Il decreto legge contro i “raduni pericolosi” e il doppiopesismo ideologico
Il decreto legge contro i “raduni pericolosi” e il doppiopesismo ideologico.Uno dei primi provvedimenti adottati dal nuovo governo presieduto dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni riguarda la stretta contro i raduni pericolosi.
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha predisposto un decreto legge che ha, da subito, acceso discussioni e critiche.
Il decreto legge
Il decreto legge, proposto ed introdotto dal Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi introduce, nel codice penale, l’articolo 434 bis.
Tale disposizione si applica quando più di cinquanta persone invadono in modo “arbitrario” terreni o edifici, pubblici o privati, e da ciò può derivare pericolo per l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
Chi organizza o promuove l’invasione è punito con la reclusione da 3 a 6 anni e con una multa che va dai 1000 ai 10000 euro, per chi partecipa la pena è diminuita.
Viene prevista anche una modifica al Codice Antimafia che permette l’applicazione delle misure di prevenzione personali per chi si macchia del nuovo reato.
Il Ministro dell’Interno ha presentato, inoltre, una proposta per poter applicare le intercettazioni preventive a queste fattispecie in modo tale da impedire l’organizzazione dei rave ma la proposta è stata bloccata dal Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani in sede di Consiglio dei Ministri.
Le critiche al decreto legge
La norma introdotta prevede il reato di invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi:
il reato in questione, però, è già previsto dal nostro codice penale all’articolo 633, denominato appunto “Invasione di terreni o edifici”.
La generica configurazione dell’ordine pubblico come controinteresse rilevante, inoltre, pone problemi di determinatezza nella disposizione.
Ciò che colpisce è poi, inevitabilmente, la previsione di una sanzione così elevata per tali condotte:
non esistono misure alternative meno lesive applicabili?
Questa eccessiva penalizzazione rischia, oltretutto, di creare un “chilling effect” rispetto a condotte diverse, ma limitrofe, che l’ordinamento considera legittime ma che il cittadino non pone in essere in quanto teme il rischio di una sanzione.
La parola ai costituzionalisti
Va detto, inoltre, come la previsione di una cornice edittale così elevata comporti un rischio ulteriore:
costituzionalisti come Gaetano Azzariti sottolineano come l’ascolto delle comunicazioni è previsto ed applicabile a reati per cui è prevista una pena superiore ai cinque anni.
Perciò, nonostante la proposta del ministro dell’Interno sulle intercettazioni preventive sia stata prontamente fermata dal ministro Tajani, la configurazione di una cornice edittale così elevata consente, comunque, un utilizzo sproporzionato delle intercettazioni.
Come si può sapere chi sono gli organizzatori del rave? Sarà necessario intercettare anche le comunicazioni dei semplici partecipanti per poterli individuare? Quali sono i limiti per tutelare la riservatezza e la privacy dei giovani e in generale dei partecipanti a non meglio identificati “raduni”?
Le dichiarazioni del Ministro dell’Interno Piantedosi sul decreto legge
Il Ministro dell’Interno, alla conferenza stampa convocata al termine del Cdm, dichiara:
“La norma fotografa, soprattutto, gli eventi che qualifichiamo come rave party.
L’urgenza viene ravvisata nel fatto che l’assenza di una disciplina efficace nel nostro paese ci rendeva particolarmente vulnerabili, come la cronaca degli ultimi anni testimonia.”
Le dichiarazioni del ministro, però, sono facilmente smentibili: la norma non parla di “rave party” ma parla di “raduno” con più di 50 persone.
Chi stabilisce quando un raduno può essere identificato come rave party?
Nella disposizione si indicano “persone che invadono in modo “arbitrario” terreni o edifici, pubblici o privati”.
Il terreno può identificare anche una piazza? E nell’edificio rientra anche una scuola?
La discrezionalità è molto elevata e può dare luogo ad interpretazioni arbitrarie. Se l’intenzione è quella di colpire i rave party la norma dovrebbe contenere definizioni ed elementi precisi per circoscrivere il fenomeno.
Il Ministro, inoltre, parla dell’assenza di una disciplina efficace nel nostro ordinamento; ma l’articolo 633 del codice penale prevede specificamente la fattispecie di “Invasione di terreni o edifici”.
Il rapporto fra sicurezza e diritti fondamentali
La sensazione di vivere in quella che viene definita “società del rischio” da penalisti autorevoli come Giovanni Fiandaca, una società che porta spesso a ragionare della materia penalistica in termini repressivi, non rassicura:
una società la cui fisionomia comporta il moltiplicarsi delle situazioni di rischio con la conseguente messa in crisi dei paradigmi del diritto penale e del sistema democratico.
Il tema centrale risulta essere, ancora una volta, quello relativo alla definizione del rapporto fra sicurezza e diritti fondamentali in termini di proporzionalità delle limitazioni introdotte per perseguire scopi essenziali:
per cui è sicuramente ammissibile che, in talune circostanze emergenziali, dalla sicurezza possano discendere limiti legittimi per i diritti fondamentali; ma sarà il “quantum” e il “quomodo” di tale operazione di limitazione a fare la differenza nella tenuta complessiva dello stato di diritto.
La libertà di manifestazione del pensiero e la repressione del dissenso
L’ampia discrezionalità lasciata alla disposizione nasconde il rischio di una possibile ed arbitraria repressione del dissenso, coinvolgendo, in questo modo, il diritto alla libera manifestazione del pensiero.
L’articolo 21 della Costituzione sancisce la libertà di manifestazione del pensiero:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Il diritto alla libera manifestazione del pensiero è un diritto fondamentale e ne va garantita la massima espressione:
allo stesso tempo, non si tratta di un diritto assoluto ma di un diritto passibile di bilanciamento quando dovesse confliggere con altro diritto fondamentale o interesse rilevante.
E quindi:
dal momento che si sta limitando la libera manifestazione del pensiero, quale fine si intende perseguire attraverso tale limitazione? Quale contro interesse si intende tutelare?
È necessario verificare, inoltre, se la limitazione del diritto fondamentale è idonea al raggiungimento dello scopo previsto e attraverso la limitazione di una determinata manifestazione di pensiero si intendono tutelare altri diritti o valori fondamentali.
La tenuta dello stato di diritto
Il problema maggiore, in questo caso, è rappresentato, come detto, dal “quantum” e dal “quomodo” della limitazione imposta al diritto fondamentale in quanto si deve evitare in tutti i modi di sconfinare in un diritto penale del dissenso o del nemico.
Un nemico astratto, in questo caso individuato nei giovani e giovanissimi, già definiti dei “fattoni”, da alcuni esponenti del partito di governo come Giovanni Donzelli.
Tali elementi di limitazione di diritti fondamentali fanno la differenza nella “tenuta” dello stato di diritto del paese, contro i rischi di antidemocraticità oggi sempre più presenti.
L’articolo 17 della Costituzione, inoltre, sancisce che:
“I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.
Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.
Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.”
Politica e legislazione penale
Le connessioni tra la politica, espressione della volontà popolare, e la legislazione penale, che costantemente si impegna per conservare il rispetto delle posizioni di minoranza all’interno della società, induce a riflettere su questa disposizione.
Se si ritiene che il grado di tolleranza rispetto alle opinioni delle minoranze costituisca un vero e proprio test per verificare l’effettiva democraticità di una nazione, la previsione di una disposizione così ampia che può dare luogo ad interpretazioni arbitrarie non può che destare preoccupazione.
I rischi
I rischi possibili in questo rapporto sono rappresentati, infatti, dalle degenerazioni o dagli usi strumentali del diritto penale che potrebbero addirittura cancellare i caratteri fondanti della democrazia:
sono proprio le norme contenute nel diritto penale che forniscono le garanzie per i valori fondamentali della società democratica.
Le conseguenze nel diritto penale sono evidenti:
l’estensione indiscriminata del concetto di rischio porta a conseguenze punitive vaste che comprimono gli spazi di libertà concessi ai cittadini.
Anche l’utilizzo della lingua è importante
Se si parla di decreto legge “contro i rave party” non si vuole focalizzare e circoscrivere l’attenzione su coloro che effettivamente potrebbero (eventualmente) essere i soggetti responsabili di eventuali reati.
La responsabilità penale è personale e il carattere di personalità deve investire la struttura del fatto stesso.
Le configurazioni dell’ordine pubblico per limitare la libera manifestazione del pensiero
L’ordine pubblico, a differenza della legge e del buon costume, rappresenta un limite di carattere politico, assoluto ed inderogabile.
L’ampiezza del concetto di ordine pubblico può essere considerato un aspetto negativo soprattutto in relazione alla possibilità di molteplici interpretazioni del concetto stesso; e rispetto alle possibili limitazioni della libera manifestazione del pensiero che da queste interpretazioni possono scaturire;
il rischio resta quello di un possibile uso strumentale della nozione che risulta, quindi, in grado di limitare l’esercizio del diritto fondamentale.
Risulta difficile considerare il concetto di ordine pubblico ‘ideale’ inteso come limite all’esercizio delle libertà sancite nel testo costituzionale, in quanto la stessa tutela delle libertà rappresenta uno dei principi fondamentali dell’ordinamento:
è necessario analizzare come vengono concepiti i principi nell’ordinamento e quali devono essere considerati gli elementi di protezione della democraticità nell’ordinamento.
La salute pubblica come contro interesse
La stessa riflessione si può porre per l’altro contro interesse a base della disposizione, ovvero quello della salute pubblica.
Il nuovo governo ha prontamente dichiarato l’intenzione di istituire una commissione d’inchiesta per la gestione del Covid-19, in cui la salute pubblica era (giustamente) invocata per la limitazione di alcuni diritti dei cittadini.
Anche in questo caso, chi è che stabilisce quale sia il rischio per la salute pubblica?
Doppiopesismo ideologico
Alcuni episodi recenti evidenziano e sottolineano il “doppiopesismo ideologico” su cui questo nuovo governo intende fondare la propria azione politica:
basta osservare, da una parte, le tensioni scatenatesi con gli scontri all’Università La Sapienza di Roma tra gli studenti, che manifestavano contro le proposte del governo per la scuola e contro il convegno organizzato da Fratelli d’Italia all’interno della struttura universitaria, e la polizia, che ha agito reprimendo fermamente gli studenti;
d’altra parte si osserva l’inquietante silenzio seguito alle manifestazioni di Predappio, in cui migliaia di “camerati” si sono riuniti nel weekend per festeggiare il centesimo anniversario della Marcia su Roma.
L’apologia del fascismo è un reato previsto dal nostro ordinamento:
il ministro dell’Interno Piantedosi definisce queste manifestazioni una “pagliacciata”, che ad oggi, però, ha fatto sì che otto persone siano indagate per apologia del fascismo, dopo aver fatto il saluto romano e ostentato simboli fascisti.
Bisogna allora chiedersi come il nuovo governo concepisce i principi fondamentali dell’ordinamento per poter orientare la sua azione politica per garantire la democraticità del sistema e, quindi, la protezione delle posizioni delle minoranze.
Di tutte le minoranze.
Elena Elisa Campanella