarebbe visto il volto, così avevamo bisogno di qualcuno che fosse non solo un maschio alfa, ma avesse al contempo un lato sensibile. Abbiamo considerato vari attori come Jet Li, Jackie Chan ma nessuno di loro sembrava giusto per la parte, così i Daniels mi hanno mostrato la foto di qualcuno che aveva quella faccia lì (Ke e Jonathan ridono) chiedendomi se lo avessi riconosciuto, mi hanno mostrato un pezzo di un suo film girato ad Hong Kong e abbiamo chiamato immediatamente il suo agente, la cosa assurda è che fino a una settimana prima non ne aveva uno e non saremmo mai riusciti a rintracciarlo!
DOMANDA – Com’era l’atmosfera sul set?
K.H.Q. – Ci allenavamo insieme ogni giorno, ballavamo, ridevamo e ogni settimana ci assegnavamo dei premi: alla persona che ha affrontato la sfida più difficile, o a chi ha lavorato più duramente e insomma ad ogni premio facevamo un discorso con tanto di applausi, era una vera e propria piccola cerimonia, una grande festa. Jamie Lee Curtis, poi, è simpaticissima, non era facile star seri sul set insieme a lei.
DOMANDA – Com’è stata la collaborazione con i Daniels?
J.W. – Lavoriamo insieme da 12 anni ed è una gioia. Abbiamo iniziato nei video musicali e si è creata una squadra in cui tutti lavorano da pari. I Daniels sono un genio creativo unico, solo diviso in due corpi.
DOMANDA – Quale sarebbe la vostra vita se non aveste fatto l’attore e il produttore?
J.W. – Mio padre era chef pasticciere, il classico cinese stoico che mi ha dato come unico consiglio nella vita quello di non lavorare nella ristorazione. Ho rispettato questa cosa, ma penso che in un’altra vita lo avrei fatto.
K.H.Q. – Ho iniziato come attore e sono stato lontano dalle scene per 12 anni, ma sono tornato a questo perché amo questo lavoro, mi consente di vivere molte vite.
J.W. – Ma devi rispondere alla domanda (ridono).
K.H.Q. – Non farei niente che non sia questo. In un’altra vita però mi piacerebbe essere Michelangelo: qualcuno ammirato, in grado di ispirare intere generazioni, dunque i Daniels dovrebbero creare un universo nel quale sono pittore.
DOMANDA – Questa idea viene post Marvel o è un progetto di lungo corso?
J.W. – Nel 2016 stavamo scrivendo Swiss Army Man e il progetto è nato in quel periodo, ma non riuscivamo a trovare l’attrice giusta e abbiamo avuto vari ritardi.
DOMANDA – Si tratta di un multiverso che parla del caos del contemporaneo, più che di un multiverso fantascientifico. I Daniels vi hanno dato una motivazione riguardo a questo aspetto?
K.H.Q – Tutto ciò che vedete era nello script, già meravigliosamente congegnato. Appena l’ho letto gli ho chiesto il significato del bagel e loro mi hanno spiegato che nella società moderna subiamo un sovraccarico di informazioni dai social, dalla tv e da internet, perciò desideravano trovare la bellezza nel caos. Al centro c’è il bisogno di questa famiglia di poter esprimere l’amore che non riesce a manifestare. Vedere il passaggio dallo script al set è stato stupefacente perché i Daniels non credono affatto nella filosofia del “Less is More”, anzi, “More is not enough”, cioè il troppo non è ancora abbastanza.
DOMANDA – Il film è permeato di dualismo, cosa possiamo dire su questo aspetto?
J.W. – Nel film ci sono molte dualità; l’idea stessa del multiverso è un dualismo in un dualismo eccetera. Abbiamo ad esempio il bagle con la sua controparte in quell’occhietto lì (l’occhio simbolo del film). Abbiamo l’attrice (Michelle Yeoh) che interpreta un’attrice, poi una serie di finali per molteplici film. Il punto di tutto ciò è che viviamo in un mondo di opposti; conservatori e liberali, religione e ateismo eccetera, ma siamo nello stesso sistema e il punto del film è sperimentare questo dualismo allo scopo di creare empatia e comprensione.
DOMANDA – Perché nei film americani si ripete la frase “Andrà tutto bene”?
K.H.Q. – Lo abbiamo fatto? Non ricordo, dobbiamo riguardarlo tutti! Spesso nella vita dobbiamo essere realisti, io lo sono stato quando mi sono dovuto allontanare dalla recitazione, ma spero che le persone riescano a essere comunque ottimiste, questo è il lusso più grande.
J.W. – Non era il finale in Ladri di Biciclette? In effetti sappiamo che in quel caso era esattamente il contrario… (sorride). Hollywood ha i suoi schemi e modelli di scrittura, ma noi abbiamo stracciato tutte le formule consuete, perché speriamo che agli spettatori arrivi il messaggio che nonostante tutto stia esplodendo attorno ai protagonisti del film, vediamo infine una madre e una figlia insieme, semplicemente. É il nostro modo di dirlo, senza renderlo esplicito.
Ph e articolo a cura di Tiziana Elena Fresi.